La Caritas in Ucraina

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Stazione di Dnipro

Abbiamo posto a Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas italiana, alcune domande circa gli interventi dell’organismo ecclesiale in Ucraina e nei Paesi più toccati dagli effetti della guerra. L’intervista è curata da Giordano Cavallari.

  • Paolo, qual è la presenza Caritas in Ucraina? Quali collaborazioni c’erano precedentemente alla guerra?

In Ucraina ci sono due organismi Caritas, perché la Chiesa cattolica è distinta in due principali riti: quello orientale e quello latino. La presenza cattolica complessiva, benché minoritaria rispetto all’ortodossa, è significativa e ben organizzata. Prima della guerra, si contavano complessivamente 80 Centri Caritas distribuiti in tutto il territorio e nelle città dell’Ucraina.

Specie dal 2014, la rete delle Caritas nazionali già intratteneva intensi rapporti con queste Caritas e sosteneva progetti in Ucraina, naturalmente per il contrasto della povertà, specie dei minori e delle loro famiglie, ma anche nel più specifico ambito del contrasto della tratta delle giovani donne a scopo di sfruttamento sessuale: Caritas italiana era e resta impegnata nel sostegno di questi progetti di emancipazione dalla condizione di schiavitù delle donne assieme alle Caritas dell’Ucraina.

  • Quanto sono importanti i rapporti già maturati in questo momento di guerra?

Sono ovviamente molto importanti. Gettare ponti e costruire legami di prossimità, che durano nel tempo, fa parte – sin dalla fondazione – delle azioni delle Caritas delle rispettive Chiese. In queste azioni non c’è solo, evidentemente, il mero intento di beneficare alcune categorie di poveri, ma c’è sempre molto di più, perché gli interventi avvengono in un contesto di circolazione di fraternità, di cultura, di spiritualità partecipata dalla gente delle diocesi e delle parrocchie, dal popolo ucraino in questo caso.

Lo stesso posso dire in relazione al popolo russo. Anche in Russia c’è la Caritas, ci sono Caritas diocesane e ci sono Centri Caritas che abbiamo sostenuto e continuiamo a sostenere.

Sono convinto che l’operare nella carità non debba mai perdere di vista l’ampio orizzonte delle buone relazioni innanzi tutto, per costruire la pace ogni giorno, dal basso, ossia dalla gente, dai popoli. Dobbiamo fare il possibile perché la povera gente non venga trascinata nella volontà di guerra dei capi politici e militari.

Verso la Russia
  • Quali relazioni intrattiene Caritas italiana con le Caritas in Russia?

Non a tutti i lettori è forse noto che dal 2014 – ossia dall’inizio della crisi tra i due Paesi – circa tre milioni e mezzo di persone sono migrate dall’Ucraina alla Russia, di cui una parte anche in Bielorussia, mentre un altro milione e mezzo è sfollato all’interno dell’Ucraina. Caritas Italiana ha sostenuto lo sforzo di accoglienza della Caritas cattolica di Rostov sul Don, la prima che ha assorbito l’impatto di questo assai significativo esodo.

Alcuni di quei nuclei migranti – poi – dalla Russia sono giunti pure in Italia. Da allora, sino agli attuali eventi, la cosa non ha attirato più di tanto l’attenzione. Le offerte di aiuto che abbiamo potuto quindi convogliare a Rostov sono state limitate, ma ugualmente, per me, molto significative.

  • Dal 24 febbraio scorso – dalla invasione dell’esercito russo in Ucraina – che cosa è accaduto tra le Caritas?  

Si sono stretti i legami preesistenti. La rete delle Caritas nazionali – tra cui la nostra – si sono messe in ascolto delle grida di aiuto della gente di là, attraverso le Caritas locali. Come sempre in questi casi, si è attivata la raccolta di offerte e la trasmissione di risorse volte a sostenere, nell’immediato, il servizio dei Centri caritativi. Per alcuni generi di prima necessità, eccezionalmente, si è persino deciso il trasporto diretto dall’Italia: questo a testimonianza dell’urgenza e della gravità della situazione che si è rapidamente venuta a determinare.

Alcuni Centri caritativi – i più esposti ai bombardamenti – hanno dovuto chiudere. Ricordo che il Centro Caritas di Mariupol è stato colpito e che vi sono morte sette persone, tra cui due collaboratrici. Sono stati allestiti servizi mobili al seguito dei flussi dei profughi e degli sfollati: dai dati raccolti risulta che 5,5 milioni di persone hanno raggiunto altri Paesi, 7,7 milioni hanno lasciato le loro case e si sono comunque spostate all’interno dell’Ucraina. È chiaro che questi numeri – ancora in divenire – parlano di problemi gravissimi, da affrontare.

Nelle prime settimane di guerra, questi Centri hanno potuto mettere a disposizione generi di prima necessità, buoni o voucher per gli acquisti di base durante gli spostamenti, quindi mezzi di trasporto gratuiti per il raggiungimento delle zone più sicure e ospitalità temporanee nell’itinerario dei trasferimenti. Calcoliamo che l’insieme delle due Caritas cattoliche abbiamo raggiunto, ad oggi – con i loro interventi e col sostegno della rete Caritas – circa un milione di persone.

Aiutare la popolazione
  • Come avviene l’organizzazione degli aiuti? 

In questi disastri, procediamo per emergency appeal ossia per risposte immediate e della durata di sei-otto mesi. Le Caritas locali stimano il fabbisogno per tale durata e tutte le Caritas nazionali del mondo coprono tale fabbisogno con risorse proprie. La stima complessiva in questo momento – per i soli prossimi mesi come detto – ammonta a 15 milioni di euro circa.

Sul totale, Caritas italiana ha messo a disposizione 2 milioni di euro, di cui 600.000 euro già assegnati. Da queste cifre è escluso l’impegno per l’ospitalità dei profughi in Italia.

  • C’è collaborazione tra le Chiese nell’impiego delle risorse attribuite?

Dell’operato delle Caritas cattoliche beneficiano, naturalmente, tutte le persone che ne abbiano bisogno, a qualunque confessione appartengano. Posso dire che, nonostante i rapporti ufficiali tra le Chiese cattoliche e ortodosse non siano affatto semplici, si danno numerosi esempi di collaborazione nei microcosmi di ciascun territorio.

  • Quali altre opere sta sostenendo e partecipando Caritas italiana?  

Le azioni si sviluppano in almeno tre grandi aree umane e geografiche: oltre che in Ucraina, nei Paesi che stanno ricevendo i profughi e, naturalmente, in Italia, per l’accoglienza nel nostro Paese.

I Paesi confinanti che stanno sostenendo il maggiore sforzo di ospitalità dei profughi ucraini, considerate anche le proporzioni, sono la Polonia, la Romania e la Moldavia. Stiamo perciò sostenendo le Caritas di questi tre Paesi per l’enorme lavoro che stanno facendo. In Polonia ci sono più di tre milioni di profughi, in Romania più di ottocentomila, in Moldavia quasi cinquecentomila. Sono chiaramente numeri – anche questi – ancora in divenire.

Ma non dimentichiamo che profughi ucraini sono andati in numero consistente anche in Russia, in Ungheria, Slovacchia, Bielorussia. Stiamo inoltre ricevendo richieste di aiuto per l’accoglienza di profughi ucraini anche dalle Caritas dei Paesi balcanici quali il Montenegro, piuttosto che dalla Bulgaria o dalla Turchia. Stiamo rispondendo anche a queste richieste di aiuto.

Profughi e guerre
  • Per quanto riguarda l’ospitalità dei profughi ucraini in Italia, qual è il ruolo di Caritas italiana con le Caritas diocesane?

I dati che sto fornendo sono contenuti nel rapporto che si trova nel nostro sito (qui): il rapporto viene continuamente aggiornato, ma chiaramente è sottoposto ad un certo sfasamento temporale. Come noto, i profughi ucraini sino ad oggi giunti in Italia sono circa 100.000, poco più.

A fine marzo le nostre Diocesi – con risorse proprie e col sostegno di Caritas italiana – stavano già ospitando più di seimila persone, per lo più donne con 2.885 minori e 73 minori senza genitori. Oggi il dato stimato delle ospitalità ha già raggiunto 10.000 persone circa. Abbiamo dato inoltre disponibilità alla Protezione Civile Italiana a ospitare altre 2.300 persone, per le quali abbiamo già disponibili i posti.

La Conferenza episcopale ha dato facoltà ad ogni diocesi di stabilire la propria giornata di concorso alla colletta nazionale. Entro il 15 maggio il frutto della colletta alimenterà il fondo di Caritas italiana, col compito di coordinare, sostenere e di dare adeguata comunicazione del notevole insieme di energie che dalla nostra Chiesa viene profuso per questa emergenza. La raccolta di offerte sta andando molto bene. La risposta della popolazione italiana è straordinaria. I nostri uffici tuttora stanno ricevendo – come in ogni diocesi – centinaia e migliaia di telefonate di famiglie e persone che offrono la loro casa per dare ospitalità.

Ci stiamo preparando ad uno sforzo che purtroppo si protrarrà a lungo nel tempo. La guerra non è affatto finita. È assai improbabile prevedere il rientro in patria – a breve – di queste migliaia e decine di migliaia persone. I carichi di sofferenza delle persone ospitate sono enormi. Le ultime persone arrivate in ordine di tempo sono ancora più stremate e provate delle prime, sia dal punto di vista fisico che psichico: abbisognano di molta cura e attenzione.

  • Che cosa contraddistingue l’accoglienza preparata dalle Caritas?

Dai dati sinora raccolti con sicurezza, risulta che il 27,7% delle nostre accoglienze avviene in appartamenti che sono stati messi spontaneamente a disposizione da famiglie praticanti e anche non praticanti, oppure sono stati presi in affitto sul libero mercato da gruppi famigliari parrocchiali che ora si autotassano per poter realizzare le ospitalità in regime di autonomia degli ospitati, ma con un accompagnamento forte e solidale.

Un altro 19,7% delle ospitalità avviene in ambienti di proprietà parrocchiali che erano già pronti o che sono state adattati allo scopo. Il 17,7% avviene direttamente nelle case delle famiglie ospitanti italiane. Istituti religiosi e Seminari concorrono per un altro 16,8%. I Centri di accoglienza di gestione ecclesiale – già finalizzati all’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati – ospitano un altro 16,8%. Residuale è il ricorso all’albergo in vista di altre soluzioni con l’1,3%.

La maggior parte delle ospitalità avviene nelle grandi città del nord, del centro e del sud d’Italia. Ma si può parlare di un’accoglienza molto diffusa in tutta la penisola, anche in piccole diocesi e città.

Penso che basti questo per rappresentare le caratteristiche della ospitalità della Chiesa attraverso la Caritas in Italia.

  • In tanti anni di servizio Caritas, specie nel settore internazionale, tu hai osservato tante guerre nel mondo. C’è qualcosa di diverso ora? 

Questa guerra è diversa e, al tempo stesso, uguale a tutte le altre recenti guerre, nell’orrore. È diversa perché in qualche modo ci riporta al passato delle guerre di invasione e di conquista dei territori, mentre gran parte delle guerre che ho osservato negli ultimi anni si sono combattute all’interno degli stessi territori.

Ma è purtroppo – anche questa – molto simile a tutte le altre che ho conosciuto per il crescente ed enorme impatto sulla popolazione civile. Se negli anni ’50 – questi sono dati statistici – per ogni vittima militare avevamo 0,8 vittime civili, negli anni ’90 il rapporto è divenuto 1 a 8, mentre ora stiamo superando persino quest’ultimo rapporto. Questo vuol dire che ormai il 90% delle vittime di guerra è tra i civili, secondo una precisa volontà di coinvolgere e usare le popolazioni civili inermi nella guerra: colpendole e affamandole. È una costatazione molto obiettiva. Terribile.

  • Quali sono e saranno le conseguenze di questa guerra?

Le stiamo già osservando. Tutta l’umanità già ne soffre anche in regioni lontane dal teatro di guerra. Sono i poveri del mondo quelli che più ne soffrono, come sempre.

Ovunque aumenta l’inflazione e i prezzi dei carburanti e del cibo sono incrementati. La povertà assoluta e la fame sono le conseguenze immediate che vediamo già da ora.

  • Secondo Caritas – e secondo te – cosa si può fare?

Se si facesse un sondaggio planetario facilmente scopriremmo che tutta l’umanità che sta soffrendo non vuole la guerra: chiede soltanto la pace. L’umanità chiede a gran voce la pace. Papa Francesco continua a dirlo: “L’umanità chiede la pace”.

Con Francesco penso che i leader e i governanti abbiamo il dovere di ascoltare la richiesta di pace che viene dalla stragrande maggioranza dell’umanità, anziché fomentare l’odio per allestire eserciti da mandare in guerra. Tutti noi abbiamo – pure – il dovere di costruire la pace con gesti di bontà e di carità.

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