Libia: la democrazia mancata

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politica

Intervista a Farid Adly, scrittore e giornalista libico. È direttore editoriale di ANBAMED e collaboratore di diverse testate.

  • Farid, cosa è successo in Libia dal 2011 – ossia dalla caduta di Gheddafi – ad oggi?

Prima di entrare nel merito di una storia davvero complicata, in estrema sintesi voglio dire che in Libia è mancata quella soluzione democratica a cui – dopo 42 anni di dittatura di Muammar Gheddafi – il popolo libico aspirava e che questo popolo avrebbe potuto raggiungere, insieme agli altri popoli protagonisti delle cosiddette “primavere arabe”.

Ma dopo i primi mesi di pacifica ribellione verso il passato – in cui le diverse anime della società libica hanno dimostrato di saper gestire il confronto democratico – tutto è precipitato nel caos della lotta armata, sino ad oggi.

Ritengo che la responsabilità della attuale situazione in Libia sia in buona misura da imputare alle pesanti interferenze esterne.

Dopo Gheddafi
  • Vuoi ripercorrere i passaggi fondamentali della storia libica degli ultimi anni?

Nel 2012 hanno avuto luogo le prime elezioni, che sono state vinte dalle Forze nazionali democratiche fondate da Mahmud Jibril, il Presidente dell’esecutivo provvisorio istituito nel febbraio del 2011. In quelle elezioni – all’interno del Parlamento transitorio – si è formata una minoranza islamista promossa dalla Fratellanza musulmana; una minoranza capace di porre veti alle iniziative politiche della maggioranza: malgrado avesse ottenuto il 17% dei voti, è stata in grado di nominare un terzo dei ministri.

Di fatto questa minoranza ha contestato i governi eletti determinando la caduta dei vari primi ministri succedutesi sino al 2014, anno in cui si sono tenute le nuove elezioni che avrebbero dovuto portare ad un Parlamento definitivo.

Proprio perché gli islamisti hanno perso anche le elezioni del 2014 – con l’11% dei voti – si sono risolti a rovesciare deliberatamente il tavolo della democrazia incrementando la presenza delle loro milizie armate nelle piazze delle città: col pretesto di offrire in tal modo la sicurezza di cui aveva bisogno il Paese, hanno imposto al governo – e ai vari governi – le loro interessate decisioni politico-finanziarie, sino ad oggi. Dietro la questione della sicurezza hanno fatto grandi affari.

Le armi garantiscono sempre un facile arricchimento. Esempi di facile arricchimento ne abbiamo avuti tanti in Libia.

  • Quali sono state le interferenze esterne a cui hai accennato?

Mi riferisco innanzi tutto alle armi che sono arrivate copiosamente sin dal 2011: dal Qatar, dalla Turchia, ma anche dai Paesi occidentali quali Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Chiaramente dietro ogni spedizione di armi e ogni regia militare stava un disegno politico diverso.

  • Le altre forze politiche interne al Paese come si sono mosse?

Naturalmente chi è andato al potere dopo 42 anni di dittatura si è assunto una grande responsabilità. Si è trattato di persone – libiche – che avevano fatto esperienza politica democratica all’estero, mentre in Libia non esisteva alcuna esperienza di democrazia pregressa.

Non è stato per niente facile per questi esponenti affermarsi in un quadro in cui gli uomini di Muammar Gheddafi – a partire dai figli e in particolare da Saif al-Islam – erano ancora, nonostante tutto, ben presenti. Ricordo che Saif aveva fondato nel 2006 il movimento Libia per il futuro per tentare il passaggio di poteri dal padre Muammar in forma ereditaria, creando grosse divisioni all’interno della stessa famiglia Gheddafi. Con queste pesanti influenze tutti i politici libici hanno comunque dovuto fare i conti.

La situazione odierna del paese
  • Descrivici un po’ la Libia di oggi…

La Libia è un Paese di 6 milioni di abitanti ricchissimo di petrolio, con un reddito medio pro-capite che si colloca al primo posto nel continente africano. E tuttavia i libici erano e sono poveri perché la ricchezza è distribuita in maniera enormemente diseguale.

I libici che ora vivono all’estero si calcolano in un milione e mezzo circa. Molti vivono in Egitto e in Tunisia. Diversi di questi ricevono lo stipendio dalla Libia benché non lavorino: questo avviene per volontà dei governi di garantire una sorta di apparente, quanto effimera, pace sociale, chiaramente di natura nepotista e clientelare. Ciò la dice lunga circa il dispendio di risorse e di competenze all’estero che impoverisce ulteriormente il mio Paese.

Nel Paese del petrolio c’è grande difficoltà a garantire alla popolazione i carburanti per le attività indispensabili. L’energia elettrica va e viene durante il giorno; a volte manca per quasi tutto il giorno. Per molti vivere in queste condizioni è impossibile e perciò le città si stanno affollando di baracche. Consideriamo poi che da 10 anni c’è in Libia un mezzo milione di sfollati interni per cui non è stato fatto quasi nulla.

  • Chi gestisce la ricchezza che viene dal petrolio?

I miliardi che provengono dal petrolio sono controllati da una ristretta élite che si avvale delle milizie di cui ho detto.

E questo avviene sotto gli occhi delle Nazioni Unite e pure delle commissioni di controllo internazionali, poste a teorica garanzia del Paese, mentre gli interessi contrastanti degli stati hanno unicamente di mira le risorse del petrolio e i soldi della ricostruzione della Libia, non certo il benessere del popolo libico. Egitto, Emirati Arabi, Turchia, Qatar, Francia, Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e ovviamente Russia: tutti vogliono mettere le loro mani sul petrolio e sulla ricchezza.

Interessi italiani
  • Quali legami storici ha la Russia con la Libia?

La Russia, come noto, aveva rapporti col vecchio regime: c’è un accordo, ancora in essere, per la fornitura di 32 miliardi di armamenti. Ha poi chiare mire di mettere mano sul petrolio libico.

Quali legami di interesse ha pure l’Italia?

Sappiamo che Italia e Francia, da sempre, si contendono il controllo del petrolio libico attraverso ENI e Total. Questa competizione mostra la scarsa lungimiranza che tutti i Paesi occidentali ed europei hanno avuto e continuano ad avere verso la Libia.

L’Italia ha un privilegio unico in Libia. È riuscita a mantenerlo anche in questi anni: da Gheddafi in poi l’ENI possiede il 49% della filiale libica che tratta gas e petrolio. Nessun’altra controllata nazionale ha mai avuto una partecipazione così alta. Il gas che giunge in Europa dalla Libia attraverso il gasdotto Milita-Gela, ad esempio, è controllato da ENI.

Purtroppo, l’Italia, a mio parere, anziché valorizzare questo privilegio in favore dello sviluppo della popolazione libica, ha pensato soprattutto a conservarlo e a fare accordi per fermare il flusso di migranti che attraversa la Libia. Risponderò volentieri a una tua domanda specifica su questo punto.

  • Quali sono attualmente le forze – anche e soprattutto militari – che si contendono il controllo del Paese?

Nella seconda fase seguita alla rivolta del 2011 si è inserito un ex generale di Gheddafi, poi passato all’opposizione negli Stati Uniti – Khalifa Belqasim Haftar -, promotore del movimento libico Dignità, in opposizione armata alle milizie organizzate dalla Fratellanza musulmana, sia a Tripoli che a Bengasi.

Attualmente Haftar si oppone al governo di Tripoli (GNA) militarmente sostenuto dalle milizie islamiste. Lo scontro è cruento ed ha già portato migliaia di morti, sia da una parte che dall’altra, oltre che fra la popolazione civile.

Il dualismo tra militaristi e islamisti ha praticamente annullato le energie della società civile libica – a vocazione democratica – che pur esistevano.

Cambi di governo
  • Il governo di Dbeibah è seguito al governo di al-Sarraj, un po’ più noto in Italia: come è avvenuto il passaggio dall’uno all’altro?

Il governo di Fayez al-Sarraj ha gestito in qualche modo la situazione tra il 2015 e il 2021: appoggiato militarmente agli islamisti contro i militaristi di Haftar, con la copertura benevole delle forze straniere occidentali, in particolare l’Italia.

Ricordo che l’idea di un governo di unità nazionale in Libia è da attribuire al generale italiano Paolo Serra, consulente militare della missione ONU. L’intento, con l’insediamento di al-Sarraj, era di sgombrare il campo dalle milizie islamiste. Ma ciò non è avvenuto: le milizie hanno occupato Tripoli e hanno persino impedito di tenere – nel 2021 – nuove elezioni, come previsto.

L’attuale governo di Dbeibah – succeduto ad Al-Sarraj – è stato dunque voluto dall’ONU, ma in maniera molto discutibile: è il frutto di una palese compravendita di voti all’interno del Forum per il dialogo libico, scelto dall’ONU.

Dbeibah doveva segnare l’inizio di una nuova unità nazionale, ma ciò che sta avvenendo è sotto gli occhi di tutti quelli che vogliano vedere: la corruzione è dilagante e 3 ministri del nuovo governo sono sotto processo per ruberie per milioni di dollari mentre non ci sono ospedali a sufficienza per i malati, che vengono persino mandati all’estero a suon di quattrini.

  • Ora c’è un secondo – o “terzo” – governo? 

Nel 2021 il governo Dbeibah ha chiaramente mancato – nel caos crescente – l’obiettivo fondamentale, stabilito dall’ONU, di nuove elezioni popolari: è stato perciò, dimesso dal Parlamento, che ha eletto un altro governo, quello di Fathi Bashaga. Ma Dbeibah ha pensato bene di non andarsene e di restare a galla in ogni modo, con l’aiuto di una parte consistente delle milizie islamiste.

In Libia c’è una situazione paradossale: il nuovo governo di Bashaga si è insediato a Sirte ma senza controllo sulla Banca centrale e quindi sulle finanze dello Stato, che sono ancora nelle mani di Dbeibah a Tripoli. E ciò avviene sostanzialmente nel silenzio dell’ONU, in un quadro internazionale mutato dal confronto che, tra occidente e oriente, sta avvenendo in Ucraina.

  • Come sono dunque posizionati gli schieramenti internazionali?

Paesi arabi come l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti non vogliono governi islamisti in Libia e stanno quindi con Haftar (candidato alla presidenza delle prossime – eventuali – elezioni), sostenuto militarmente anche dalla Russia.

Operano in Libia circa 2.000 mercenari russi della “Wagner”. Mentre altri Paesi orientali come Qatar e Turchia sostengono apertamente gli islamisti e premono per un governo a loro leale. Ci sono circa 1.000 militari turchi con 8.000 miliziani siriani (arruolati tra le milizie anti Assad) a favore delle milizie di Tripoli e quindi di Dbeibah.

È da aggiungere che in Libia ci sono circa 500 militari italiani che attualmente non si capisce quale ruolo abbiano.

  • Qual è dunque la posizione dell’Italia? Da che parte sta?

L’Italia ha sostenuto – pur con qualche ondeggiamento – il governo Sarraj, così come ora sostiene il governo Dbeibah. Ma ora deve considerare che Haftar controlla ormai tre quarti del territorio libico.

Per entrare in una trattativa significativa dovrebbe concedergli un riconoscimento che sinora non c’è stato.

Migrazioni
  • Come potrà evolvere la situazione così complessa che hai descritto?

La situazione è tesissima. Stormi di miliziani stanno occupando con le mitragliatrici le piazze della capitale a difesa dei poteri di Dbeibah. Al centro del dramma sta la popolazione libica allo stremo. Le proteste e i disordini dell’ultimo periodo parlano da sé. A Tobruk ci sono state manifestazioni e l’incendio della sede del Parlamento.

La risoluzione dell’esercito di Haftar è stata di bloccare le esportazioni del petrolio dai porti per indurre i governi occidentali a togliere ogni avallo al governo di Dbeibah. In effetti la società libica NOC ha annunciato ad ENI l’inevitabile riduzione del 25% delle forniture di gas: in questo momento il gas risulta uno strumento di pressione formidabile.

  • Perché tanti migranti – da anni – attraversano la Libia e cercano di sbarcare in Italia verso l’Europa?

La Libia non ha controllo su gran parte dei suoi confini. Funzionano i confini con l’Egitto a est e con la Tunisia a nord-ovest, ma il resto dei confini è una rete a maglie molto larghe attraverso la quale passano intere carovane di trafficanti di esseri umani con le loro vittime. Ovviamente passano anche le merci illecite (compresi i prodotti petroliferi esportati clandestinamente ma in senso inverso).

Il traffico degli esseri umani è particolarmente redditizio ed è controllato da combutte extra-nazionali che fanno affari con le milizie libiche. Queste hanno diramazioni in tutti i campi profughi, anche in altri stati.

Tutte – o quasi – le strade dell’emigrazione convogliano in Libia. Qui, come noto, le persone vengono cedute agli scafisti che, per cifre assurde, le trasportano in mezzo al mare, in balìa delle onde, nella speranza che qualche nave delle ONG venga a salvarle oppure che la guardia costiera libica le riporti indietro.

Il business è enorme: calcoliamo da 1.000 a 3.000 dollari pro-capite per il solo attraversamento del mare mediterraneo. Sono cifre che fanno gola, insieme, alle organizzazioni criminali e alle milizie che avrebbero il compito di garantire la sicurezza del Paese.

Nessun governo di “unità nazionale” di Tripoli è riuscito a fermare questo traffico, semplicemente perché le milizie che hanno parte nel traffico sono le stesse che hanno garantito la “sicurezza” ai governi.

  • Quali sono le responsabilità dell’Europa e in particolare dell’Italia per questo aspetto del dramma libico?  

Ritengo che le responsabilità dell’Unione Europea siano enormi. Il numero di migranti che passa dalla Libia all’Europa è di fatto limitato.

Avrebbe avuto senso, secondo me, creare degli uffici UE nei Paesi di provenienza dei migranti per ricevere e valutare le istanze di asilo degli aventi diritto, quindi creare corridori umanitari effettivi – non solo simbolici – attraverso i quali introdurre i migranti in Europa. Si sarebbe potuto smontare almeno questo affare criminale e salvare molte vite umane.

Il costo in termini di vite umane è infatti altissimo. Non vanno ignorate le persone che muoiono prima di arrivare al mare, nel deserto. È forse divenuto noto, nei giorni scorsi, il caso di 20 migranti provenienti dal Ciad e dal Sudan su un camion che ha perso la strada nel deserto: sono rimasti senza acqua e senza cibo per più giorni e sono morti tutti. Voglio solo aggiungere che ritrovamenti di questo tipo sono all’ordine del giorno.

Per l’Ucraina si è deciso giustamente di accogliere milioni di profughi dall’oggi al domani: viene da sé osservare che ai profughi neri delle guerre africane non viene dedicata neppure una parte della stessa attenzione.

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