Persecuzioni “oscurate”

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La prevalente attenzione alla pandemia mondiale ha messo in ombra le persecuzioni in ragione della fede e gli attentati alla libertà religiosa.

Una lettera del presidente della Conferenza episcopale del Canada sulle persecuzioni anticristiane in Eritrea e un rapporto del Gruppo di ricerca del Centro cattolico multimediale del Messico sulle violenze contro le chiese, i preti e i religiosi del paese ricordano la dimensione martiriale di molte comunità cristiane.

Il pericolo riguarda 245-260 milioni di cristiani (su circa 1.800 milioni). La comprensibile prevalenza dell’informazione sulla pandemia mondiale ha di fatto rimosso molte attenzioni considerate non centrali, fra cui le persecuzioni in ragione della fede e gli attentati alla libertà religiosa.

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Catacomba di San Gennaro

I casi eritreo e messicano indicano due dei grandi “attori” del fenomeno: l’Eritrea attraversa una persecuzione di tipo ideologico-statalista, mentre il Messico è preda di una violenza diffusa (organizzata o meno) che le istituzioni pubbliche non riescono a controllare. Gli altri “attori” delle violenze antireligiose sono: il fondamentalismo islamico e l’islamismo statuale (sharia), da un lato, e il fondamentalismo religioso-etnico, dall’altro.

Eritrea: le pretese della dittatura

La lettera di mons. Richard Gagnon, vescovo di Winnipeg e presidente della Conferenza episcopale canadese, che reca la data del 31 marzo 2020, è indirizzata al ministro degli esteri, François-Philippe Champagne. Parte dalle testimonianze dei cattolici eritrei presenti nel paese per affermare «non solamente la continuità, ma l’esplosione della persecuzione religiosa ovunque in Eritrea, compresa la soppressione delle istituzioni religiose. Solo nel 2019 21 ospedali e altre strutture di cura cattoliche, comprese le case religiose al loro interno, sono stati chiusi dalla polizia governativa eritrea, privando migliaia di persone, in particolare mamme e bambini delle zone rurali, delle cure sanitarie necessarie ed efficaci, oltre che bene avviate.

Sempre nel 2019 molte scuole private di proprietà cristiana o musulmana sono state confiscate dal governo eritreo: alcune sono state chiuse, altre passate forzosamente all’amministrazione pubblica, col cambio degli indirizzo e valori di riferimento, obbligatoriamente aperte, ad esempio, nei giorni festivi». Un’ingerenza arbitraria da parte dello Stato che si rivela essere «un pretesto per continuare la violenza contro i credenti».

Su queste denunce concordano autorità internazionali come la Commissione degli Stati Uniti sulla libertà religiosa e la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sui diritti dell’uomo in Eritrea.

Nella lettera si chiede al governo canadese di protestare vigorosamente per l’immediato ristabilimento dei diritti degli interessati e di tutte la popolazione.

Si ricordano positivamente le speranze legate all’accordo fra Eritrea ed Etiopia dopo decenni di guerra e la firma di pace avvenuta in Arabia Saudita nel 2018, ma anche il grido di pacificazione nel paese espresso dai vescovi cattolici nella lettera del 2014 (“Dove sei, fratello mio?”). Con il contrasto evidente espresso dallo sgarbo al cardinale Berhaneyesus Demerew Souraphiel e alla sua delegazione in provenienza dall’Eritrea, costretti a 16 ore di perquisizione alla frontiere a rispediti indietro (marzo 2020).

Il testo dei vescovi canadesi riprende una vicenda già denunciata dai vescovi eritrei il 4 settembre 2019 che, in una lettera al ministero dell’istruzione, sottolineano «l’arbitrario e unilaterale provvedimento assunto di recente dal governo della nazione con la statalizzazione delle nostre cliniche» e di sette scuole cattoliche. Col pericolo immediato per la quarantina di altre ancora aperte e per un centinaio di asili per bambini. Provvedimenti che cadono in uno paese di circa 5 milioni di abitanti, dichiaratamente comunista, privo di condizioni costituzionali di diritto, interamente sottoposto ai dettami del partito unico e del suo capo, Isaias Afwerki. Uno stato di polizia con decine di migliaia di prigionieri politici, con un servizio militare illimitato e una non tematizzata convergenza delle 9 etnie che compongono la popolazione.

In particolari difficoltà le minoranze come quelle cattoliche (120.000) e musulmane. Ma anche la Chiesa ortodossa è stata divisa. Mentre in Etiopia lo scisma interno è stato risolto dopo 27 anni col riconoscimento reciproco dei due patriarchi (Abuna Merkurios e Abuna Mathias), in Eritrea il sinodo filogovernativo ha scomunicato Abuna Antonios, già deposto su pressioni del governo nel 2006, lasciando acefala la Chiesa ortodossa.

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Dal punto di vista delle alleanze internazionali, è curioso che lo Stato comunista eritreo si stia legando fortemente all’islamica Arabia Saudita. Essa ha propiziato la pace con l’Etiopia e sovvenziona il regime, facendolo entrare nella rete di stati satelliti, fra cui Egitto, Gibuti, Somalia, Sudan, Yemen e Giordania. Con l’Etiopia sono i paesi che fiancheggiano il mar Rosso e garantiscono il passaggio delle navi petroliere. Un’alleanza che vuole contrastare l’influenza di Iran, Turchia e Qatar nell’area medio-orientale.

Messico: l’impotenza dello stato

Il caso delle persecuzioni anticristiane in Messico si colloca sul versante della violenza diffusa, organizzata (narcotraffico) o meno. Il problema non nasce da oggi e non è solo del paese. In America Latina, dove vive l’8% della popolazione mondiale, avviene il 33% degli omicidi. Brasile, Colombia, Messico e Venezuela assommano il 25% degli uccisi nel mondo. Dal 2000 al 2018 le morti violente dell’area arrivano a 2,5 milioni di persone e lì sono collocate 43 delle 50 città considerate più pericolose del mondo.

In Messico, nonostante la positiva svolta delle ultime elezioni presidenziali (A.M. Lopez Obrador), i cartelli della droga occupano intere regioni e costituiscono il vero potere locale. In una sola Regione-Stato (Guerrero) vi sono stati nel 2017 25.400 morti.

In uno studio di tre anni fa riguardante i soli “scomparsi” si ricordava la stima della Commissione nazionale dei diritti umani che denunciava 57.861 scomparsi nell’arco di vent’anni. Negli ultimi dieci hanno sono state scoperte, in quasi tutte le Regioni-Stato, un migliaio di fosse clandestine con migliaia di corpi decomposti.

È questo il contesto in cui collocare il Rapporto del gruppo di ricerca del Centro cattolico multimediale, reso noto nel febbraio scorso. Fra il 2012 e il 2019 sono stati registrati 27 omicidi contro sacerdoti. 2 sono scomparsi. Nel 2018 gli uccisi sono stati 7. Nel 2019 si registra una sola vittima. In forte crescita le violenze alle chiese e alle istituzioni religiose: una trentina di casi ogni mese, il 12% in più. 1.400 nell’anno. Le modalità prevalenti sono i furti di oggetti liturgici, le aggressioni ai fedeli per estorcere denaro, le violenze sui preti e gli attacchi sacrileghi veri e propri contro l’eucaristia con lo spregio dei vasi sacri e delle ostie in essi contenute.

Questo ha provocato la decisione di diverse diocesi di chiudere alla notte le chiese e di suggerire una serie di mezzi tecnici per garantirne una maggiore sicurezza. Un caso a parte sono i furti di opere d’arte. Nel 2019 i carabinieri italiani hanno restituito 600 pezzi di valore (fra 1800–1900) trovati nel mercato illegale dei trafficanti d’arte.

Il fatto più inquietante è relativo alla profanazione delle specie eucaristiche, alle aggressioni alle persone consacrate e al disprezzo dei luoghi sacri. Premesse di culti demoniaci o chiaramente anti-cattolici (il culto alla morte, ad es.).

Violenza impunita

Il Rapporto sottolinea il vortice della violenza che interessa e attraversa l’intero paese e che mette in questione anche la libertà religiosa. «Per il Messico, il panorama dell’insicurezza delle chiese, è semplicemente desolante». Tanto più dopo i danni che il terremoto del 2017 ha provocato (1.850 chiese danneggiate in 26 delle 95 diocesi del paese).

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La gravità delle aggressione è legata al tema del sacro e della figura del consacrato. Se la malavita, organizzata o meno, può violarli, allora significa che nessuno è sicuro e che molte zone dello stato sono abbandonate a sé stesse. De-sacralizzare il consacrato e il luogo santo vuol dire imporre il terrore e la cultura del silenzio omertoso. «Gli attacchi sono segno della grave crisi sociale del nostro tempo e meritano un’attenzione immediata».

Le denunce dei vescovi e delle Chiese locali sono numerose. Spesso senza esito. «Per ogni credente, le forme concrete del sacro sono segni che esprimono la fede che deve avere spazio per manifestarsi nel contesto sociale. Le chiese sono un segno del sacro che rendono possibile l’esercizio dei diritto umano di credere». Sono anche simboli di libertà religiosa e di legame sociale. «La violenza attenua il senso religioso e assistiamo all’indebolimento e alla perdita della spiritualità». La chiesa è anche esempio di ospitalità generalizzata. Per entrare non è necessaria né la carta di identità, né l’appartenenza. Chiuderle è un segnale negativo per la vita civile.

Il Rapporto passa in rassegna, mese per mese, gli atti di violenza alle cose e alle persone. A partire dallo scoramento dei fedeli e dei preti: «È inutile presentare denuncia, siamo in balìa del crimine». Atti di resistenza sono pagati con ferite d’arma da fuoco.

Ai vescovi arrivano appelli che non trovano riscontro nelle forze di polizia. Soprattutto quando la violenza è totalmente gratuita e fine a sé stessa. Come a Zacatecas dove una macchina di passaggio ha lanciato verso un gruppo di bambini che giocavano prima del catechismo una bomba che li ha gravemente feriti. Sono violenze di singoli o di gruppi organizzati.

Si registrano anche aggressioni “sbagliate”. Un paio di preti sono stati aggrediti per poi essere liberati perché gli aggressori avevano sbagliato persona. Un contesto che rende “casuale” per difetto l’unica uccisione registrata nel 2019. Il 23 agosto 2019 è stato ucciso il prete Juan Martin Guzman Vega.

Nel progetto di pastorale per i prossimi anni i vescovi scrivono: «Ci rammarichiamo per la scomparsa e la morte di migliaia di giovani avvenute di recente (il testo è del 2016), per i femminicidi, fiumi di sangue che attraversano le nostre città. L’introduzione di una narco-cultura nella nostra società messicana, dell’ottenimento del denaro e del guadagno facile e veloce in qualsiasi modo, ha danneggiato profondamente il modo di pensare di molta gente; a questo si aggiungono altri fattori come la perdita dei valori, la disintegrazione familiare, la mancanza di opportunità occupazionale, lavori malpagati, la corruzione, l’ingovernabilità e l’impunità».

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