La Russia un anno dopo

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guerra

A un anno dalla aggressione militare della Russia all’Ucraina, chiediamo alla giornalista e storica Anna Zafesova quali sono i pensieri, gli umori e le prospettive della società russa. Il testo è curato da Tiziana Bacchi e Giordano Cavallari.

  • Gentile Anna, è ancora in corso la mobilitazione in Russia per mandare combattenti al fronte ucraino?

È ancora in atto una mobilitazione strisciante. Le autorità sostengono che quella dichiarata a suo tempo è finita e non c’è altro. In realtà ci sono persone che continuano a venire chiamate alle armi, anche se in numeri e in forme non paragonabili alla fine del settembre scorso. Si procede ora in maniera più mirata e meno evidente.

Noto il continuo reclutamento di detenuti piuttosto e l’incentivazione dei volontari per il fronte. Ciò indica come la Russia abbia bisogno di reclutare altre decine di miglia di persone per sostenere questa guerra. Ma l’autorità bada bene, almeno al momento, a non annunciare una nuova mobilitazione ufficialmente. I costi politici dell’operazione di fine settembre sono stati infatti molto pesanti per il Cremlino.

Emigrazioni
  • Contestualmente l’esodo di cittadini e famiglie russe è ancora in corso?

Non si può parlare di un esodo comparabile al mese dell’ottobre 2022, con code di chilometri alle frontiere. Ma ci sono russi che ancora se ne stanno andando dal loro Paese, anche in questi giorni: in maniera meno frenetica, più meditata e più organizzata. La messa in vendita di case ed auto usate costituisce un buon indice di riferimento. Le persone che lasciano hanno bisogno di soldi e di soldi in contanti.

Dall’estero è impossibile, infatti, accedere ai conti in Russia. L’incremento delle vendite è in questo momento proporzionale a quello degli acquisti. I prezzi sono favorevoli. Anche questi dati narrano, dunque, una migrazione – appunto strisciante – ancora in atto.

  • È possibile per i russi andarsene e verso dove?

Le frontiere sono di per sé aperte, ma sta diventando più difficile andarsene. Da gennaio, la Turchia ha tagliato l’emissione dei permessi di soggiorno per i cittadini russi, in precedenza facilmente ottenibili: bastava affittare un alloggio e mostrare di avere i mezzi di sostentamento per i prossimi mesi.

Migliaia di russi sono andati in Turchia e hanno comprato o affittato case là, aprendo conti bancari e iscrivendo i figli a scuola. Ora stanno amaramente scoprendo che la Turchia non li vuole più. La stessa cosa è avvenuta o sta avvenendo verso altri Paesi, soprattutto dell’ex Unione Sovietica, i primi a cui si è rivolto l’esodo russo. La Lettonia, ad esempio, ha annunciato che, in caso di una nuova mobilitazione, non accoglierà più i russi in fuga dalla coscrizione nell’esercito di Putin.

Emigrare sta diventando quindi sempre più difficile: sta emigrando chi ha la certezza e la facoltà di trovare un lavoro sicuro all’estero, oppure di risiedere all’estero continuando a lavorare, a distanza, per la Russia. Si tratta evidentemente di persone che hanno mezzi sia economici che professionali. Restano tante incognite su quanto potrebbe accadere se fosse proclamata una nuova e urgente mobilitazione.

  • Come vede il regime questa perdita di cittadini? Sta elaborando contromisure?

Per quanto ne so, c’è un grande dibattito all’interno del regime, combattuto tra chiudere o non chiudere le frontiere, penalizzare o meno i partenti e i partiti. Il regime sta valutando i pro e i contro, con contrastanti posizioni. C’è chi vorrebbe introdurre penalizzazioni di tipo fiscale – quale una vera e propria confisca dei beni – o propriamente penali. Mentre c’è chi sostiene che le persone vadano incoraggiate a restare e a tornare, perché appunto appartenenti alle fasce più abbienti della popolazione e capaci di maggior gettito fiscale.

Alti esponenti del regime, quale il presidente della Duma Volodin, dicono che gli esuli vanno stigmatizzati. Altri, quale il premier Mišustin, sostengono che non c’è assolutamente bisogno di farlo. Consideriamo che, per molti esponenti del regime, è preferibile che gli scontenti stiano fuori dalla Russia: dentro costituiscono pur sempre un potenziale di protesta, più o meno manifesta, ma comunque temibile. Sino ad ora l’opzione prevalente è stata: “meglio che chi non è d’accordo se ne vada”.

  • C’è ancora emigrazione verso il Kazakhstan?

Anche il Kazakhstan ha cominciato a ridurre i termini di permanenza in esenzione di visto, alla luce del fatto che i russi arrivati negli ultimi mesi sono centinaia di migliaia: in alcune regioni frontaliere ciò ha creato non pochi disagi a livello sociale. Tra settembre e ottobre i volontari kazaki hanno ospitato i russi nelle loro case, nei cinema, nelle moschee, ovunque. Ma sono situazioni che non sono a lungo facilmente sostenibili.

  • Verso la Georgia?

La Georgia è stato il Paese che probabilmente ha ricevuto il più grande numero di russi in rapporto alla popolazione locale. Molti russi si sono mostrati spiacevolmente arroganti verso i georgiani, così come verso i kazaki. Non ignoriamo che molti russi restano portatori di un atteggiamento imperiale nei confronti delle popolazioni dei Paesi dell’ex Unione Sovietica.

Confini
  • Quali altri effetti di immigrazione si sono prodotti nei Paesi dell’ex URRS?

In Georgia il PIL ha conosciuto da subito un’impennata positiva del 10-15% per effetto del sopraggiungere di russi facoltosi che, in molti casi, non solo hanno portato i loro soldi, ma anche le loro aziende. Ma questo non ha significato solo benefici per la popolazione: i prezzi degli affitti sono saliti alle stelle.

Questo vuol dire che alcuni operatori locali si sono arricchiti ma che molte famiglie si sono impoverite. Le autorità del posto si sono trovate a gestire non pochi problemi.

  • Alle frontiere con la Finlandia e con gli altri Paesi baltici cosa sta accadendo?

Come annunciato, la Finlandia ha chiuso l’accesso ai cittadini russi, tranne che per i casi di ricongiungimento familiare e i casi umanitari. È così per tutti i Paesi baltici. Lettonia ed Estonia hanno cominciato a rivedere i permessi di soggiorno già concessi negli anni precedenti. Molti russi possedevano appartamenti oppure società in Lettonia ed Estonia: significava possedere un permesso valido per i Paesi europei.

Ora, la revisione dei permessi è volta a verificare le posizioni politiche degli interessati. Il fatto indica tutta la preoccupazione dei Paesi che, da sempre, si sentono minacciati dalla ingerenza e dall’invasione russa. Non vogliono vedersi aumentare le fila di una possibile “quinta colonna” filorussa al loro interno.

  • L’accesso all’Europa è dunque sostanzialmente chiuso ai russi in questo momento?

I collegamenti aerei restano chiusi. Non ci sono collegamenti diretti tra la Russia ed Europa, come noto, dai primi giorni della aggressione dell’Ucraina. Per arrivare in aereo in Europa i russi devono fare un lungo giro e diversi scali, con conseguenti costi.

I valichi di terra a nord Ovest – cioè quelli di Finlandia, Estonia e Norvegia – sono sostanzialmente chiusi, oppure, come detto, limitati. Ciò non vuol dire che non stia arrivando più nessuno nei Paesi europei. Ci sono russi che cercano asilo – in quanto potenziali perseguitati politici – in Europa.

  • Ha qualche dato sui trasferimenti in Europa?

Non dispongo di una statistica europea. Sto comunque parlando di qualche centinaio di migliaia di russi complessivamente: in Germania e in Francia più che in altri Paesi europei. Benché in Italia il fenomeno sia limitato, conosco persone che hanno chiesto asilo nel nostro Paese e che lo hanno ottenuto, altre che sono in attesa, con i notori tempi italiani.

È peraltro sempre difficile una valutazione circa le posizioni politiche dei russi. L’Europa dovrebbe prendere, a mio avviso, una posizione unitaria al riguardo. Mentre, per ora, i Paesi europei stanno procedendo in ordine sparso.

  • Secondo lei l’accoglienza dei russi in Europa andrebbe facilitata?

È una questione complicata. Non c’è dubbio che molti fuggano perché non condividono le ragioni politiche della invasione e non vogliono venirne travolti. Ma questo non è vero proprio in tutti i casi. Secondo me, questa emigrazione è da accogliere. Non condivido le posizioni rigide dei Paesi dell’est europeo e dei Paesi nordici che respingono i russi. D’altro canto, questa migrazione va seguita e gestita con attenzione: come temono polacchi, lettoni, estoni, lituani e cechi, molti russi potrebbero rivelarsi nazionalisti del loro Paese e oppositori delle democrazie occidentali.

Peraltro, molti dei cosiddetti oligarchi coi loro famigliari sono sistemati già da molto tempo nei Paesi europei. Persino funzionari del regime di Putin sono proprietari di immobili in Europa e hanno figli che studiano qua. Una certa “infiltrazione” è un dato di fatto. I rischi ci sono. Vanno corsi ed equilibrati con un giusto senso umanitario, che non dovrebbe mai mancare all’Europa.

In Russia
  • Un massiccio esodo dalla Russia – specie dei cosiddetti “cervelli” – non allontana la possibilità di transizione del regime? 

È una delle possibili obiezioni: se i russi “migliori” scappano, non rimane nessuno ad opporre resistenza al regime; per cui, invece di scappare, i russi dovrebbero restare ed adoperarsi attivamente per una transizione democratica.

Ma vediamo quanta fatica stia facendo un’autentica opposizione a manifestarsi! Come sappiamo, ciò si spiega con la sempre più forte repressione che il regime è in grado di esprimere.

  • Esiste un’autentica opposizione politica in Russia?

Prima che la repressione diventasse così forte c’era il movimento di Aleksej Naval’nyi. Ha avuto numeri significativi nei manifestanti delle piazze, anche se lontani dalla descrizione di un movimento di massa. È bastata un’ondata di repressioni e di arresti – qualche migliaio – insieme alla propaganda, e alla facoltà delle frontiere aperte, per smontare di fatto questo movimento.

Anche all’estero – nella diaspora russa – oggi costituita da qualche milione di persone, non si vede un movimento coordinato di dissenso rispetto al proprio Paese. Non abbiamo visto e non vediamo, se non pochissimi, russi scendere in piazza nei Paesi dell’ex URSS, così come in Europa. Nulla di paragonabile, mi pare, con quanto si manifestando in Iran e nella diaspora iraniana. Anche nei russi all’estero c’è dunque molta paura, probabilmente per quanto può accadere ai familiari, ai parenti e agli amici rimasti in Russia. Mentre è indubbio che l’opposizione a una dittatura così forte non possa che attraversare grandi rischi e dolore.

Parlare perciò di opposizione al regime di Putin significa – in Russia e fuori dalla Russia – parlare, sostanzialmente, di singoli casi, di gruppi sparsi, di singoli oppositori. Non di un movimento politico vasto e organizzato.

  • Il canale telegram “Vesna” sta mostrando, in questi giorni, foto di memoriali spontanei nelle città russe, con fiori deposti ai piedi dei monumenti di scrittori e artisti ucraini: quale interpretazione darne?

È un fenomeno interessante. Secondo me, significa che ci sono sempre più russi che si rendono conto di essere in guerra – contrariamente a quanto sostenuto sino ad ora dalla propaganda – e di trovarsi dentro una guerra terribile. Ma anziché contestare apertamente – con la certezza di essere immediatamente arrestati – manifestano in altri modi, mimetici, il loro dissenso.

Penso al collegamento tra questi memoriali per poeti e scrittori ucraini e le stragi dei civili In Ucraina, ad esempio prodotte con l’attacco missilistico a Dnipro del 14 gennaio (che ha prodotto più di 50 vittime, in un sol colpo, in un palazzo residenziale). Alcuni russi hanno accettato di parlare di questo davanti alle telecamere dicendo che non vogliono che i civili muoiano: sono stati fermati dalla polizia e i fiori deposti sono stati portati via, per poi presto ricomparire. Qualcuno ha mostrato la faccia, mentre i più hanno preferito manifestare nascostamente i propri sentimenti. Trattandosi di decine e decine di persone è pur sempre qualcosa di misurato. Non è possibile, in ogni caso, parlare di contestazione o di opposizione politica organizzata.

Purtroppo, ho visto anche russi dichiarare, davanti alle telecamere o nei social, che è giusto che l’esercito colpisca anche i civili. La narrativa della propaganda è peraltro mutata: se fino a qualche mese fa negava gli obiettivi civili, ora ammette pubblicamente la presa di mira  delle infrastrutture civili.  Protagonisti di noti tal show ridono e deridono la popolazione ucraina priva di corrente elettrica e riscaldamento. Ho sentito battute di comici durante gli spettacoli di Capodanno: si scherzava su chi in quel momento si trovava al freddo e al buio.

Questi fenomeni – di assai diverso segno – testimoniano come l’opinione pubblica russa si stia polarizzando. Ovviamente è molto difficile dare numeri rispetto alle tendenze. Quel che si può dire, guardando anche ai cosiddetti sondaggi segreti commissionati dal Cremlino che filtrano in rete, è che il consenso esplicito alla guerra, da settembre, si va riducendo.

  • Dopo un anno, si coglie dunque stanchezza per la guerra?

Di certo, da settembre, la guerra ha cominciato a riguardare maggiormente i russi delle grandi città, all’aumentare delle probabilità di venire reclutati e mandati al fronte e morire. Questo ha dato sicuramente un colpo agli umori generali. Forse oggi la maggior parte dei russi vorrebbe un negoziato. Non è dato di capire se lo vogliano alla maniera di Putin – ossia col riconoscimento dei territori occupati e annessi arbitrariamente – o con altro tipo di soluzione negoziale.

Vero è che c’è stanchezza di guerra, per tante ragioni. Lo stesso Ministero della Sanità della Federazione Russa, ammette che, a seguito della guerra, sono a rischio le forniture di un centinaio di farmaci tra i più diffusi in Russia: farmaci di base come il paracetamolo o come l’insulina, per fare esempi.

Sono farmaci – questi – prodotti anche in Russia ma con componenti che, nel mondo globale, provengono da Paesi quali l’India. Si sta percependo quindi, più sensibilmente, tutta una serie di disagi di tipo economico e sociale, a motivo della guerra.

Le sanzioni europee
  • Si tratta degli effetti delle sanzioni occidentali?

Chi si aspettava che la Russia alla prima sanzione alzasse le mani in segno di resa ha evidentemente sbagliato ogni previsione. Tuttavia, l’economia russa, poca alla volta, sta calando in una situazione molto difficile o drammatica. Dai numeri che stanno uscendo, si nota come si stia esaurendo quel “tesoretto” – sostanzialmente costituito dall’export di risorse energetiche – deputato a sostenere il benessere nazionale, in caso di calamità naturali e di cambi di congiuntura. Secondo le stime degli esperti, se la Russia continua ad attingere da questo fondo con l’attuale ritmo, nella migliore delle ipotesi, questo si esaurirà entro il prossimo anno.

Più di un terzo del bilancio russo è dedicato alla guerra. Qualche analista parla persino di metà risorse pubbliche impiegate per la guerra e per la sicurezza interna, con una economia che non riesce più ad alimentarsi di profitti enormi di petrolio e di gas, soprattutto verso l’Unione europea.

Oggi il prezzo del petrolio viaggia intorno ai 45 $ al barile: la Russia lo sta vendendo alla Cina e, soprattutto, all’India, con uno sconto intorno di 20$ a barile, cercando di rimpinguare le proprie casse compensando con le quantità. Ma l’operazione risulta sempre più difficile. La Russia sta cercando di ricostituire le risorse monetarie, ma con sempre maggiore difficoltà.

Il danno strutturale – qualitativo e non solo quantitativo – arrecato dalle sanzioni all’economia è espresso, ad esempio, dalla ritirata della Russia dal mercato automobilistico, con un crollo della produzione automobilistica pari al 90% nel corso del 2022. Ancora: metà dei centri commerciali russi sono sull’orlo del fallimento, perché i marchi occidentali se ne sono andati e i marchi locali non dispongono di capitali abbastanza forti per subentrare.

Se si guarda solo ai macro-numeri – peraltro facilmente manipolabili – sembrerebbe che le cose non vadano così male. Ma la realtà, settore per settore, è ben altra cosa. È in atto un importante impoverimento della popolazione. La situazione è sempre più pesante da sostenere.

  • Come la popolazione interpreta gli effetti delle sanzioni?

Sulla popolazione funziona ancora lo slogan secondo il quale tutte le colpe dei guai sono di origine occidentale. Ucraini. Se non ci sono più le medicine, se non c’è la possibilità di andare in vacanza in Europa o la possibilità di comprarsi vestiti di moda è colpa degli occidentali. È ancora molto diffuso il meccanismo di rifiuto delle proprie – gravi – responsabilità, spostandole su altri.

Circola un filmato – divenuto “virale” da qualche settimana – in cui una donna russa viene informata che suo figlio è stato ucciso in Ucraina: questa si mette a gridare: «maledetti ucraini! È tutta colpa dell’Ucraina!». Evidentemente il figlio è stato ucciso perché mandato in Ucraina da Putin in una guerra di aggressione. Ma questo, evidentemente, per la povera madre non conta. La psicologia spiega come possano scattare, in tali tragiche circostanze, meccanismi del tutto umani e del tutto ingiustificati.

Parimenti funzionano meccanismi di difesa psicologica anche per i disagi economici e sociali: si sta male e si accusa qualcun altro del fatto che si sta male. Non si può sopportare l’idea di star male a causa di una colpa propria. Mi pare che questo sia un atteggiamento molto diffuso nella popolazione russa di questi tempi.

Dopo la guerra
  • Ma la gente russa ha un’idea di come si possa uscire da questa situazione?

Obiettivamente, secondo me, è una situazione dalla quale la Russia potrebbe uscire soltanto facendo una ritirata, cosa che il regime russo non sembra minimamente intenzionato a fare. Forse sta ipotizzando una soluzione di ripiego senza mostrare che sia tale.

Sta forse cercando qualcosa da spacciare per vittoria: potrebbe essere la richiesta di Putin – ancora molto informale – di tenersi i territori ora occupati dell’Ucraina. Ritengo però che – se si potesse fare un reale sondaggio  – si registrerebbe una forte divergenza d’opinione tra coloro che vogliono la fine della guerra ad ogni costo e coloro che accetterebbero di farla finire restituendo all’Ucraina tutto il maltolto.

La maggior parte dei russi vorrebbe quindi che questa guerra finisse presto, inclusi i sostenitori e i beneficiari del regime: ma sul come, penso che vi siano opinioni ancora molto diverse.  

  • Quali prospettive politiche post-belliche lei intravvede per la Russia?

La realtà della società russa è, per me, molto grave, soprattutto in visione postbellica: dopo che la Russia avrà perso questa guerra, ci sarà una Russia “politica” da ricostruire totalmente. Ora non sappiamo neppure quale Russia “geografica” uscirà dalla guerra.

Di certo ci sarà tutto da rifare. E a ricostruire potrà essere soltanto chi si sarà guadagnato la possibilità e la credibilità di farlo, quale buona parte russa che avrà combattuto contro la cattiva del regime. Ogni occasione perduta di schieramento contro il regime di Putin – ora – è un’occasione mancata per prefigurare la costruzione di un futuro politico diverso per la Russia, poi: ossia per mostrare che esiste una classe intellettuale, dirigente, democratica e capace di stare nella comunità internazionale.

Vorrei dire qui a quei russi che oggi sono preoccupati perché il loro Paese rimarrà reietto per i prossimi cinquant’anni a motivo dei crimini di guerra commessi in Ucraina – oltre che per tutto il suprematismo che ha sospinto l’invasione e le invasioni – di sforzarsi da subito a mostrare che esiste un’altra Russia. Altrimenti non vedo prospettive positive di soluzione.

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13 Commenti

  1. don massimo nardo 22 febbraio 2023
  2. Pietro 21 febbraio 2023
    • Mihajlo 21 febbraio 2023
      • Pietro 24 febbraio 2023
        • Anima errante 26 febbraio 2023
  3. Gian Piero 20 febbraio 2023
    • Pietro 21 febbraio 2023
    • Anima errante 21 febbraio 2023
  4. Vanloon 20 febbraio 2023
  5. Fausto 18 febbraio 2023
    • Pietro 19 febbraio 2023
    • Marco 20 febbraio 2023
    • Anima errante 20 febbraio 2023

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