Macron: una difesa europea comune

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Un discorso ampio e programmatico, come quello tenuto dal presidente della Repubblica francese E. Macron all’Accademia militare (7 febbraio), rappresenta già per sé un fatto singolare degno di nota nella storia politica del paese dopo la II Guerra mondiale. Prima di lui, infatti, solo il generale de Gaulle aveva visitato l’Accademia in funzione di presidente (3 novembre 1959).

Ma che in questa sede e con questa storia l’intervento di Macron abbia avuto un taglio prettamente europeista, delineando una strategia politica da condividere con gli altri stati membri dell’Unione Europea, per arrivare in tempi brevi alla costituzione di un sistema di difesa comune, segna quello che potrebbe diventare un passaggio decisivo per il futuro dell’Europa.

Una proposta politica e i dubbi dell’Unione

Certo, non si tratta di un passo privo di questioni che vanno a toccare il nerbo portante della costruzione politica e ideale dell’Unione Europea. Da qui la reazione cauta, non senza un qualche imbarazzo, da parte delle istituzioni di Bruxelles. Questioni di cui Macron è ben consapevole e che affronta nell’ampio testo letto all’Accademia militare.

Detta in estrema sintesi, Macron declina le ragioni e le urgenze per cui in questo momento storico si rende necessaria una cooperazione solidale sempre più decisa tra i partner europei in vista della costituzione politica di sistema di difesa comunitario, all’interno della quale ricadrebbe anche la deterrenza atomica della Francia: «Le nostre forze nucleari giocano un ruolo dissuasivo specifico, in particolare in Europa. Esse rinforzano la sicurezza dell’Europa per il solo fatto di esserci e hanno a questo riguardo una dimensione autenticamente europea» (…). Gli interessi vitali della Francia hanno oramai un dimensione europea. In quest’ottica spero che si sviluppi un dialogo strategico con i nostri partner europei che sono pronti per il ruolo della deterrenza nucleare francese all’interno della nostra sicurezza collettiva».

Strategie per un’epoca di rotture

La decisione con cui Macron ha messo in campo la sua proposta politica per un forza di difesa europea, a sicurezza di quelle sfere «comuni» intorno alle quali si stanno riorganizzando i rapporti di forza a livello globale (i mari aperti, gli spazi aerei e la esosfera, la Rete e il digitale), non sarebbe stata né immaginabile né possibile senza la Brexit. Segno chiaro che il teleromanzo di questo divorzio all’europea può innescare anche processi virtuosi di riconfigurazione politica e di rafforzamento della posizione europea all’interno di un panorama mondiale contrassegnato da profonde faglie di rottura degli ordinamenti post-bellici (compreso quello della Guerra Fredda, che sembrerebbe essere ancora il parametro di riferimento all’interno del quale l’Europa immagina il suo sogno di forza gentile nel contesto internazionale).

Difesa comune europea

Di queste faglie bisogna essere consapevoli per rideclinare il ruolo dell’Europa in una maniera che non sia subalterna al gioco delle parti e della spartizione del mondo messo in scena da Stati Uniti, Cina e Russia. «La scelta che ci si pone è quella di riprendere in mano il nostro destino o quella di un allineamento sull’asse di una qualsivoglia potenza, rinunciando a ogni strategia che sia propriamente nostra». L’accelerazione della corsa agli armamenti in atto, convenzionali e non, trova un volano nella marcata «deregolamentazione del mondo» quale conseguenza di una «rapida delegittimazione dell’ordine giuridico internazionale e delle istituzioni che presiedono alla costruzione di rapporti di pace fra gli stati». Questa condizione chiede un nuovo protagonismo dell’Europa, con la sua cultura del diritto quale strumento di composizione dei conflitti e di prevenzione di un regime bellico nei rapporti fra gli stati; ma chiede anche una sua forza affinché l’ordinamento giuridico internazionale venga effettivamente «accettato e rispettato da tutti».

Libertà di azione europea

Per giocare questo ruolo, e mettere efficacemente in campo a livello globale il patrimonio storico di una volontà politica che mira ad abbassare il più possibile la soglia militare delle conflittualità fra stati, Macron ritiene che «gli europei devono cominciare a elaborare effettivamente gli strumenti che ci possono permettere di far emergere una coscienza comune, di difendere gli interessi che condividiamo, e di agire in modo autonomo e solidale ogni volta che sia necessario. Si tratta cioè di costruire una libertà di azione europea che completa e rinforza le sovranità nazionali».

Libertà d’azione europea che, volendo essere quella «di una comunità politica», deve includere anche le «forze di difesa» e dare forma a una «strategia europea condivisa» in materia. A meno di questo l’Europa corre il rischio di una forte limitazione della propria sovranità: «Per costruire l’Europa di domani, le nostre regole non possono essere sotto controllo americano, le nostre infrastrutture, i nostri porti e aeroporti sottomessi ai capitali cinesi, e i nostri ambienti digitali esposti alla pressione russa».

Difesa comune europea e sovranità nazionale

La crisi del multilateralismo giuridico e istituzionale, la fluttuazione in una dimensione politica ancora non chiara della Gran Bretagna come potenza nucleare, mentre sul versante economico essa si muove già come competitor aggressivo, l’affossamento del Trattato INF sui missili nucleari a medio raggio, la serie sempre più alta di zone a bassa conflittualità e la disseminazione globale di guerre in atto, delineano uno scenario nel quale «vi è la possibilità, nel giro di un solo anno, di giungere a una pura competizione militare e nucleare, senza alcun freno, come non si è più sperimentato dopo la fine degli anni ’60 del XX secolo».

Davanti a questa prospettiva l’Europa deve declinare con convinzione le proprie persuasioni fondamentali, corredandosi di quegli strumenti strategici che le permetteranno di poter incidere effettivamente nella ridefinizione degli equilibri globali: «Per gli europei un multilateralismo ripensato, a servizio della sicurezza collettiva e conforme ai nostri principi fondatori, deve articolare insieme due esigenze che non sono contraddittorie se vogliamo garantire la pace: da un lato, quella di promuovere una rinnovata agenda internazionale per il controllo degli armamenti; dall’altro, quella di un investimento reale europeo in materia di difesa».

La proposta di Macron, che impatta su una situazione non omogenea delle posizioni degli stati membro per ciò che concerne un’eventuale apparato comunitario di difesa europeo, e su quella dell’Unione Europea che fa perno sugli scopi finali del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), riapre in maniera decisa la questione di un ripensamento degli equilibri fra sovranità nazionale e la genesi di un’eventuale sovranità europea. E lo fa annunciando un’inedita disponibilità alla costituzione di quest’ultima proprio come esercizio della prima: «Affinché la Francia sia all’altezza della sua ambizione europea, e anche della sua storia, ella deve rimanere sovrana o decidere essa stessa, senza subirlo in maniera passivo, il trasferimento di sovranità a cui acconsente (…)». Macron, dunque, espone la Francia su un aspetto cardine della sua storia; ma questo chiama anche allo scoperto anche gli altri membro dell’UE e ne misura l’effettiva volontà in materia.

Questione, questa, particolarmente sensibile soprattutto per la Germania. Sia perché ha riacquistato in tempi sostanzialmente recenti la sua completa sovranità e, quindi, ogni scelta politica in materia cade sotto la vivisezione della Corte costituzionale tedesca, la cui valenza simbolica va ben oltre quella giuridica di una tutela dell’identità costituzionale del paese. Sia perché la politica come pura pragmatica portata avanti della Merkel, unita ad alcuni segni di recessione economica, ha finito col rendere debole la posizione tedesca in ambito europeo davanti a ogni proposta che abbia più forza di una mera gestione burocratica degli affari quotidiani (come è sicuramente quella di Macron).

Difesa comune europea

Per questo è significativa la reazione del presidente federale, F.-W. Steinmeier, che a margine della Conferenza di Monaco ha affermato che la Germania «deve cogliere l’invito di Macron al dialogo e mettersi nella prospettiva della Francia». Riprendendo, allo stesso momento, alcuni temi di strategia politica europea, in particolare quello dei rapporti dell’UE verso la Russia, affrontati da Macron nel suo discorso all’Accademia militare francese. Più distante rimane, invece, l’attuale leadership della SPD che ha fatto di una militanza pacifista e di un taglio notevole delle spese militari e per la difesa (in Germania come in Europa) uno dei cavalli di battaglia per cercare di uscire dalla crisi che attanaglia il partito.

Un’Italia anche solo pallidamente all’altezza di sfruttare congiunture più grandi di lei per ritagliarsi un ruolo molto più incisivo delle sue forze effettive, come fu quella di de Gasperi (e Togliatti) nel primo decennio del dopoguerra, potrebbe infilarsi nella dialettica aperta dalla proposta di Macron e trarne un dividendo in grado di riassettarla nel gioco di forze che deciderà del futuro dell’Europa (e del nostro paese). Ma l’unica forma di pensiero politico di cui disponiamo capace di non consumarsi nella durata di un giorno è quella simbolica ed esortativa del presidente Mattarella; e, d’altronde, nessuna delle forze politiche del nostro paese sembra essersi accorta del tornante a cui l’Europa è stata condotta dal discorso di Macron.

La forza nucleare come questione etica

Se il TNP rappresenta il quadro giuridico internazionale che viene riconosciuto come vincolante per la Francia in questo suo passaggio europeista verso un sistema di difesa e di deterrenza comunitario, compreso il fine ultimo della «eliminazione totale delle armi nucleari nel quadro di un disarmamento generale», questa aspirazione si realizza però «nella realtà del nostro mondo solo in maniera progressiva, fondandosi su una percezione realistica del contesto strategico».

È in questa dilazione dei tempi fra scopo e realtà che si insedia la questione etica inerente il nucleare come potere deterrente che misura la qualità e capacità democratica di un paese e delle sue istituzioni rispetto a una forza militare «portatrice di dilemmi morali e paradossi». Come punto di riferimento per il dibattito etico in materia Macron rimanda esplicitamente «al contributo apportato a esso da papa Francesco in occasione della sua visita a Hiroshima».

Realismo politico non significa «ritorno cinico al mero rapporto di forza senza il diritto»; come la consapevolezza etica e la responsabilità politica verso di essa non coincidono con «un assoluto morale senza legame alcuno con le realtà strategiche». Scartate queste due opzioni, per ciò che concerne la forza nucleare, si tratta di tenere sempre viva la consapevolezza politica della precarietà etica di un suo uso deterrente regolato da un diritto internazionale effettivamente riconosciuto e applicato; inquadrando il «disarmo all’interno di un processo storico di limitazione della violenza».

Quella di Macron rimane una visione strategica per una nuova Europa sulla quale si può ed è doveroso discutere; ma che deve però essere colta come l’occasione per far uscire l’Unione Europea da una stagnazione burocratica delle sue potenzialità politiche, e per costringere gli stati membro a decidere se riconoscere nelle istituzioni comunitarie il perno politico necessario al fine di non votarsi all’irrilevanza che altrimenti ci aspetta come prossimo sviluppo delle relazioni internazionali e della spartizione triassiale del mondo.

Difesa comune europea

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