Dove finisce l’Europa

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rotta balcanica

La piazza della stazione di Trieste è, letteralmente, il mio osservatorio sugli avvenimenti del confine, il mio e il nostro punto di vista quale associazione Linea d’Ombra.

Sono seduto su una panchina a fianco di un migrante pakistano non più tanto giovane che, aspettando le scarpe nuove dai volontari, guarda nel vuoto. Mi chiedo intanto se ci sia un nesso tra la visita della ministra degli interni Lamorgese in città – l’otto settembre scorso – e il fatto che da cinque o sei giorni pochi migranti stiano arrivando qui.

Regione-Governo-Europa

La ministra ha smentito se stessa quando ha detto che non si possono respingere persone che intendono chiedere asilo in Italia, mentre la polizia di cui è responsabile finora ha fatto regolarmente il contrario. È l’ennesimo indizio del modo contraddittorio e approssimativo con cui la questione dei migranti è affrontata.

Non solo dal nostro paese, ma dall’intera Unione Europea: una unione conflittuale e gerarchica che raccoglie gli egoismi di ciascun stato membro. Il campo di Moria nell’isola greca di Lesbo ne è lo specchio. Abbiamo visto tutti le foto dei profughi collocati in un cimitero dell’isola! Ecco una buona immagine della Unione Europea!

L’accordo fra UE e Turchia del 18 marzo 2016 sta dando così i suoi frutti avvelenati. L’allora presidente Juncker aveva affermato che questo accordo “è conforme a tutte le norme dell’UE e internazionali. Le domande dei rifugiati e dei richiedenti asilo saranno trattate singolarmente e si potrà presentare ricorso. Il principio di non respingimento sarà rispettato”. È avvenuto e avviene esattamente il contrario.

Non si tratta di cattiva informazione o di ritardi di applicazione dei provvedimenti. È una precisa scelta politica che si protrae nel tempo, senza prospettive. Nell’imminente riforma dell’asilo – ancora ferma dopo lunghi mesi in attesa di essere presentata dalla Commissione Europea il prossimo 30 settembre – sembra che non sia prevista nessuna forma di ricollocamento obbligatorio dei richiedenti asilo tra gli stati membri. Ancora e sempre, tutto sarà consegnato agli equilibri politici interni ed agli interessi dei singoli paesi.

Sembra inoltre che, al di là delle contingenti difficoltà del governo greco, il campo di Moria stia diventando persino un’esperienza di riferimento. L’Unione Europea è pronta non solo a finanziarne la ricostruzione dopo la devastazione degli incendi, ma anche a sostenere qualsiasi richiesta greca per un ruolo sempre più attivo nella gestione. Sappiamo anche che il nuovo “accordo prevederà altri centri alle frontiere esterne dell’Unione” (Euronews).

Una stazione e la sua piazza

Oggi, 14 settembre, la piazza è di nuovo affollata. Una trentina di arrivi. Il flusso dei migranti è come un torrente, ora quasi in secca, ora ricolmo.

È un triste gioco di guardie e ladri.  Indubbiamente polizia ed esercito, da mesi, stanno rastrellando un numero notevole di migranti, respingendoli forzatamente in Slovenia, alimentando in tal modo la catena di umiliazioni che ribadisce l’inespressa ma evidente posizione di fondo della politica europea sulle migrazioni: i migranti sono non-persone; solo una parte può aspirare a raggiungere lo status di persona, ossia può ricevere dagli stati una burocratica promessa di regolarizzazione, che sarà pur sempre di secondo o di terzo grado rispetto ai diritti di cittadinanza. Il criterio è quello economico.

Il sistema dei confini dell’Unione serve a selezionare secondo il grado di utilità: passano solo le merci e le persone intese come merci, così come passano i turisti e i lavoratori frontalieri.

Tante volte mi sono chiesto perché le istituzioni chiudano gli occhi sul fatto ben evidente che un numero, in ogni caso, non piccolo di migranti “irregolari” riesce ad attraversare l’Italia diretto al centro-nord dell’Europa o a restare, in subordine, “clandestinamente” nel nostro territorio. La risposta sta nel lavoro nero che, in certi settori quali l’agricoltura o l’edilizia, è di fondamentale importanza economica.

In Italia la cosa appare piuttosto evidente. In altri paesi può essere meno appariscente, a causa di legislazioni più severe e maggiormente rispettate, ma mi sono ormai convinto che il lavoro nero esiste ovunque.

La dura politica dei respingimenti praticata dall’attuale governo sui confini di terraferma della mia regione – ai tempi di Salvini l’ossessione gravava esclusivamente sui più politicamente vistosi arrivi via mare – sta inducendo una parte consistente dei migranti della rotta balcanica a spostarsi verso il confine di Gorizia, in direzione della provincia di Udine.

L’accordo con la Slovenia prevede, infatti, che i respingimenti colpiscano i migranti sorpresi entro dieci chilometri dal confine. Lo spostamento del flusso ha suscitato però le rimostranze di molti sindaci dei paesi che si vedono arrivare, a gruppetti, gli “stranieri”. Ovviamente per alcuni è una buona occasione per fare propaganda politica di stampo populista: occasione colta. Ad esempio, dal sindaco di Gonars – 4.800 abitanti in provincia di Udine – che ha lanciato l’idea di sguinzagliare ronde paesane di controllo del territorio.

Migrazioni

Queste osservazioni e riflessioni – ampiamente confermate dalla rete dei volontari e delle organizzazioni umanitarie, oltre che da una parte della carta stampata e da internet – nascono, oso dire, dalla “lettura” dei piedi dei migranti che quotidianamente incontriamo: sono il nostro libro vivente.

Questa lettura attenta può essere fatta però solo con un atteggiamento personale di cura, guardando ciascun migrante negli occhi. I piedi che hanno camminato per giorni e per settimane fra i boschi e le rocce, le sterpaglie e i sassi dei Balcani, sanno esprimere molto più di quanto il migrante sappia dire con la voce.

I piedi parlano di un desiderio e di una volontà di vivere che noi, cittadini italiani ed europei, nel nostro smorto privilegio, neppure ci sogniamo. I migranti sono portatori di vita.

L’Europa al contrario – nel Mediterraneo come nei Balcani – assiste e acconsente alla morte.

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