Myanmar: fame di libertà

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reportage

«Anch’io mi inginocchio sulle strade del Myanmar e dico cessi la violenza e anch’io stendo le mie braccia e dico prevalga il dialogo. Il sangue non risolve niente». Queste parole tanto appassionate ha pronunciato il papa mercoledì 17 marzo; sono quelle di un papà che implora per i figli e anzi per tutta la famiglia.

Colpisce che un pontefice si sia spinto fin a questa posizione forte, sia pur in linea con l’attitudine della Santa Sede e rafforza un intervento che il cardinale Segretario di Stato aveva fatto due giorni prima con una lettera all’arcivescovo di Yangon, presidente dei vescovi dell’Asia, il salesiano Charles Bo. È un messaggio chiaro: il tempo dei generali e dell’oppressione è passato e giustizia vuole che un popolo sia ascoltato.

Papa Francesco ricorda bene che quella gente è accattivante, cortese e interessata ai contatti internazionali, capace di soffrire con una forte speranza; aveva reso visita a loro nel novembre 2017.

Una nazione colta e multietnica

È una nazione composita per il 56% da cittadini di tradizione birmana, mentre gli altri appartengono a oltre cento gruppi etnici diversi: un totale di 55 milioni di abitanti, con ben pochi stranieri. Ha una grande tradizione culturale: già a metà del 1800 quasi tutte le persone del centro del paese erano alfabetizzate; i monumenti di Pagan, Mandalay e di tanti altri luoghi sono impressionanti.

È un popolo orgoglioso anche della sua storia; la più grande umiliazione del secolo XIX non è stata l’occupazione inglese, ma che Londra abbia reso la Birmania una provincia dell’impero indiano. Ha saputo inviare docenti qualificati in tutte le università del Sud-est asiatico.

Il territorio è vasto 676.553 kmq (più di due volte l’Italia) e va dal clima tropicale alle montagne himalayane di oltre seimila metri, con una varietà immensa di prodotti alimentari. Era definita la risaia dell’impero britannico, benché solo il 20% del suolo nazionale sia coltivato; possiede ancora legname pregiato come il teak, pietre preziose, giade in abbondanza, grande potenziale idrico, discrete fonti di petrolio e gas naturale.

Certamente la Cina, con cui è unita da un lungo confine (2.000 km), trova qui riserve per le sue necessità e con i militari un dialogo le è facile; la collaborazione, per non dire la piena disponibilità, permette a Pechino di dominare dall’Oceano cinese a quello Indiano! È l’unica nazione che protegge i generali, anche per allontanare il pericolo di un vicino che viva la democrazia; ma non è affatto amata sul suolo birmano.

I militari al potere dal 1962 hanno isolata la Birmania, cercando quasi di ibernarne lo sviluppo; il progresso di un popolo si è bloccato. Era una pena visitare quella nazione, quando la si confrontava con Singapore o con la Thailandia. Tuttavia, la pressione alcuni paesi dell’ex Indocina (ASEAN) e l’informatica hanno creato una coscienza popolare dell’ingiustizia imposta dal Governo; il cristianesimo con la difesa della dignità umana ha avuto un suo ruolo.

Lo sbalzo sociale è stato impressionante: la crescita economica nell’ultimo decennio è stata del 6-7%, partendo da situazioni di miseria. Dal 2010 al 2015 i telefoni sono passati dal 3 a 95 ogni cento persone; l’80% dei birmani ha ora uno smartphone, oltre i 30% ha accesso a internet. La buona conoscenza dell’inglese permette contatti con il mondo intero. E tutto ciò è portato avanti da una popolazione giovane: oltre il 64% è tra i 15 e i 59 anni; solo il 9% è sopra i sessant’anni (in Italia siamo al 28%).

La presenza delle religioni

I birmani sono un popolo molto religioso e per i templi fanno sacrifici immensi; i numerosi monaci del buddismo theravada godono grande rispetto; per i maschietti di 5-8 anni c’è un rito di iniziazione al buddismo.

Una limitata presenza cristiana è documentata nel medioevo e da un visitatore italiano già prima dell’arrivo dei portoghesi nel 1500; essi costituirono anche un piccolo regno cristiano nel 1600 (Syriam). L’evangelizzazione prese piede però soprattutto dal 1800, con missionari italiani (PIME) e francesi (MEP) e oggi i battezzati sono oltre il 6%, di cui due terzi protestanti. Resero enormi benefici allo sviluppo soprattutto con le scuole, ora nazionalizzate.

I cattolici sono circa 700.000 e animano 16 diocesi, con un migliaio di sacerdoti e circa 2.000 suore: le vocazioni sono numerose! Vanno aggiunti 140 fratelli e ben 850 “missionari laici”, oltre 3.000 catechisti… e tanta gente che prega anche per più ore nelle chiese. È impressionante la loro fede! In campo sociale possono curare solo “orfanotrofi” e lebbrosari.

La Santa Sede ha atteso che ci fosse almeno un po’ di apertura democratica prima di stabilire nel 2017 relazioni diplomatiche, ma finora il Nunzio risiede a Bangkok.

Una luce di speranza democratica si era avuta con le elezioni del 2016, quando il popolo a stragrande maggioranza elesse la Lega Nazionale della Democrazia, guidata dalla signora Aung Saan Suu Kyi, figlia del maggior leader birmano nella lotta ai giapponesi e per l’indipendenza. Il potere restava però limitato poiché, secondo la Costituzione vigente, quasi un terzo dei Deputati delle due Camere del Parlamento è di nomina dell’esercito e la Signora era soltanto “consigliere di stato”, anche se nominalmente ministro degli esteri (tanto che aveva potuto far ben poco per i Rohingya).

Le elezioni del novembre 2020 hanno mostrato l’avversità del popolo ai militari e il sostegno ancora più largo alla Lega Nazionale della Democrazia… Ciò ha fatto irritare i generali (accusati di diffusa corruzione), i quali sono arroccati nella capitale amministrativa da loro creata a Nay Pyi Taw nel 2005. Dichiarando illegali le elezioni avvenute e reprimendo le manifestazioni stanno ripetendo quanto avevano fatto nel 1988 in una situazione analoga; allora avrebbero ucciso fin a 3.000 persone, altre imprigionate senza limiti giuridici, molte sono state costrette a emigrare o a nascondersi tra le minoranze etniche sui monti.

Ecco perché non possiamo ora ignorare i birmani che chiedono soltanto di potersi governare liberamente, in dialogo costruttivo, e di non venire sfruttati da pochi. E non siamo soli, anzi il papa ci guida, a chiedere, come dice Maria santissima nel Magnificat, che i prepotenti siano rovesciati dai troni e gli umili siano innalzati nel rispetto di tutti i loro diritti basilari.

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