Mustafa: la guerra di Idlib e la nostra coscienza

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Il 4 aprile del 2017 ebbe luogo nel nord della Siria, nel governatorato di Idlib, un attacco chimico con uso di armi al cloro e Sarin. I morti furono circa cento, molti di più i feriti e gli intossicati.

Il 7 aprile del 2017 il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ordinò una rappresaglia dimostrativa colpendo alcuni edifici che, secondo l’intelligence americana, venivano impiegati come nascondigli di agenti chimici.

In un inusuale comunicato alcuni patriarchi siriani definirono quella degli Stati Uniti una violazione della sovranità nazionale siriana.

Armi chimiche contro la popolazione

Le indagini condotte in loco dagli ispettori dell’ONU accertarono che la responsabilità del massacro chimico era del governo siriano che nel 2013 aveva aderito al trattato contro l’uso delle armi chimiche e successivamente asserito di aver consegnato tutto il materiale proibito in suo possesso. Attualmente un cittadino franco-siriano è indagato per commercio di sostanze chimiche con la Siria, datato 2016.

Nel massacro di Khan Shaykoun la signora Zeynep inalò gas venefici, che causarono successivamente la malattia da cui è ora afflitto il bambino che al tempo aspettava, Mustafa al Nazzal. Il bimbo, infatti, è affetto da tetra amelia, caratterizzata dall’assenza dei quattro arti e spesso significative malformazioni correlate. È il piccolo Mustafa, recentemente giunto in Italia.

È stata la fotografia scattata in Turchia – ove i membri della famiglia hanno vissuto da profughi negli anni trascorsi – a rendere il caso del piccolo Mustafa famoso nel mondo. Anche suo padre è mutilato, avendo subito l’amputazione di una gamba dopo un’esplosione durante i frequenti bombardamenti dei russi.

La guerra di Idlib

Quella di Idlib è una guerra nella guerra tra le più feroci e sanguinose. Idlib, infatti, ha finito con l’assumere una posizione cruciale nello scenario siriano, essendo un territorio fertile all’estremo nord del Paese, al confine con la Turchia. A Idlib il regime di Bashar al-Assad deportò la popolazione civile delle zone di cui stava riguadagnando il controllo. Il numero totale avrebbe superato il milione e mezzo di civili.

Sempre a Idlib il regime di Damasco trasferì i combattenti delle milizie jihadiste delle zone man mano riconquistate. In tal modo il territorio Idlib finì, in parte, sotto il controllo di questi gruppi terroristici, sostenuti dalla Turchia, interessata a impedire che Damasco tornasse a esercitare il suo potere sino al confine. In una zona divenuta il “cuscinetto” tra le parti, la vita divenne perciò impossibile per la popolazione locale: si produsse, di fatto, un bacino di due milioni e mezzo di persone disperate, costrette a vivere in misere tendopoli nella migliore delle soluzioni, ovvero sotto gli alberi in molti casi.

I rigori dell’inverno scossero il mondo quando alcuni dei civili di Idlib morirono di freddo durante il rigidissimo inverno 2020. I bombardamenti russi e siriani avevano distrutto scuole, ospedali e abitazioni private, intere coltivazioni, mentre alcuni dei gruppi terroristici rendevano la vita insopportabile alla popolazione che si era opposta al loro strapotere e ai loro metodi liberticidi.

I continui attacchi, che molto spesso hanno preso di mira pure i raccolti, hanno posto la popolazione nella condizione di dover fuggire verso la vicina Turchia che, quindi, ha progressivamente costruito un muro per impedire il transito nel suo territorio. Perciò circa un milione di persone è rimasto intrappolato tra il fuoco che devastò Idlib e il confine turco, ormai chiuso. Una situazione a dir poco tragica di cui si è occupato soltanto papa Francesco a livello di leadership globale.

Il nunzio e l’Europa

L’unica voce – martellante – in loro nome è stata quella del cardinale Mario Zenari, nunzio in Siria, mentre la propaganda di regime ha continuato e continua a rappresentare quella popolazione come “terrorista”. Una popolazione tre volte vittima: delle operazioni militari russe e siriane in disprezzo del diritto internazionale in zone di guerra, dei gruppi jihadisti impossessatisi di postazioni militari interne e del governo turco al loro sostegno.

Per questa gente nessuna eccezione è stata fatta dall’Europa alle normative che regolano il trasferimento dalla Turchia per chi avesse voluto e volesse chiedere asilo politico, nonostante la Turchia – con l’edificazione del muro – abbia eloquentemente indicato di non voler concedere più alcun tipo di riparo. Anzi, in occasione dell’ultimo acceso confronto con la Grecia nel 2020, Ankara ha spinto verso il confine greco profughi da tempo presenti in Siria fingendo che provenissero da Idlib.

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Una foto della tragedia

Il caso di Mustafa al-Nazzal è la drammatica manifestazione – a mezzo della potentissima immagine del suo abbraccio nel cielo col padre egli stesso senza un arto – di una tragedia neppure affrontata e ormai rimossa dalla comunità internazionale, sebbene coinvolga milioni di persone, da anni.

Le fotografie dei bambini assiderati a Idlib costituiscono il drammatico precedente. Mustafa dovrebbe perciò divenire l’emblema di un popolo intrappolato in un mondo che lo respinge, impedendogli sia di fuggire sia di tornare alle città e ai villaggi da cui è stato deportato. Tantissime famiglie e bambini siriani hanno vissuto e vivono la stessa situazione.

Per questo non si può che partecipare con gioia all’esito sortito dall’eccezionale testimonianza visiva del più vasto, tragico, fatto storico. Ma occorre tenere presente che questo fatto enorme non può essere risolto nell’unico caso che ha smosso le “viscere di misericordia” del mondo. Piuttosto è la conferma di uno scandalo mondiale che ci sta accompagnando, almeno, dal 15 marzo 2011 e del quale si ha persino difficoltà a prendere atto. Come se riuscissimo a vederne l’aspetto disumano senza coglierne l’origine, la causa o le cause.

Un bimbo e la coscienza salvata

Questa difficoltà è figlia di un racconto ideologico, che ha contrapposto e contrappone le comunità, creando “buoni e cattivi”, finché non ci si accorge che tra i presunti cattivi c’è anche un bambino innocente, nato senza arti perché sua madre ha inalato gas venefici evidentemente lanciati contro inermi civili.

Bisogna avere l’onestà e il coraggio di arrivare sino alle più logiche conseguenze: ad esempio, perché il regime di Damasco sta ancora al suo posto?

Se ci si ponessero seriamente domande di questo tipo, allora sarebbe il piccolo Mustafa ad avere salvato la coscienza del mondo – Italia compresa – non il mondo, e l’Italia in particolare, ad aver “salvato” lui.

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