La nuova Etiopia, il fallimento di Abiy

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La caduta di Dessié e Kombolcha in Etiopia sono un colpo duro per il governo di Addis Abeba nel terribile conflitto che ormai da un anno va avanti senza un’apparente soluzione. La perdita di quelle città, per il governo etiope, significa «probabilmente perdere Addis Abeba», dice ad Africa Rivista Uoldelul Chelati Dirar, professore associato di Storia e istituzioni dell’Africa all’Università di Macerata: la direzione del conflitto si scrive in queste ore.

Secondo Dirar, seppur superiore ancora dal punto di vista militare, in particolare grazie al supporto dell’aviazione, il governo di Abiy è stretto in una morsa, da nord il TPLF (Fronte popolare di liberazione del Tigray) e da sud l’Oromo Liberation Army (OLA). Una precarietà che è anche piuttosto evidente, come ad esempio nell’annuncio fatto dallo stesso Abiy, che si è appellato ai cittadini di Addis per difendere la città.

«L’esercito etiope dà l’impressione di un completo sbandamento e il fatto che da metà giugno ad oggi sia stato costantemente sconfitto in ripetuti scontri e battaglie, anche complesse» non va a favore delle forze armate di Addis Abeba, «nonostante fino ad agosto ci sia stata una forte partecipazione dell’esercito eritreo sul fronte orientale».

Il capovolgimento di fronte, con il TPLF che nelle ultime settimane è riuscito a respingere l’assedio in Tigray e a rilanciare un contrattacco che sembra inarrestabile, è stato reso possibile da tre errori principali.

«La supponenza» con una messa in opera di una campagna militare anche molto pomposa, e che come nel caso dei droni ha preso di sorpresa i tigrini, ma che ha illuso Addis Abeba di poter concludere la guerra in breve interpretando come una vittoria la ritirata e l’attesa del TPLF. Un secondo errore «è stato l’aver dato mano libera alle milizie amhara ad ovest, così come all’esercito eritreo, che si sono scatenati in pratiche di violenza gratuita ed efferata contro i civili» che ha prodotto un risultato probabilmente inaspettato, il compattamento della popolazione civile intorno al TPLF «che fino a quel momento non era scontato», cosa che ha garantito copertura e sostegno militare ai guerriglieri tigrini. Il terzo elemento è stato «sottovalutare la capacità strategica» del TPLF: «La testa dell’esercito era tigrina e l’ha dimostrato», afferma Dirar.

Ciò su cui vale oggi la pena interrogarsi è sulla qualità dell’alleanza tra tigrini e oromo, e se il cartello di 9 gruppi armati tutti apertamente contrari ad Abiy che si sono formalmente coalizzati il 5 novembre a Washington: «Bisogna capire se è solo in funzione dell’eliminazione di un comune nemico o se esiste un progetto politico, come sembra emergere, capace di fare un ragionamento più ampio sul dopo».

Tale fluidità della situazione sul campo rende estremamente difficile anche solo immaginare l’epilogo di questo conflitto. L’unica certezza è il fallimento del progetto politico di Abiy Ahmed, non tanto per il progetto in sé quanto più per il ritorno ad un vecchio modello centralista, poco gradito agli etiopi. E poi c’è la variabile internazionale, anche qui non si sa ancora quanto incisiva: «Uno dei dogmi della politica estera degli Stati Uniti nel Corno d’Africa è l’integrità dello Stato etiope», sostiene ancora Dirar. Sarà quindi interessante osservare se il peso di Washington sarà per un sostegno ad Abiy o per un suo pensionamento anticipato.

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