L’Occidente e la cristianofobia

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Colpevolmente disattento rispetto ai 360 milioni di cristiani esposti alla persecuzione nel mondo, l’Occidente sembra incapace di avvertire i segnali di erosione della libertà di fede anche al suo interno. Da più di un decennio gli istituti di ricerca e le Chiese segnalano l’impetuosa crescita delle persecuzioni.

Contestualmente, il magistero cattolico ammonisce sulla piega ideologica della laicità occidentale in laicismo. Papa Francesco è tornato a farlo nel discorso del 9 gennaio (2023) al corpo diplomatico: «È bene non dimenticare che la violenza e le discriminazioni contro i cristiani aumentano anche in paesi dove questi non sono una minoranza. La libertà religiosa è messa in pericolo anche laddove i credenti vedono ridotta la possibilità di esprimere le proprie convinzioni nell’ambito della vita sociale, in nome di un malinteso concetto di inclusione. La libertà religiosa, che non può ridursi alla mera libertà di culto, è uno dei requisiti minimi necessari per vivere in modo dignitoso e i governi hanno il dovere di proteggerla e di garantire a ogni persona, compatibilmente con il bene comune, l’opportunità di agire secondo la propria coscienza anche nell’ambito della vita pubblica e nell’esercizio della propria professione».

E, poco dopo, denuncia la «colonizzazione ideologica» espressa dai «tentativi di imporre un pensiero unico, che impedisce il dialogo e marginalizza coloro che la pensano diversamente. C’è il rischio di una deriva, che assume sempre più il volto di un totalitarismo ideologico, che promuove l’intolleranza nei confronti di chi non aderisce a pretese posizioni di “progresso”, le quali, in realtà, sembrano portare piuttosto a un generale regresso dell’umanità, con violazione della libertà di pensiero e di coscienza».

I nomi e la sostanza

Difficilmente si può parlare di persecuzione (vessazioni e molestie sistematiche) in Occidente. Si ricorre piuttosto al termine cristanofobia. Nato in ambiente accademico, è stato diffuso dal linguaggio diplomatico e onusiano in specie come corrispettivo di “antisemitismo” e “islamofobia”. Con esso si indicano alcune pratiche di intolleranza e discriminazione e un’avversione pregiudiziale verso le Chiese cristiane.

Non mancano segnali di avvertenza da parte delle istituzioni. Dal ministero degli interni austriaco che, il 16 novembre 2022, invita le associazioni dedicate alla denuncia delle persecuzioni presso la Cancelleria, al gruppo di lavoro sul dialogo interculturale e religioso del Partito popolare europeo che, il 9-10 dicembre a Vienna, mette a tema «la religione e il futuro dell’Europa».

In quella sede il segretario generale della Comece (Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea), Manuel Barros Prieto, ha ricordato come la questione di Dio sia decisiva per il futuro del continente, antidoto rispetto a regimi autoritari e a culture antisociali. La Francia ha introdotto nella formazione diplomatica l’attenzione alle religioni e in Germania vi è un confronto con l’attuale governo verde-rosso sulle istituzioni federali di cura del tema religioso.

Un segnale è anche la nomina del belga Franz van Daele come inviato speciale della Commissione europea sulla libertà di religione e convinzione. Designazione avvenuta, dopo un lungo tempo di assenza, il 7 dicembre scorso.

I segnali

«Nell’Europa di oggi non solo è fuori moda vivere la vita cristiana con convinzione, ma tale scelta può anche portare a gravi violazioni della libertà personale in importanti ambiti della vita come il lavoro e la formazione»: l’affermazione è della direttrice dell’OIDAC (Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa), Madaleine Enzlberger, nel rapporto dell’anno scorso (cf. SettimanaNews, qui).

Nel rapporto di quest’anno i casi di ostilità sociale o di minaccia alla libertà religiosa sono 500. L’organizzazione non governativa che fa riferimento all’Agenzia per i diritti dell’Unione e all’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) sottolinea tre principali sviluppi: l’elevato numero di crimini d’odio anticristiani nel 2021, il crescente fenomeno dell’autocensura da parte dei cristiani e i pregiudizi contro la fede e i valori cristiani nei social e nei media.

La sorpresa e l’incredulità di molti rispetto alle denunce sono legate alla convinzione che si tratti semplicemente di perdita di privilegi da parte delle fedi e delle Chiese, di scarsa plausibilità davanti alla  pratica e alla dichiarata adesione della maggioranza o di una consistente minoranza della popolazione, di fatti e di eventi di non significativo rilievo, di conflitti interni fra le diverse confessioni cristiane.

Autocensura dei credenti

Si tratta di atti vandalici, di furti, di incendi e solo in pochi casi (14) di aggressione fisica e di omicidi (4). Segnali tuttavia di un progressivo slittamento dalla neutralità verso l’ostilità, dalla laicità verso il laicismo. Il fenomeno dell’autocensura dei credenti nel dibattito pubblico e nella vita civile è legato a sottili forme di condizionamento e a censure indirette.

«L’esteso laicismo politico in diversi paesi ha portato in molti casi ad escludere le credenze religiose dal discorso pubblico e a considerarle superate e in alcuni casi offensive». E questo avviene in particolare nelle università, nelle scuole e nei media. Gli stereotipi negativi sono largamente usati nel dibattito politico e mediale.

Il cristianesimo è spesso descritto come inadeguato e pericoloso. E la società civile appare sempre più indifferente ai discorsi spregiativi e alle false accuse contro i cristiani.

«Nella parte giuridica del Rapporto vengono proposti cinque diritti umani fondamentali spesso negati ai cristiani:

  • La libertà di espressione e di riunione, sempre più limitata dalle leggi sul cosiddetto incitamento all’odio e nelle zone cuscinetto intorno alle cliniche che praticano aborti.
  • Le leggi che andrebbero a criminalizzare anche le conversazioni private, la preghiera e altre attività pacifiche.
  • La libertà di coscienza dei cristiani è messa in discussione poiché la legislazione sull’aborto o sull’eutanasia chiede il diritto all’obiezione degli operatori sanitari per queste pratiche.
  • Allo stesso modo, i diritti dei genitori sono entrati in conflitto con le leggi LGBTQ+ e sull’aborto, le quali conferiscono ai minori l’autonomia di decidere di sottoporsi all’aborto o al passaggio di genere senza che nemmeno i genitori siano informati.
  • Le sproporzionate limitazioni alla libertà religiosa durante la pandemia di Covid-19» (cf. SettimanaNews, qui).
Difensori inaffidabili

Il processo di secolarizzazione, il calo vistoso della partecipazione ai gesti liturgici, la progressiva fragilità istituzionale contribuiscono alla marginalizzazioni delle fedi. A questo si aggiunga il peso dell’incultura religiosa diffusa e delle denunce degli abusi sessuali e di potere da parte del personale ecclesiastico. L’onda lunga degli scandali intacca un deposito di credibilità costruito in precedenza.

A tutto questo si cumula la scarsa affidabilità e credibilità dei difensori e i limiti della cultura laica. Il presidente di Missio Aachen, Dirk Bingener (Katholisch.de, 26 dicembre) sottolinea l’ambiguo sostegno dei movimenti populisti europei alla difesa della tradizione cristiana. Essi si presentano come i veri difensori dei valori cristiani in una presunta guerra culturale contro l’islam e contro le decadenti democrazie liberali dell’Occidente.

Non avvertono la contraddizione di difendere una libertà religiosa (per i cristiani) negandola ad altri e usano il riferimento ai valori morali tradizionali per indebolire le forme essenziali della democrazia. Una strategia propria a tutti i partiti populisti, ma anche alle “democrazie illiberali” come quella di Victor Urban in Ungheria.

La scarsa avvertenza di alcune Chiese che si accodano acriticamente alla difesa dei valori tradizionali (è il caso della Polonia) senza un’adeguata consapevolezza di elementi come l’autonomia del potere giudiziario in uno stato di diritto contribuiscono ad aumentare il radicalismo islamico di paesi come la Turchia, alimentano la reticenza di ampi settori dello spettro politico e confermano l’intollerabile cancel culture di alcune amministrazioni pubbliche che, rimuovendo i simboli cristiani o con altre decisioni similari, credono di fare un servizio agli “altri”.

«Questa miscela di ignoranza e disinteresse per il tema della religione è deplorevole e deve cambiare. Quanto più gli attori democratici hanno difficoltà a parlare di violazioni delle libertà religiosa e di esporsi a favore dei cristiani oppressi e perseguitati, tanto più questi temi vengono percepiti in pubblico come propri dei partiti di destra». Una dinamica che rende più facile ai populisti presentarsi come gli ultimi sostenitori dei cristiani oppressi.

Diritti e Vangelo

La cultura laica, accademica e mediale, accanto al pensiero prevalente delle élites politiche, non avverte le possibili derive dell’enfasi sui diritti personali e alla contraddizioni di affermarli come obbliganti in contesti culturali che li percepiscono come violente colonizzazioni.

È il tema dei “nuovi diritti” che, sull’abbrivio dell’ampliamento dei diritti fondamentali del 1948 (del fanciullo, della donna, dell’anziano, dell’ambiente, della pace ecc.), giungono ai “diritti sessuali” ai “diritti riproduttivi”, alla “salute riproduttiva”, cioè  all’affermazione di “diritti individuali” che, rispetto ai “diritti fondamentali” (libertà personale, di pensiero, di movimento ecc.), non tollerano alcun limite e trasformano la “non discriminazione” da condizione per affermare il diritto a diritto in sé, ignorano la contraddizione con altri più tradizionali diritti e ne rimuovono la storicità.

Un’insufficienza che non avverte lo sviluppo in atto nella teologia e nel magistero per una progressiva uscita dalla cristianità, dalla pretesa di una parola decisiva e vincolante sulla società da parte della Chiesa. L’affermazione di una legge naturale o di un ordine morale oggettivo non è affatto smentita ma posta in una posizione “seconda” (non “secondaria”) rispetto alla forza kerigmatica e inclusiva del Vangelo.

Rimangono le distanze delle concezioni antropologiche, non più misurate sulla linea Chiesa-mondo, ma su quella di Vangelo-umano-comune. La priorità data al tempo sullo spazio (al progetto più che al potere) e al poliedro più che alla sfera (alla creatività culturale e spirituale rispetto all’ordine logico della dottrina) enfatizza il dato testimoniale della fede piuttosto di quello “obbligante” del ragionamento. La parola ecclesiale entra nel linguaggio della polis con la sola forza dei suoi gesti e della sua affidabilità.

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