Lettera dal Burkina Faso

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Lettera dal Burkina Faso

Carissimi fratelli e carissime sorelle in Italia,

vi raggiungiamo per condividere la situazione legata al terrorismo che il Burkina Faso sta vivendo da alcuni anni. Vi presentiamo una sintesi dei vari avvenimenti col desiderio che possiate ricordare questo nostro paese sempre più nella vostra preghiera.

Evoluzione dei fatti in questi anni

I primi attacchi sono cominciati nel 2016: la capitale è stata colpita due volte. All’epoca si pensava che l’obiettivo dei terroristi fosse quello di colpire gli europei, visto che i loro bersagli sono stati un hotel e un caffè frequentati principalmente da occidentali, a motivo della presenza dell’esercito francese in Mali, impegnato in operazioni belliche contro i jihadsti dal 2013

Nello stesso anno, nella parte settentrionale, sono emersi predicatori islamici radicali che, piano piano, hanno portato alla formazione di gruppi armati che hanno cominciato a muovere attacchi nei villaggi, colpendo le figure di autorità: capi villaggio, sindaci e responsabili delle comunità islamiche che non sostenevano la loro causa. In seguito sono cominciati attacchi ai militari e ai poliziotti. Il governo aveva interpretato tutto questo come il tentativo di provocare una sommossa nell‘esercito per rovesciare la sua stabilità.

Il terzo attentato a Ouagdougou, nel marzo 2018, è stato fatto contro un quartiere generale dell’esercito e contro l’ambasciata di Francia, ed era coinciso con l’inizio del processo penale contro due generali del precedente presidente Blaise Compaore.

In certe occasioni, agli attacchi dei terroristi sono seguite rappresaglie verso le popolazioni di etnia peulh, considerata non solo complice ma anche numericamente troppo numerosa tra le fila dei terroristi. L’assalto con più vittime è stato quello di Yirgou, al centro nord del paese, di cui il governo ha dato un bilancio ufficiale di 49 morti tra i civili, mentre, alcune organizzazioni, hanno avanzato numeri più elevati: circa 200 morti. Queste rappresaglie hanno opposto le persone di origine mossi (numerose in Burkina) ai peulh, rischiando di dare una connotazione etnica al conflitto.

Jihadismo contro le Chiese

Quest’anno sono cominciati attacchi contro la Chiesa e le chiese: un sacerdote missionario spagnolo è stato ucciso nel mese di febbraio mentre era in viaggio ai confini col Togo; un parroco è stato rapito e a oggi non ci sono sue notizie. Un altro sacerdote e vari fedeli sono stati uccisi in tre attacchi, dal periodo pasquale sino ad oggi.

Due volte le chiese protestanti sono state attaccate, così come sono state colpite anche due comunità musulmane. Certi gruppi islamici mirano a islamizzare le popolazioni sotto il loro dominio e, per raggiungere il loro obiettivo, cercano di creare ostilità tra la religione cristiana e la musulmana.

L’anno scorso, in un incontro con i superiori dell’esercito del Burkina sulla sicurezza nel paese, un partecipante aveva chiesto se, un giorno, avremmo dovuto assistere ad attacchi verso le chiese. La risposta era stata positiva a motivo del fatto che stava avvenendo un cambiamento continuo nei modi di operare e di scegliere i bersagli da parte del terrorismo.

Dal nord del paese, la zona del conflitto si è infatti estesa alla zona est e sud-est, ai confini con il Benin e col Togo, sino ad alcune zone del nord-ovest. L’intenzione dei terroristi è ora chiaramente quella di occupare tutto il paese, partendo dalle zone più periferiche per poi invadere il centro e infine giungere nella capitale.

Le cause

Le precise ragioni degli attacchi in Burkina non sono chiare in quanto solo pochi attentati sono stati espressamente rivendicati. Non è possibile conoscere con chiarezza chi e cosa stia provocando tutta questa violenza. I primi attentati sono stati rivendicati da alcuni movimenti jihadisti in lotta contro la Francia perché impegnata, in prima fila, nella guerra contro il terrorismo.

Sulla scorta di tale motivazione anche la Costa d‘Avorio è stata colpita, con un attentato a Grand-Bassam, nel mese di marzo 2016. Riguardo alle  cause e alle motivazioni più profonde ci sono diverse interpretazioni.

Una delle cause, considerata la principale, è l’instabilità nella zona del Sahel, in particolare nel Mali e in Niger. Nel Mali, sin dagli anni sessanta, c’è una parte della popolazione (Tuareg) che da sempre rivendica la parte nord del paese quale territorio proprio a statuto speciale con indipendenza dal governo centrale.

Il conflitto, in questi decenni, ha conosciuto periodi di calma e periodi di intensa lotta, sino ad acuirsi nel 2012, ossia dopo la caduta di Ghedaffi in Libia. Questa situazione ha favorito un grande spostamento di combattenti e di armi nella regione del Sahel, rafforzando i gruppi di estremismo islamico e generando molta più instabilità.

Un’altra causa, sostenuta dai membri del governo attuale del Burkina, è che Blaise Compaore, il precedente presidente deposto dalla insurrezione popolare del 2014, nei suoi 27 anni di governo avrebbe stabilito un patto con i gruppi terroristici.

Il Burkina di Compaore

Per quest’ultima ragione il Burkina sarebbe stato dapprima preservato per molti anni dagli attacchi. Ma la posizione dell’attuale presidente è di non voler in alcun modo patteggiare con queste organizzazioni terroristiche che hanno evidentemente trovato ospitalità in Burkina, per seminare distruzione in altri Paesi ed ora anche qui.

Il Burkina sotto Compaore giocava un ruolo di ponte per trattative di pace tra il governo del Mali e i ribelli, ed era il primo Paese per contributo di soldati nella Minusma (la missione di pace delle Nazioni Unite in Mali). Con la caduta di Compaore e la perdita di appoggio e di facilitazione da parte dell’attuale governo, il Burkina è diventato, per i terroristi, un nemico.

Risorse naturali

Ci sono altre fonti che sostengono che la regione del Sahel sarebbe ricca di giacimenti petroliferi e di uranio, elementi indispensabili per la produzione di energia in Francia, oltre che di oro (Mali e Burkina ne sono tra i primi produttori africani).

Il controllo di queste zone risulterebbe dunque strategico sia per le forze ribelli intenzionate a creare un altro stato (l’Azawad), sia per la Francia col suo fabbisogno energetico e con la sua politica estera in Africa.

I movimenti jihadisti non hanno preso di mira solo questi tre paesi citati, ma anche l’intera zona dell’Africa occidentale. C’è tra di loro un gruppo che lo esprime chiaramente anche attraverso la denominazione: MUJAO: Mouvement d’unicité pour le Djihadisme en Afrique de l’ouest (Movimento d’unità per il jihadismo nell’Africa dell’ovest).

In tal senso un buon numero di analisti politici afferma che il Burkina è un corridoio per passare ad altri paesi del sud: Costa d’ Avorio, Ghana, Togo, Benin, per congiungersi quindi col movimento terroristico Boko Haram operante da anni al nord della Nigeria.

Le prospettive

A oggi non si intravvede alcuna soluzione al grave problema. Vari analisti prospettano un peggioramento della situazione a motivo delle incapacità militari sinora dimostrate dall’esercito del Mali e del Burkina Faso che non sono riuscite ad arrestare l’avanzata dei terroristi.

È vero che ci sono forze francesi operanti nell’area ormai da sette anni, ma di questi tempi sono persino accusate dall’opinione pubblica di fare un “doppio gioco” che sta sviluppando nella popolazione sentimenti e atteggiamenti “anti francesi”.

In questa situazione la Chiesa, attraverso i suoi vescovi, non cessa di invitare alla preghiera e di moltiplicare gesti che permettano di rinsaldare i legami sociali, evitando le accuse non fondate o discriminatorie. Il cardinale Philippe Ouedraogo ha chiesto a tutti i cristiani di impegnarsi in una catena di preghiera dalla prima domenica di Avvento sino alla fine dell’anno liturgico 2020.

Pregate per noi e con noi.

P. Martin de Porres Ouedraogo è membro della Comunità di Villaregia in Burkina Faso.

 

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