Messico: Obrador e Parolin

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dopo elezioni

Le elezioni del 6 giugno hanno confermato e ridimensionato la maggioranza di Andrés Manuel López Obrador e la visita del card. Pietro Parolin (18-21 giugno) ha riaperto il dialogo fra Chiesa e governo (cf. SettimanaNews, Un nuovo Chávez).

Su 93 milioni di elettori (126 milioni di abitanti) ha partecipato al voto il 52% (in crescita rispetto al passato), riconsegnando la maggioranza al partito del governo Morena (203 seggi su 500), ma vincolandola ad alcuni partiti minori di supporto e mancando l’atteso risultato plebiscitario che avrebbe permesso la modifica della Costituzione. In palio c’erano il rinnovamento totale della Camera, 30 congressi locali, 15 governatorati, 1.900 giunte municipali, per circa 3.500 ruoli politico-amministrativi.

Necessarie le alleanze

Il ridimensionamento del partito Morena è bilanciato dalla conquista di diversi governatorati, anche se questi sono avvenuto in territori di maggior presenza dei cartelli della droga, lasciando il sospetto di un’alleanza innaturale.

Il paese è spaccato in due: 40% a Morena e alleati, 40% ai partiti di destra (Pan, Pri). Ma a destra non si vede un leader e pesa la sistematica corruzione da loro esibita in passato. Anche città del Messico è spaccata in due: Morena vince nei quartieri Est della città, quelli con più tensioni sociali, e perde in quelli dell’Ovest, compresi i municipi del centro dove vivono i funzionari amministrativi. La presidente della città metropolitana, Claudia Sheinbaum è costretta a governare senza la maggioranza. Alcuni settori della cultura, dell’università e dei diritti umani hanno voltato le spalle al presidente. Egli dovrà trovare alleati e rinunciare alla prepotenza istituzionale e alle intimidazioni.

Pur appoggiato per la sua onestà personale (con il 61 % dei consensi) e per alcune misure per i più poveri, dovrà abbassare i toni di contrapposizioni troppo a lungo perseguite, rivedere alcuni progetti (nazionalizzazioni, investimenti contrari all’ambiente, rispetto delle norme per le cariche indipendenti) e affrontare con più lucidità la pandemia che ha fatto 225.000 morti con 2,4 milioni di contagi.

Durante la campagna elettorale la violenza si è accentuata: più di 90 i candidati uccisi, un centinaio di attentati e una ventina quelli che si sono ritirati per le minacce subite. Nel solo mese di maggio ci sono stati 2.963 omicidi. Oltre alla violenza, stanno crescendo le disparità sociali, la criminalità organizzata e non, la corruzione oramai pervasiva.

La Chiesa ha spinto molto per la partecipazione al voto, per la coscientizzazione politica, per denunciare il populismo e il pericolo di un nuovo Chávez, per chiedere il controllo della violenza. Il condiviso timore di una deriva autoritaria, non è stata privo di sbavature. È dovuto intervenire duramente il nunzio per impedire la candidatura di un vescovo emerito, Onesimo Cepeda Silva, e il card. emerito, Juan Sandoval Iňiguez, a pochi giorni dal voto ha chiamato gli elettori a opporsi a Obrador, violando la legge.

Cura della fede e della società

La visita del card. Parolin all’indomani delle elezioni, in un contesto meno elettrico, è suonata come conferma per la Chiesa locale, ma anche il convinto rispetto per le istituzioni del paese. Il viaggio è stato motivato dall’ordinazione del nuovo nunzio di Papua Nuova Guinea, il messicano Fermin Sosa Rodriguez.

Positivo è risultato l’incontro con le comunità locali (affidamento alla Vergine di Guadalupe, incontro con i rappresentanti indigeni del Chiapas, visita ad un penitenziario), sia dal punto di vista ecclesiastico (incontro e dialogo coi vescovi), sia sul piano politico (presidente città del Messico, incontri per capire l’attuale vita politica e sociale del paese).

La visita di cortesia al presidente si è limitata all’ascolto del progetto politico di López Obrador, senza entrare direttamente nei temi caldi del rapporto fra il paese e il Vaticano. Non si è parlato, ad esempio della lettera che Obrador ha scritto due anni fa a Spagna e a Santa Sede chiedendo le scuse per le violenze contro i nativi.

Il cardinale conosce bene la situazione dell’America Latina. È stato segretario della delegazione apostolica in Messico, ha accompagnato Giovanni Paolo II nella visita al paese, è stato rappresentante del papa Benedetto XVI per l’avvio della presidenza di Enrique Peňa Nieto, protagonista col nunzio Prigione del riconoscimento delle relazioni diplomatiche col Vaticano (1992), nunzio in Venezuela ecc.

Dietro la reciproca correttezza, si è percepita la preoccupazione della Santa Sede per i tentativi di smantellamento delle istituzioni, il ricorso arbitrario alla giustizia, gli investimenti di ingenti risorse su combustibili anti-ecologici, la mancanza di progetti concreti di rilancio del paese dopo la pandemia, la polarizzazione crescente. Nel discorso alla Nunziatura si è fatto riferimento alla necessità di una nuova modulazione del principio di laicità, in senso positivo, inclusivo e costruttivo.

Durante la messa al santuario di Guadalupe, Parolin ha sottolineato le gravi situazioni, in Messico e in altri paesi latino-americani: «diseguaglianze sociali, povertà, violenza della criminalità organizzata, divisioni politiche, sociali e religiose». «Il Messico ha bisogno di riconciliarsi con se stesso, di incontrasi di nuovo come fratelli, di perdonarsi, di unirsi come società, superando la polarizzazione». Erede di una grande cultura, il paese non dimentichi la profondità delle sue radici e abbia coraggio di visione per il futuro.

«Come credenti, riconosciamo che l’incontro con Gesù Cristo è stato e continua ad essere il dono più prezioso e trascendente per i popoli e le culture di questa nazione e del continente americano. Per aprire strade migliori al futuro, un futuro di riconciliazione e armonia, dobbiamo consolidare e approfondire la nostra fede in Gesù Cristo».

L’incoraggiamento è stato apprezzato da una Chiesa che fa fatica a proporre positivamente la propria visione e il proprio lavoro, sentendosi spesso da sola a combattere i mali e i molti fantasmi che ritornano dal passato anche remoto.

E segnata dalla questione degli abusi sessuali del clero, a partire dalla drammatica vicenda del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel Degollado. Nell’ultimo decenni sono 271 i casi registrati: 103 preti sono stati espulsi dal clero, in 45 casi la pena è sospesa e 123 sono sotto indagine. È una materia che divide le comunità cristiane e i vescovi. Alcuni osservatori stimano che il 50% dei vescovi abbia mal gestito le denunce di abusi. Sarà ripresa a breve la missione di sostegno ai vescovi, da parte di mons. Scicluna e mons. Bertomeu, interrotta a causa del Covid.

Le migrazioni

Altro problema urgente è la gestione del fenomeno migratorio, della spinta delle migliaia di persone che, dall’insieme dell’America Latina, attraversano i territori messicani e si accalcano sul confine con gli Stati Uniti.

Il viaggio della vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, fra i paesi del Centro America, ha mostrato la nuova attenzione dell’amministrazione americana di Biden al fenomeno, ma ha anche confermato la decisione di regolamentare i trasferimenti.

A quanti azzardano il viaggio fuori dai canali legali la Harris ha detto: «Non venite. Sarete riportati indietro». Ha sorpreso negativamente il fatto che non abbia incontrato i vescovi dei paesi visitati che sono spesso una delle poche voci coerenti e generose in merito, con associazioni, parrocchie e movimenti molto impegnati sul fronte del problema.

Il 17 giugno, 160 organizzazioni dell’America Latina e degli Stati Uniti che lavorano coi migranti hanno inviato una lettera alle conferenze episcopali dei loro paesi chiedendo una risposta unitaria da parte della Chiesa cattolica per una più efficace collaborazione.

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