Un nuovo ordine mondiale

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Foto di Vernon Raineil Cenzon su Unsplash

La notizia che l’Assemblea generale dell’ONU ha sospeso la Russia dal Consiglio dei diritti umani si aggiunge alle tante che in questi giorni stanno registrando il crescente isolamento internazionale di questo Paese (come quella dell’esclusione del governo di Mosca dal Consiglio d’Europa, o quella della proposta di espellere la Russia dal G20).

Biden ha espresso la sua soddisfazione per una decisione che  dimostra «quanto la guerra di Putin abbia fatto della Russia un paria (…). Noi continueremo a lavorare con le nazioni per far rispondere la Russia delle atrocità commesse, e per alzare la pressione sull’economia russa, e isolare la Russia dal palcoscenico internazionale». La decisione è stata presa a larga maggioranza. Non però tale da essere del tutto unanime. Sono 93 i Paesi che si sono pronunciati a favore, mentre 24 si sono opposti e 58 si sono astenuti.

Tra i contrari, molti storici alleati di Mosca, come Cina, Cuba, Bielorussia, Siria e Vietnam e altri che lo sono diventati di recente grazie agli aiuti militari ricevuti dal Cremlino, come Mali, Gabon e Zimbabwe. Nella lista degli astenuti, inoltre, figurano tra gli altri l’India, il Brasile, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti, l’Indonesia, la Giordania, l’Iraq, il Messico, la Nigeria, il Qatar e il Sudafrica.

Particolarmente significativa la presa di posizione della Cina: «Il dialogo e il negoziato sono l’unica via per uscire dalla crisi in Ucraina», ha detto l’ambasciatore cinese all’ONU, Zhang Jun, dopo il voto. «Questa risoluzione», ha aggiunto, «aggrava le divisioni tra gli Stati membri, aggiunge benzina al fuoco, e non aiuta i colloqui di pace».

La fine del dialogo

Dicevamo dell’isolamento della Russia. Alla luce di questi dati sarebbe forse più corretto parlare – come hanno fatto sia i ministri degli esteri di Russia e Cina, sia il presidente degli Stati Uniti – del delinearsi di «un nuovo ordine mondiale» (se di “ordine” si può parlare…). Ciò che sembra destinato a caratterizzarlo è la fine del dialogo tra le maggiori potenze che, pur con mille difficoltà e incomprensioni, aveva segnato la fine della “guerra fredda” e che aveva trovato un incentivo nella crisi dell’ideologia comunista. Sulla base di una comune accettazione della logica neocapitalista, il confronto tra Russia e Cina, da una parte, e Stati Uniti ed Europa occidentale, dall’altra, si era sempre più trasferito sul piano economico, pur non mancando di tradursi in occasionali tensioni locali.

Ora, invece, il mondo sembra destinato ad essere teatro della radicale contrapposizione tra due blocchi di potenze in aspra lotta tra loro anche sul piano politico e, potenzialmente, su quello militare. Non è una prospettiva rassicurante. Ma è quella che emerge dagli ultimi eventi. A scatenare la reazione a catena cui stiamo assistendo – checché ne dicano i critici della Nato e degli Stati Uniti – è stata la folle scelta di Putin di invadere un Paese vicino con la pretesa di riportarlo nell’orbita russa, come ai “bei tempi” dell’Urss.

Allo stesso modo è puramente ideologico accusare l’Ucraina di essersi difesa e i Paesi occidentali di averla aiutata, fornendole armi atte a respingere l’invasione. Se la pace dev’essere autentica, non può nasce dal cedimento di un popolo alla prepotenza altrui e dalla rinunzia alla propria libertà. Una guerra giusta non esiste in assoluto, ha ragione papa Francesco, ma all’interno di quelle, tutte ingiuste, a cui assistiamo, è possibile distinguere il ruolo di chi aggredisce e quello di chi, aggredito, legittimamente difende le proprie case e le proprie famiglie.

La metamorfosi del conflitto

Questo è stato l’inizio. Ma il conflitto, come raccontano le vicende degli ultimi giorni, sta ormai prendendo una piega diversa, allargandosi al di là dei due protagonisti iniziali – Russia e Ucraina – e trasformandosi in uno scontro mondiale mascherato. Incalzato dalla foga oratoria e diplomatica del presidente Zelenskyi, che ossessivamente l’ha accusato di non fare abbastanza per sostenere il suo Paese, l’Occidente ha sempre più assunto l’atteggiamento di protagonista diretto dello scontro. Non ha ancora impegnato direttamente le sue truppe, ma il tipo di appoggio che ormai dà all’Ucraina non è più soltanto quello meramente difensivo, come all’inizio.

In questo contesto, al di là delle parole, l’obiettivo dei contendenti espliciti e di quelli mascherati non è certo la pace. Non lo è da parte di Putin, che dopo aver sottovalutato vistosamente le capacità di reazione del coraggioso popolo ucraino, si trova adesso a non poter fermare una guerra, affrontata finora dai comandi militari russi con incredibile incompetenza e leggerezza, senza giustificarla con qualche risultato positivo.

Non lo è però neppure di Zelenskyi che ha abilmente spettacolarizzato il conflitto e che, nelle sue richieste di negoziato, ha mantenuto sempre un atteggiamento provocatorio ben poco atto a favorire il dialogo.

Non lo è della Nato che, invitando il ministro degli esteri ucraino a partecipare al suo Consiglio, non ha certo contributo a rassicurare Putin sulla futura neutralità dell’Ucraina.

E non lo è degli Stati Uniti che, per bocca del presidente Biden, hanno sistematicamente gelato ogni più timida prospettiva di distensione con dichiarazioni così violente e aggressive da far intervenire, per cercare di smorzarle, la stessa diplomazia americana. L’obiettivo dichiarato e perseguito, sia con misure politiche sia con le sanzioni economiche, sempre più esasperate, è ormai di «isolare la Russia dal palcoscenico internazionale» e facendole prendere atto di essersi ridotta al ruolo di «paria», come ha detto Biden.

L’accerchiamento diplomatico ed economico dovrebbe, nelle intenzioni, spingere i russi a ribellarsi contro il loro premier e destituirlo. In questo senso vanno le dichiarazioni di Biden, in cui egli è arrivato a mettere in discussione la legittimità del governo di Mosca. In questo senso va la richiesta di sottoporre Putin a un processo presso la corte penale internazionale (che peraltro né la Russia né gli Stati Uniti hanno mai riconosciuto!), se non addirittura, come ha proposto all’ONU Zelenskyi, istituendo un nuovo tribunale analogo a quello di Norimberga che giudicò i crimini nazisti.

Tutto ciò, sfortunatamente, non tiene conto del fatto che un popolo colpito e circondato si compatta e diventa più unito nel sostenere il proprio leader, come confermano i sondaggi indipendenti che segnalano, contro le aspettative dell’Occidente, un crescente consenso dei russi nei confronti di Putin. Emblematica la presa di posizione su Instagram delle più popolari influencer russe contro le sanzioni e a favore del loro presidente.

In ogni caso, la storia ci insegna inequivocabilmente che, se anche l’obiettivo della vittoria dell’Occidente fosse plausibile, una grande nazione sconfitta e umiliata diventa estremamente pericolosa (vedi l’insorgere del nazismo nella Germania uscita con le ossa rotte dalla pace di Versailles…). Soprattutto quando dispone di missili a testata nucleare. Il «nuovo ordine mondiale» rischia, così, di essere quello dell’odio e della paura.

E del resto sembra che a questa prospettiva anche in Europa ci si prepari, più che alla pace, con il riprendere di una frenetica corsa agli armamenti che sembrava rallentata negli ultimi decenni, e che sta portando perfino la Germania a riarmarsi, suscitando a chi ha un po’ di memoria antichi fantasmi.

Di fronte a questi scenari inquietanti, ritornano alle mente le parole di papa Francesco: «Una guerra sempre, sempre, è la sconfitta dell’umanità». Questa sicuramente lo è. C’è chi, come Putin, non nasconde affatto di volerla continuare fino al raggiungimento, a qualsiasi prezzo, dei propri obiettivi. Ma anche chi dice di volerne la fine forse deve essere più coerente nel comportarsi di conseguenza. Nella speranza di riuscire ad evitare la nascita di un «nuovo ordine mondiale» fondato sull’odio.

  • Dal blog dell’autore sul sito della pastorale della cultura della diocesi di Palermo Tuttavia.
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