Kazakistan: uno sguardo sul paese

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Dal 13 al 15 settembre papa Francesco sarà in Kazakhstan per partecipare al VII° Congress of leader of world and traditional religion. Abbiamo chiesto alla giornalista Anna Zafesova di presentare il Paese nel cui contesto avrà luogo l’incontro. L’intervista è stata curata da Giordano Cavallari.

  • Gentile Anna, nel gennaio scorso, poco prima della invasione dell’Ucraina, militari russi sono entrati in Kazakhstan per aiutare – secondo il Cremlino – il governo locale a sedare una rivolta organizzata dall’estero: che cosa è realmente accaduto?

Si è trattato di un intervento militare limitato. Ho raccolto qualche testimonianza: qualcuno ha detto di aver visto i soldati russi, ma senza notare una loro diretta intromissione. I russi si sarebbero limitati a presidiare alcuni siti di interesse strategico.

Di certo non c’è stata un’invasione su larga scala. Ciò è avvenuto nell’ambito dell’accordo di difesa collettiva che lega alcuni Paesi dell’ex Unione Sovietica: se uno dei Paesi membri si sente minacciato può chiedere assistenza agli altri. È quanto è avvenuto.

Ricordo che il fatto ha avuto luogo mentre la Russia stava già dispiegando le sue truppe ai confini con l’Ucraina: perciò la Russia non era particolarmente interessata, in quel momento, al Kazakhstan, né aveva grandi risorse militari da distogliere. Si è fatta l’ipotesi che volesse cogliere l’occasione per mettere piede in Kazakhstan, cosa che, appunto, non è avvenuta.

A quanto pare, lo stesso presidente Tokayev – sapendo benissimo, da politico post-sovietico, che le truppe russe sono facili da invitare ma molto difficili da rimandare a casa – ha saputo circoscrivere la natura dell’intervento. Sta di fatto che i militari russi sono rientrati in pochi giorni.

Il paese e il potere

La rivolta è stata un’autentica rivolta popolare?

Nella vicenda ha indubbiamente pesato la determinazione di eliminare il gruppo al potere da troppo tempo e quindi di procedere ad un avvicendamento dell’élite. Ricordo che il Kazakstan è divenuto indipendente nel 1991, quando è collassata l’Unione Sovietica. Il politico traghettatore verso l’indipendenza è stato Nursultan Nazarbaeyv, già presidente e leader comunista quando il Kazakstan era una delle repubbliche sovietiche.

Dopo trent’anni di potere, nel 2019, Nazarbaeyv, ha formalmente ceduto la massima carica dello stato, assumendo quella di presidente del Consiglio di Sicurezza, l’organismo che presiede all’esercito, alla polizia, ai servizi segreti, attribuendosi il titolo di padre della nazione, anche a futura memoria.

Il passaggio di consegne con l’attuale presidente Qasym-Jomart Tokayev è stato pilotato, secondo un modello ben conosciuto in Russia. Ma così come Putin non si fida di nessuno – neppure delle persone da lui scelte – Nazarbayev non si fidava di Tokayev, ricambiato allo stesso modo.

Una delle ipotesi fatta sulla rivolta è che gli uomini di Tokayev volessero eliminare la famiglia politica – e pure la famiglia di sangue – di Nazarbayev. Il risultato visibile è che Nazarbaeyv è sparito da gennaio dalla scena pubblica ed è stato spogliato di tutte le cariche di cui si era ammantato. I membri della sua famiglia hanno dovuto abbandonare ruoli strategici in ambito civile e militare: un pezzo della élite del Paese è stata rimpiazzata.

Resta che il Kazakhstan è un Paese ancora carico di tensioni. La rivolta è stata dunque promossa da contendenti interni e alimentata da questioni sociali importanti, quale le evidenti diseguaglianze tra popolazioni e popolazioni – regioni e regioni – di questo immenso Paese: alcune di queste si sentono assolutamente trascurate e depredate a favore di altre.

Altre rivolte – di cui pochissimo abbiamo saputo – erano già state represse nel sangue, soprattutto nelle regioni estrattive. L’economia è infatti di tipo minerario, con una concentrazione molto elevata di ricchezza in poche mani, quelle che sino a poco tempo fa sono state vicine a Nazarbayev. L’oligarchia del Paese rendeva e rende scontenta tanta gente.

Per rispondere in sintesi alla domanda, mi pare di poter dire che su autentiche ragioni di malcontento sociale di parte della popolazione si siano sovrapposte manovre di controllo del potere.

Geopolitica
  • Secondo lei, ha qualche fondamento l’accusa di Mosca di ingerenze occidentali in Kazakhstan?

Non penso. Gli autocrati post-sovietici amano parlare di minacce esterne, sia perché fa parte della loro formazione, sia perché ciò consente di giustificare azioni altrimenti ingiustificabili, come ogni repressione nel sangue.

Francamente, non vedo le ragioni di eventuali ingerenze occidentali. Il Kazakhstan ha condotto, dall’inizio della indipendenza, una politica equidistante: ha aderito a tutta una serie di iniziative a guida russa – come appunto il Trattato sulla difesa collettiva – ma nello stesso tempo, da Paese a maggioranza musulmana, dotato di lingua turcofona, ha lavorato molto con la Turchia ed ha collaborato con Stati Uniti ed Europa offrendo le sue materie prime.

Come sappiamo – proprio di questi tempi – sta negoziando il potenziamento delle forniture di gas all’Europa. Sono in atto nel Paese importanti investimenti da parte di multinazionali occidentali, tra cui l’Eni.

Per motivi sia geografici che economici il Kazakhstan è poi vicino alla Cina. Una delle ipotesi fatte è che Tokayev abbia organizzato – da sé – la rivolta, al fine di allontanare Nazarbayev dal potere, ma anche col proposito di avvicinare maggiormente la Cina, in cui è stato ambasciatore e di cui conosce perfettamente la lingua. L’operazione di gennaio potrebbe essere letta quindi quale spostamento degli equilibri nazionali verso la Cina, piuttosto che verso Mosca o l’Occidente.

Il Kazakhstan non appare tuttavia un Paese interessato a mutare i propri equilibri internazionali, a differenza di altri Paesi dell’area, come il Tagikhstan o l’Uzbekhstan, che hanno conosciuto, negli ultimi anni, virate verso gli Stati Uniti per poi tornare di nuovo alla Russia, anche in considerazione di ciò che è avvenuto nell’Afghanistan dei talebani.

Il Kazakhstan non ha guerre in atto, non ospita l’estremismo religioso, proietta ed intende proiettare all’esterno una immagine rassicurante di sé, laica, aperta alla modernizzazione, tendente alla tecnocrazia più che al nazionalismo e al radicalismo religioso.

  • In giugno si è tenuto un referendum costituzionale in Kazakhstan: per cambiare cosa?

Sostanzialmente le modifiche costituzionali apportate dal referendum hanno ratificato l’azzeramento dei poteri di Nazarbaeyv, giacché lo stesso Nazarbaev li aveva posti in Costituzione. Il referendum confermerebbe, in tal senso, una lettura tutta interna dell’accaduto.

Le religioni
  • Lei definisce il Kazakhstan un Paese “laico”, ma quale peso hanno le religioni?

La questione religiosa, in superficie, non appare. Come ho detto, il Paese è lontano dagli estremismi. Per la sua storia è un Paese più “laico” di altri: in Uzbekhstan, ad esempio, ci sono grandi centri storici e culturali dell’Islam, come Samarcanda, mentre il Kazakhstan ha alle spalle una tradizione musulmana più nomade e più semplice.

Consideriamo poi l’ancora significativa presenza della minoranza russa e russofona, solitamente laica. Ora la popolazione russa si aggira attorno al 18% del totale, mentre in epoca sovietica – quando si puntava alla industrializzazione della Repubblica – aveva raggiunto il 40% e oltre.

Detto questo, sicuramente esiste una tensione etnica e, inevitabilmente, anche religiosa. Per quanto si continui a parlare il russo e non esista alcuna discriminazione formale verso i russi, il governo informalmente, privilegia i kazaki nell’assegnazione delle cariche. Molti russi, infatti, se ne sono andati dopo l’indipendenza, perché da appartenenti alla élite coloniale sono divenuti minoranza, talvolta, persino messa in discussione.

Poiché le distinzioni etniche corrispondono a tensioni economiche tra regioni a maggiore presenza russa, più industrializzate e più ricche, ed altre, più rurali e più povere, la possibilità che fattori etnici, linguistici e, in parte, religiosi, si sovrappongano, sussiste. Ma, per ora, non mi pare di notare nulla di così grave.

  • La presenza russa coincide con una presenza cristiana ortodossa russa?

Sostanzialmente sì, ma con una precisazione. Come ho detto, il Kazakhstan è un Paese a vocazione multietnica, anche perché – come tutti i Paesi ex-sovietici – ha partecipato, nel bene e soprattutto nel male, al melting pot caratteristico voluto dal regime.

È stato perciò meta di deportazioni di massa nel periodo staliniano: intere popolazioni sono state deportate nel Kazakstan, anche dall’Ucraina, da cui sono partiti i contadini kulaki, dell’holodomor, la carestia organizzata dal Cremlino. Gli ucraini in Kazakhstan oggi si stimano attorno all’1%.

Ci sono poi minoranze tedesche – cristiane – stimate attorno all’1,3% della popolazione: sono fatte dai tedeschi del Volga, deportati all’inizio della Seconda Guerra mondiale – sempre da Stalin – in zone lontane dal fronte. Diciamo che il Kazakhstan “beneficia”, oggi, se così si può dire, della politica delle epurazioni collettive che ha fatto vivere insieme popolazioni diverse, tendenzialmente avulse dalla religione.

In Kazakhstan c’è pure un’esigua minoranza cattolica, di discendenza, soprattutto, polacca.

  • La maggioranza è musulmana: di che tipo?

Il 70% degli abitanti è kazako. I kazaki mediamente si dichiarano musulmani. All’interno del grande gruppo dei musulmani si distinguono alcune minoranze musulmane: il 3% è musulmano uzbeko, mente l’1,5% è musulmano uiguro.

Gli uiguri costituiscono una minoranza piuttosto influente. L’ex-capo dei servizi segreti dell’epoca di Nazarbayev era uiguro ed è stato deposto durante la rivolta-golpe di Tokayev. Riprendendo la chiave di lettura del supposto avvicinamento del Kazakhstan alla Cina, si potrebbe ipotizzare la volontà di Tokayev di ridimensionare le influenze delle minoranze uigure.

Non posso escludere che il timore di personaggi uiguri in Kazakhstan sia collegato al timore cinese di un aiuto kazako agli uiguri nello Xinjiang. È un’ipotesi che sarebbe confermata dalla crescente repressione a cui sono sottoposti gli uiguri in Cina.

Il viaggio del papa
  • Come vede, dunque, il quadro interreligioso in cui si collocherà l’incontro a cui parteciperà papa Francesco in Kazakhstan?

Io penso che il papa troverà un Paese in cui le tensioni religiose corrispondono alle tensioni etniche di cui ho detto: un Paese che ha saputo, tuttavia, muoversi, sulle questioni religiose, in maniera accorta e prudente.

Alla riscoperta delle radici linguistiche e religiose dei kazaki, dopo la caduta della Unione Sovietica, il Paese ha saputo accompagnare, ad esempio, l’insegnamento e la conservazione della lingua russa, per cui oggi il Kazakhstan è un paese ufficialmente bilingue.

Parlare della autenticità delle appartenenze religiose è chiaramente altra cosa. Nella maggioranza kazaka, di per sé musulmana, c’è chi si dichiara ateo ovvero chi è passato al cristianesimo. Non sta a me, ovviamente, fare valutazioni.

Rilevo che, per la Costituzione, il Kazakstan è uno stato secolare in cui c’è posto per tutte le fedi religiose. Sino ad ora l’equilibrio e il rispetto tra le religioni ha tenuto. Ma, naturalmente, abbiamo già visto tante volte – in Paesi costituzionalmente molto laici – aprirsi rapidamente conflitti etnico-religiosi, quando questi siano stati fomentati ad arte dalla politica: la lotta politica – di questi tempi – può trasformarsi facilmente in lotta religiosa o pseudo religiosa. Ci auguriamo che ciò non avvenga e che l’incontro a cui parteciperà il papa dal 13 al 15 luglio rafforzi il dialogo.

Vulnerabilità
  • Qual è la posizione del Kazakhstan rispetto alla guerra in Ucraina?

A livello politico, la guerra in Ucraina è molto avvertita per un motivo molto semplice: il Kazakhstan si sente vulnerabile – come l’Ucraina – rispetto alle mire imperialiste della Russia. Nel momento in cui Putin parla di recupero degli spazi imperiali russi, chiaramente manifesta che il Kazakhstan può essere il prossimo Paese nella lista delle sue occupazioni.

È di qualche giorno fa l’uscita dell’ex premier russo Dmitrij Medvedev, ormai noto per le sue esternazioni: questi ha lanciato un post in cui ha scritto che è arrivato per la Russia il momento di invadere anche il nord del Kazakhstan. Il messaggio è stato presto eliminato. Medvedev coi suoi collaboratori ha sostenuto che il suo account era stato alterato.

Ma, considerato che Medvedev nelle ultime settimane si è distinto per altre dichiarazioni estremamente aggressive nei confronti degli ucraini, degli europei, degli americani e del mondo – quasi – intero, il suo post risulta molto autentico, benché al Cremlino abbiano probabilmente ritenuto che non è questo il momento per tali uscite.

Quest’dea è comunque nell’aria, almeno dal ‘91 – c’era ancora l’Unione Sovietica – quando Alexander Solgenitsin pubblicò il suo tristemente famoso saggio sul riassetto della Russia: proponeva di lasciar perdere le repubbliche dell’Asia centrale – da lui spregiativamente denominate sottopancia musulmano – e di tenere salda l’Unione Slava, fatta da Russia, Ucraina e Bielorussia, aggiungendo, all’impero tripartito, il nord del Kazakhstan, in quanto terra russa popolata prevalentemente da russi e russofoni, storicamente conquistata dall’impero russo a fine ‘700 – inizi ‘800.

Con tali precedenti, il Kazakhstan si sente parte in causa della vicenda ucraina. Non a caso il presidente Tokaeyv ha suscitato scalpore a Mosca durante un recente incontro con Vladimir Putin.

I due presidenti erano seduti sul palco del forum economico di Pietroburgo e da là Tokayev ha dichiarato che non avrebbe mai riconosciuto i «quasi stati» – come li ha definiti – di Donetsk e Luhansk, le enclave in territorio ucraino nelle mire di Mosca dal 2014, per le quali la propaganda sostiene che la Russia sta combattendo con i compatrioti.

Ricordo che il Kazakhstan non ha fatto proprie le sanzioni occidentali contro la Russia, ma neppure ha sostenuto la Russia in questa guerra.

Preciso che il Kazakhstan fa parte dell’Unione Doganale dell’Unione Economica Euroasiatica, assieme a Russia, Bielorussa, Armenia e Kırgızstan. La Russia, perciò, contava di poter aggirare le sanzioni a cui è sottoposta attraverso il Kazakhstan che, non essendo soggetto a sanzioni, avrebbe potuto importare beni da trasferire in Russia senza obblighi doganali: ebbene, questo, ad oggi, non è avvenuto.

Più volte Tokaeyv, in consessi internazionali, ha ribadito che il Kazakhstan non avrebbe mai fatto il doppio gioco tra l’Occidente e la Russia.  La sua condanna della invasione russa dell’Ucraina non è manifesta, ma neppure, dunque, troppo nascosta.

A differenza della Bielorussa – che ormai appare completamente colonizzata da Mosca – il Kazakhstan sta affermando, in tutte le sedi, la propria indipendenza, sia a livello politico, sia a livello economico. Anche nell’ultimo – riservato – incontro tra Tokayev e Putin del 19 agosto scorso, pare che il presidente kazako abbia ribadito che non aiuterà Mosca ad aggirare le sanzioni nel suo territorio.

Ho colto, in questi giorni, un segnale eloquente dello scrupolo con cui il governo del Kazakhstan guarda alla guerra in Ucraina: le guardie kazake di confine con la Russia hanno fermato tutte le auto contrassegnate con la “Z” – il noto simbolo della operazione militare speciale russa in Ucraina -, multando i conducenti per propaganda non ammessa nel loro Paese.

Una prassi sistematica di questo tipo sta turbando non poco l’opinione pubblica russa. Sono molte, infatti, le persone e le famiglie russe che si recano in Kazakhstan per turismo ovvero per fare acquisti di beni esauriti a motivo delle sanzioni.

  • Ritiene possibile una invasione della Russia anche in Kazakhstan?

Il Kazakhstan è un Paese di dimensioni gigantesche, mentre le ambizioni imperiali russe non appaiono collimare con le effettive potenzialità: lo si vede in Ucraina. Ma ormai tutto è possibile, almeno a livello di provocazioni.

È solo di qualche settimana fa l’indiscrezione – fatta probabilmente circolare a Mosca per distogliere l’attenzione dai disastri della guerra in Ucraina – che Putin avrebbe dato ordine ai suoi generali di presentare piani di una operazione militare analoga in Kazakhstan; così come, a suo tempo, aveva voluto inaugurare la guerra in Siria per distogliere l’attenzione dal fatto che sostanzialmente la Russia non era riuscita a conquistare il Donbass nel 2014.

È veramente difficile in questo momento distinguere – a Mosca – la propaganda pura da autentiche intenzioni che possano dare luogo pure a decisioni. Non mi sento di escludere che Putin possa cercare di dirottare l’attenzione dell’opinione pubblica russa su un altro bersaglio. Il Kazakhstan, in questo caso, appare il più probabile, per la peculiarità della popolazione russa – in parte scontenta – che vi si trova.

Tokayev – intanto – ha annunciato di voler raddoppiare le sue spese militari: appare evidente rispetto a chi voglia rafforzare le sue difese.

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