Haiti: sofferenza senza fine

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Clara Zampaglione è cooperante internazionale – per Caritas italiana – ad Haiti. È rientrata da pochi giorni in Italia per passare il Natale con la famiglia. SettimanaNews raccoglie qui la sua testimonianza.

  • Clara, vuoi ricordare brevemente la storia recente di Haiti?

Il terremoto del 2010 segna lo spartiacque della storia contemporanea di Haiti, tanto che si usa già l’espressione: prima e dopo il terremoto. Ricordo che quel terremoto ha fatto più di 230.000 morti e ha portato tanta devastazione.

Da allora si è susseguita una serie di eventi – altre catastrofi naturali insieme a crisi sociali e politiche sempre più gravi – che tuttora impedisce a questo Paese di risollevarsi dalla disdetta.

Nel 2019 è venuto alla luce lo scandalo della appropriazione indebita dei fondi destinati alla ricostruzione da parte dell’allora presidente Moise e di altri politici. La crisi sociale, già in atto, si è ulteriormente acuita.

Sono venute a mancare stabilità e sicurezza di vita intesa anche proprio come incolumità personale. Le armi hanno iniziato a circolare in abbondanza e, chiaramente, ad essere pure usate, troppo spesso. L’assassinio di Moise nel luglio di quest’anno ha segnato l’apice – purtroppo ancora provvisorio – della profonda crisi che questo Paese sta vivendo.

  • Papa Francesco, al termine dell’udienza della settimana scorsa, ha detto: “povera Haiti, una dietro l’altra!”.

Penso che Haiti sia un Paese tra i più colpiti al mondo in fatto di catastrofi naturali: terremoti e cicloni. Appena il 14 agosto scorso c’è stato, nel sud del Paese, un terremoto, che ha fatto altri 2.200 morti e più, con altre devastazioni sulle case e sulle strutture. Questo ha allargato il terreno su cui si muovono le bande armate.

Queste sono arrivate, nel post-terremoto di agosto, persino a minacciare il rifornimento degli aiuti umanitari provenienti dall’estero. Soprattutto – dopo aver provocato ad arte il blocco del rifornimento dei carburanti dal sud del Paese verso la capitale Port-au-Prince e quindi da qui alle altre zone nel novembre appena trascorso – hanno assunto un controllo tale del territorio che il governo è stato costretto a trattare con loro per aprire dei corridoi di passaggio e di rifornimento sia di viveri che di carburanti. Ciò la dice lunga sulla condizione in cui versa il Paese: il governo è ostaggio delle bande.

  • Puoi spiegare meglio la crisi dei carburanti e l’esplosione della autocisterna che si è verificata pochi giorni fa, a cui ha fatto riferimento lo stesso papa Francesco?

Per capire quanto i carburanti siano di vitale importanza anche solo per far funzionare i servizi essenziali, bisogna sapere che Haiti non dispone di una rete elettrica autonoma. C’è e non c’è: funziona a singhiozzo.

Quindi tutto – nel privato come nel pubblico – funziona con generatori di corrente elettrica a motore diesel. Senza carburanti non funzionano quindi neppure gli ospedali, oltre che i trasporti e gli altri servizi di base. Non parliamo delle scuole. Noi stessi – operatori umanitari – siamo in gravi difficoltà nel vivere e nel fare il nostro lavoro quando non arrivano i rifornimenti di carburante.

L’esplosione della cisterna di carburante che, appena pochi giorni fa, ha fatto 70 morti tra cui diversi bambini, oltre che tantissimi feriti, è davvero emblematica. Dopo l’incidente stradale che ha determinato il ribaltamento della autobotte, la gente non avrebbe dovuto fare altro che allontanarsi, scappare!

Invece la gente è accorsa! Per quella gente la benzina contenuta nella cisterna era un bene troppo prezioso per lasciarlo perdere per strada. Hanno rischiato la vita con un moto istintivo, non ragionevole, fatto da chi non ha nulla da perdere, ma solo può cercare di portare a casa qualcosa.

  • Qual è la prospettiva politica di Haiti?

Il governo dell’attuale presidente Henry – di cui i capibanda chiedono le dimissioni minacciandolo – sta cercando aiuto dall’estero. Chiaramente non si invoca un intervento militare, ma un aiuto di rafforzamento istituzionale – quello sì – per riuscire a ripristinare almeno le condizioni di sicurezza che consentano di potersi muovere e lavorare nel Paese e così contrastare la situazione di estrema povertà e di vera e propria fame che ormai interessa tutto il Paese, soprattutto nelle zone rurali.

  • Dei rapimenti, anche di missionari, cosa puoi dire?

I missionari americani sono stati evidentemente individuati a fini di riscatto. Ma quel che colpisce è che i rapimenti siano realizzati senza una chiara logica.

Dobbiamo sapere che i rapimenti sono ormai all’ordine del giorno ad Haiti e che la maggior parte dei rapiti sono haitiani: persone del popolo. All’estero fanno naturalmente notizia i rapimenti dei connazionali. Ma i rapiti sono molti di più e purtroppo non fanno notizia.

  • Abbiamo saputo dei rimpatri di numerosi migranti haitiani dagli Sti Uniti: ora dove sono e come vivono? 

Tra settembre ed ottobre sono stati forzatamente rimpatriati – con voli aerei – più di 11.000 haitiani che avevano tentato la perigliosa sorte della migrazione negli Stati Uniti attraverso il Messico.

Avevano impiegato mesi di sofferenze inenarrabili per arrivarci e c’erano in qualche modo riusciti. Sono tornati nel loro Paese in una condizione peggiore di quella in cui lo avevano lasciato. Una volta ad Haiti, vengono aiutati dalla Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) a rientrare nei luoghi di origine per la ‘reintegrazione’.

  • Ci sono campi di raccolta per gli sfollati dei terremoti?

Dopo il terremoto di quest’anno nel sud del Paese, chi ha potuto è comunque tornato presso le proprie abitazioni, anche se diroccate, per quanto precaria sia la vita che vi si possa fare. Ci sono ancora campi nella zona di Martissant e Carrefour: lì si era formata a giugno una ‘sacca’ di 17.000 sfollati.

Buona parte di questa popolazione è appunto rientrata, nonostante sia tuttora in corso una vera e propria guerra armata tra due bande rivali in quella zona.

  • Quanti poveri ci sono ad Haiti?

Tutta la popolazione soffre di povertà: più della metà – circa il 60% secondo le stime – versa in stato di ‘grave povertà’.

  • Cosa stai facendo – con Caritas – per i poveri di Haiti?

Siamo impegnati soprattutto al sud del Paese in vari progetti umanitari di distribuzione di generi alimentari e di prima necessità, quindi in progetti di carattere educativo, formativo, di accompagnamento psicologico, di incentivazione dell’economia rurale.

Purtroppo, in ogni angolo del paese c’è bisogno. Sia pure con altri partner, non riusciamo ad arrivare ovunque. Caritas Italiana sta sostenendo inoltre la Caritas di Port-au-Prince in un progetto di accoglienza delle famiglie giunte dalla zona delle violenze di Martissant. Il progetto ha valenza sanitaria oltre che sociale.

  • Da dove vengono le risorse per sostenere i progetti per i poveri di Haiti?

Le risorse fondamentali vengono dalla Conferenza episcopale italiana grazie ai fondi dell’8 per mille, oltre che da generose donazioni di privati.

  • Quando tornerai ad Haiti? Con quali sentimenti? Non temi, almeno un poco, anche per te stessa?

Rientrerò ad Haiti a metà gennaio. Sì, ci vuole una certa forza a tornare. Anche gli operatori umanitari potrebbero entrare nelle mire dei rapitori. Io non mi sento un bersaglio. Mi preoccupo poco di questo. Mi muovo peraltro in un perimetro piuttosto delimitato e considerato “sicuro”.  Ma è certo che ad Haiti le situazioni possono mutare in un batter d’occhio.

Per conoscere e sostenere i progetti di Caritas Italiana clicca qui.

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