Giordania: le vite dei profughi

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Campo profughi di Zaatari in Giordania

Alessandro Cadorin è referente di Caritas italiana in Giordania. Qui risponde ad alcune domande di Giordano Cavallari circa la condizione dei numerosi profughi e migranti presenti nel Paese, oltre che della popolazione locale.

  • Alessandro, qual è la condizione in cui vivono i profughi siriani – un milione e trecentomila – in Giordania?

La Giordania è un paese di 10,2 milioni di abitanti che si caratterizza per la sua relativa stabilità politica all’interno di un contesto, come quello del Medio Oriente, costellato di Paesi in grave crisi economica e politica: c’è il conflitto israelo-palestinese, la ormai decennale guerra in Siria, la crisi irachena, la guerra in Yemen, nonché la più recente crisi afghana.

Ciò ha fatto sì che la Giordania sia diventata nel tempo il naturale centro di accoglienza di migliaia di rifugiati provenienti da Paesi limitrofi, in primis palestinesi e siriani. Dei 1,3 milioni di siriani che citi, 700.000 circa sono registrati come richiedenti asilo presso UNHCR, l’Organizzazione delle Nazioni Unite.

A questi si aggiungono i rifugiati iracheni, yemeniti e di altri Paesi. La Giordania è di fatto il secondo Paese al mondo per presenza di rifugiati rispetto alla popolazione ospitante. Ci sono inoltre migranti presenti per ragioni di lavoro provenienti da altre nazionalità – dall’Egitto e dal Bangladesh, ad esempio – sfruttati nei lavori agricoli e di costruzione.

Tra i rifugiati in Giordania, solo il 19% risiede nei campi di accoglienza ufficiali: a Za’atari (80.359 residenti), Azraq (43.776 residenti) e Mrajeeb Al Fhood (6.654 residenti). Il restante 81% dei rifugiati registrati vive invece nelle aree urbane: il 36% ad Amman, il 25% a Irbid, il 16% a Mafraq e il 9% a Zarqa.

La maggior parte dei rifugiati vive quindi all’interno delle cosiddette comunità ospitanti giordane. Questo è il quadro dei grandi numeri che dice ancora ben poco. Aggiungo solo, ad esempio, che il 35% delle famiglie dei rifugiati ha al suo interno almeno una persona con disabilità.

A causa della pandemia, il tasso di disoccupazione è cresciuto drasticamente e l’economia giordana, già piuttosto fragile, ha subito un’ulteriore contrazione. In Giordania il settore di maggior rilievo è quello turistico, mentre l’agricoltura soffre dell’endemica mancanza di acqua.

La Giordania è il secondo Paese al mondo per scarsità di risorse idriche. La disoccupazione è salita al 22,8%, mentre la disoccupazione giovanile ha raggiunto un 50% senza precedenti. Solamente il 31% dei siriani e il 26% dei non-siriani risultava occupato nel 2021.

I siriani possono ottenere un permesso di lavoro, mentre gli iracheni non possono ottenerlo e sono costretti a sopravvivere con sussidi dalle ONG e/o col lavoro nero. Oltre l’80% dei rifugiati siriani vive al di sotto della soglia di povertà nazionale con un reddito medio mensile di circa 200 euro derivante da una combinazione di lavoro, assistenza umanitaria e rimesse.

L’11% di loro si trova in condizione di estrema indigenza, con un reddito mensile pro-capite inferiore a 28 dinari giordani (circa 33 euro). Negli ultimi due anni il 91% delle famiglie di rifugiati ha fatto ricorso a strategie negative di adattamento: c’è stato un aumento del 25% delle famiglie che hanno contratto debiti, di cui il 40% per pagare l’affitto e il 25% per comprare il cibo.

Rifugiati e popolazione locale
  • L’accoglienza dei profughi ha reso più difficile la situazione della popolazione giordana?

L’accoglienza ha comportato uno sforzo notevole di adattamento da parte della popolazione locale. L’arrivo di un milione di profughi, seppure provenienti da Paesi limitrofi, affini per lingua, cultura e religione – quindi senza un iniziale shock culturale – ha comunque comportato un cambiamento del tessuto sociale.

Si sono creati nuovi quartieri e insediamenti, e in generale il Paese ha dovuto far fronte ad un maggiore consumo di risorse economiche e naturali: basti pensare solo all’acqua potabile.  I migranti hanno dovuto inoltre fare ricorso al welfare pubblico locale – sanità, educazione e assistenza sociale in primis – il che, sebbene col sostegno in gran parte ottenuto dagli aiuti internazionali -, nella crisi indotta dal covid, ha prodotto inevitabili rivendicazioni della popolazione locale che si è vista sottrarre risorse a beneficio delle comunità immigrate.

  • Ci sono quindi tensioni tra popolazioni e profughi, come purtroppo avviene in Libano e Turchia?

Sì, la competizione tra profughi e popolazione locale sta crescendo, anche se non ai livelli della Turchia, ove viene sospinta per ragioni politiche soprattutto da parte dei partiti di destra in vista delle elezioni del 2023.

Nel caso della Giordania, la monarchia e l’esercito – con una buona dose di clientelismo e di nepotismo – sono ancora in grado di mantenere una certa coesione sociale. Il prezzo della farina e del pane sono calmierati dallo stato. Tuttavia, l’inflazione e l’aumento dei carburanti stanno facendo crescere il malcontento.

  • Il sistema sanitario come è organizzato? Puoi descrivere la condizione sanitaria?

L’accesso al sistema sanitario in Giordania è senz’altro carente, naturalmente e purtroppo, specie per quanto riguarda la parte più debole della popolazione, compresi i migranti.

Alcuni dati parlano da sé: il 51% delle famiglie rifugiate siriane e il 43% di quelle non siriane non hanno potuto avere accesso a cure sanitarie nel 2021; la spesa sanitaria per le famiglie rifugiate incide considerevolmente, per oltre il 66% del loro bilancio familiare; il 27% dei rifugiati siriani si indebita proprio per coprire le spese sanitarie; il 45% delle famiglie di rifugiati siriani ha almeno un membro con una malattia cronica.

L’impegno della Caritas
  • Come intervengono i progetti di Caritas – che tu coordini per Caritas italiana in Giordania – in questa situazione?

Caritas Giordania con le sue 12 cliniche e centri di comunità in tutto il territorio del Paese è un punto di riferimento fondamentale per i più deboli, specie per tutti i rifugiati. Attraverso il progetto Caritas per la sanità si cerca e si cercherà di assicurare l’assistenza sanitaria primaria: un medico di base e un’infermiera condurranno visite mediche regolari presso gli ambulatori effettuando screening e diagnosi precoci delle malattie.

Nello specifico i servizi offerti ai beneficiari saranno di tre tipi: esami clinici che includono la misurazione della glicemia, la misurazione della temperatura corporea, la misurazione del polso e della pressione sanguigna.

Il progetto della campagna insieme per gli ultimi – sostenuta da Caritas e Focsiv per promuovere la pace in Medio Oriente – intende inoltre offrire aiuto alle madri rifugiate nell’assistenza pre e postnatale: sia le donne in gravidanza che allattano, sia le madri dei bambini sotto i 5 anni per evitare casi di malnutrizione, in considerazione del fatto che l’80% dei rifugiati è a rischio di insicurezza alimentare e che il 25% delle famiglie contrae debiti per il cibo.

Il progetto prevede inoltre un’azione specifica per la prevenzione e gestione delle cosiddette malattie non trasmissibili: Caritas interviene in questo senso sia attraverso una campagna di sensibilizzazione per migliorare gli stili di vita, sia attraverso la fornitura di medicinali. La presa in carico di questi pazienti è chiaramente onerosa.

Per conoscere e sostenere nel dettaglio l’intervento di Caritas italiana in Giordania si veda qui.

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