Russia: la grande fuga

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Abbiamo chiesto ad Anna Zafesova – giornalista de La Stampa – di rappresentare la portata dell’attuale fuga di cittadini dalla Russia.

  • Gentile Anna, può dirci innanzi tutto quali sono le proporzioni dell’attuale fuoriuscita dalla Russia?

Ad oggi (28 settembre, ndr) sono 260.000 le persone – ufficialmente censite – fuoriuscite dalla Federazione Russa, a pochi giorni dalla dichiarazione di mobilitazione parziale, così definita da Wladimir Putin: stiamo parlando quindi del numero di uomini che lo stesso Putin ha affermato di voler mobilitare, ossia 300.000.

Ci sono almeno altrettante persone – letteralmente in coda – verso l’uscita. Nel mentre sta montando per queste persone la paura di essere fermati alle frontiere da qualche nuovo provvedimento: sappiamo di molte che, per raggiungerle più in fretta, stanno vendendo o abbandonando le auto a bordo strada, prima che sia troppo tardi.

Stiamo assistendo cioè ad un esodo del tutto paragonabile ad altri conosciuti dalla storia contemporanea, con tutto il carico di dramma del caso. I russi fuggono dal loro Paese in guerra così come si fuggiva, ad esempio, dalla Jugoslavia, 30 anni fa.

Chi scappa?
  • Può tracciare un profilo delle persone che stanno cercando di lasciare la Russia?

Non sono soltanto giovani e non sono soltanto uomini. La mobilitazione dichiarata da Putin è totale, perché l’arruolamento, in realtà, riguarda tutti gli uomini. Ciò è confermato dai filmati che ho visionato da diverse regioni della Russia: ci sono tantissimi volti non più giovani tra gli arruolati, non solo sopra i trent’anni, ma direi anche sopra i quaranta e i cinquanta. Ufficialmente l’arruolamento tocca, infatti, gli uomini sino ai cinquant’anni a livello di soldati semplici, sino all’età pensionabile a livello di ufficiali.

Al di là di ciò che contraddittoriamente è scritto nei documenti che, peraltro, non sono stati resi pubblici, è scattata nel Paese una dinamica ben nota in Russia dai tempi sovietici, ossia se i capi, dall’alto, chiedono un numero, la burocrazia, dal basso, si adopera zelantemente per fornire un numero molto più consistente. Non importa la “qualità”, per i burocrati conta la “quantità”. Si tratta di un arruolamento a tappeto. Conseguentemente, se ne stanno andando uomini di tutte le età.

  • Gli uomini di cui Putin vuole l’arruolamento sono i cosiddetti riservisti?

Una delle poche cose chiare che ha detto Putin nel suo discorso è che doveva trattarsi di persone con esperienze militari pregresse, di guerra, o almeno di servizio militare. Invece, di fatto, l’arruolamento sta riguardando anche uomini totalmente privi di esperienze e competenze di tipo militare e che, certamente, non possono essere definiti riservisti.

  • L’arruolamento sta avvenendo in maniera generalizzata, tra città e regioni, tra regioni e regioni, allo stesso modo?

Come avevo detto (qui), in precedenza la campagna di arruolamento stava facendo una certa presa nelle regioni piuttosto che nelle città, presso le minoranze etniche più povere piuttosto che presso la classe benestante delle grandi città. Ora stiamo assistendo ad arruolamenti forzati anche a Mosca e a San Pietroburgo: appare che le persone vengano cercate nei posti di lavoro, a casa o persino per strada.

Ma immagino che ci siano indicazioni per puntare, ancora, soprattutto, sui centri provinciali, meno informati – e meno informatizzati -, quindi relativamente più facili da trascinare. Le minoranze etniche costituiscono un serbatoio di risorse umane da mandare in guerra: buriati, baschiri, jaucuzi, tatari ecc. Ma la novità è che la mossa del Cremlino riguarda, almeno potenzialmente, davvero tutti.

Arruolato
  • Quali sono le reazioni di quanti vengono arruolati?

In Caucaso, Cecenia e Daghestan ci sono state proteste di piazza, per cui le autorità si sono risolte a mettere freno agli arruolamenti.

So che ci sono stati degli scontri importanti con la polizia. In quelle regioni, le autorità federali devono stare attente: sanno che la popolazione conserva armi in casa; benché si tratti di gente e giovani più poveri e meno formati, i risentimenti storici possono sempre rapidamente risvegliarsi.

  • La via della corruzione è percorribile per sottrarsi all’arruolamento?

Sicuramente. Ciò fa parte, da sempre, delle incognite sul potenziale – reale – della Russia, sia in ambito militare sia in altri ambiti. Anche in questo frangente si sta facendo ampio ricorso alle tangenti, naturalmente da parte di chi se lo può permettere. Non ne sappiamo molto perché, ovviamente, chi pratica questa strada non ha nessuna voglia di parlarne.

Mentre so per certo di militari che hanno cercato di estorcere denaro a chi non è stato reclutato facendo credere che lo fosse. Casi plurimi di questo tipo si sono verificati tra le file di chi si sta dirigendo verso le frontiere.

  • La fuga interessa solo gli uomini?

Ci sono anche tantissime famiglie in fuga dalla Russia. Posso dirlo perché verso la Georgia, in particolare, si sono create condizioni di allarme umanitario che hanno fatto notizia, con donne, bambini e animali domestici sulle macchine in coda, su valichi di montagna, per lo più disabitati, in carenza di acqua, cibo, servizi igienici.

Ci sono, dunque, molti uomini che decidono di andarsene con tutta la famiglia, naturalmente per non separarsi e per non lasciare la famiglia in situazioni molto difficili.

Vie di fuga
  • Quali sono i Paesi verso cui è diretto l’esodo?

Sono interessati dal fenomeno tutti i Paesi di confine. Meno verso la Mongolia, se non altro per l’impervietà del passaggio in zone assolutamente non popolate. Il transito in questo momento più problematico, come ho accennato, è quello verso la Georgia. Il capo della regione russa dell’Ossezia del nord, al confine con la Georgia, è arrivato a proibire il transito alle auto con targhe non locali, generando, in tal modo, un ulteriore grado di corruzione.

Chi fugge lascia l’auto fuori dalla regione e poi paga i taxisti o i residenti locali per farsi trasportare. Servono almeno 4-5 giorni, attualmente, per attraversare l’Ossezia del nord e arrivare al confine.

Anche per arrivare al confine col Kazakistan ci si mette parecchio, ma va già meglio. Chi riesce ad attraversare incontra, peraltro, i volontari kazaki che aiutano a trovare sistemazioni provvisorie in palestre, cinema e persino moschee.

Sta avvenendo – con ciò – un fatto simbolico molto importante, a mio giudizio, ossia sono ora quelle popolazioni dell’Asia centrale – considerate dall’impero sovietico minoritarie e vassalle – a prestare aiuto ai russi in fuga. È un colpo molto forte all’immagine che i russi coltivano di sé stessi.

Il confine più esteso verso ovest è quello con la Finlandia. Anche là ci sono lunghe code, ma il passaggio è avvenuto, sino ad ora, senza particolari problemi, sia perché vi si rivolge la parte russa più benestante, sia perché la Finlandia è ben organizzata. In meno di una settimana sono giunti in Finlandia 50.000 persone con passaporto russo. Come sappiamo, la Finlandia ha iniziato tuttavia a limitare gli ingressi.

Ricordo che il 70% dei russi non possiede un passaporto. La Finlandia è la prima meta per chi possiede il passaporto e il visto Shengen valido per un tempo massimo, di per sé, di 90 giorni. In Georgia i russi entrano con passaporto ma senza visto e possono fermarsi nel Paese più a lungo. In Kazakistan entrano con carta di identità e senza alcun tipo di visto. La scelta della destinazione avviene secondo le possibilità.

  • Queste persone sanno dove andare e cosa fare? Hanno un minimo di progetto migratorio?

Ritengo che chi aveva un progetto abbastanza ben definito se ne sia già andato dopo il 24 febbraio scorso, sapendo di poter cercare e trovare casa e lavoro in altri Paesi e sapendo di poter contare su risparmi e titoli di formazione spendibili.

Chi sta migrando in questa fase probabilmente non dispone esattamente delle stesse risorse e non ha un progetto ben preciso in mente. Come ho detto, si tratta di una fuga dalla coscrizione e dalle pene pesanti previste per chi vi si sottrae. Ciò fa di loro dei veri profughi, nel senso che lasciano il loro Paese senza sapere dove sarà e come sarà il loro futuro.

  • Quale atteggiamento stanno maturando i Paesi europei nei confronti di questi profughi, questa volta russi?

Come accennato, la Finlandia – unico accesso praticabile dalla Russia, via terra, per l’Europa – sta limitando gli accessi. Già si stava ponendo in Finlandia, durante l’estate, il problema del passaggio e dell’accoglienza dei russi benestanti in viaggio turistico verso i Paesi europei (qui), col proposito di sospendere le motivazioni turistiche, introducendo, semmai, misure di ingresso solo a carattere umanitario.

Per inciso, qui osservo come stia avvenendo un singolare ribaltamento di condizione tra Paesi del nord europeo e del sud d’Europa, in particolare l’Italia: per certi versi, la Finlandia ora teme di divenire la Lampedusa del nord e – per effetto degli Accordi di Dublino tanto sostenuti – di doversi fare carico, quale primo Paese europeo interessato dall’esodo, dell’accoglienza dei cittadini russi e delle loro potenziali domande di asilo, per tutto l’occidente.

Quel che si sta ancora una volta notando è l’ordine sparso in cui sta procedendo l’Europa rispetto ad uno scenario senz’altro nuovo, ma previsto e prevedibile.

Fuggitivi ed Europa
  • Secondo lei, l’Europa dovrebbe aprire le proprie porte a chi sta fuoriuscendo dalla Russia?

Il tema è delicato: a maggior ragione andrebbe considerato con attenzione a livello europeo. La Germania sta dicendo di considerare la fuga dalla coscrizione russa – a motivo di una guerra ingiusta – una ragione sufficiente per la concessione dell’asilo politico. Francia e Stati Uniti si sono pronunciati allo stesso modo. Naturalmente le domande di asilo vanno trattate – secondo la legge – per singoli, non per gruppo. Sarebbe possibile prevenire le istanze di comodo.

Gli Stati baltici e la Polonia non ne vogliono sapere e hanno già annunciato che non concederanno asilo ai cittadini russi. La Finlandia si sta orientando, nello stesso senso, anche perché, come ho detto, quale primo Paese di accesso in Europa, si dovrebbe far carico – secondo Dublino – di tutte le domande di asilo, anche di quelle orientate verso la Germania o la Francia o l’Italia, a meno che i fuoriusciti riescano ad arrivarci in aereo.

Servirebbe, dunque, un’intesa tra Paesi europei, ma in questo momento non se ne vedono le premesse.

Personalmente ritengo che l’Europa non possa negare l’asilo a chi fugge da una guerra ritenuta ingiusta. Se respinte in Russia, queste persone corrono il rischio di andare a morire, ovvero di essere incarcerate. Ogni persona in pericolo di vita o privata della libertà in patria deve poter essere accolta, pena il venir meno dei principi fondamentali dell’Europa. La realizzazione di questo principio non è una cosa semplice ma, proprio per questo, l’Europa dovrebbe ben riflettere e attrezzarsi in maniera coerente e solidale.

  • Chi sta fuggendo in questo momento sta davvero manifestando il proprio dissenso al governo russo?

Il dubbio c’è. I dissidenti se ne sono già andati dalla Russia, probabilmente, sin dalla prima ora della guerra.  Allora l’Europa non ha preparato per loro alcuna strada di accoglienza. Si è pensato, giustamente, ai profughi ucraini. Ma ora non basta.

Chi sta fuggendo è parte di quella maggioranza che ha lasciato governare Putin in cambio della propria tranquillità e del proprio benessere. Può darsi persino che qualcuno di questi fuoriusciti avesse appiccicata la “Z” sul parabrezza dell’auto, sino appunto a pochi giorni fa. Detto questo – e proprio per questa ragione – ciò che sta avvenendo rappresenta una svolta – affatto trascurabile – per la società russa. Si sta rompendo quel patto silenzioso e pernicioso tra Putin e il Paese.

Io ritengo che tale svolta vada incoraggiata e incentivata con quanto l’Europa possa mettere a disposizione. Se un russo si vede negare oggi l’ingresso in Europa, cosa può pensare? Penserà che l’Europa detesta i russi e non li vuole, precisamente come la propaganda cerca di convincere, da anni.

Il consenso per Putin
  • Mi permetta tuttavia di dire che la svolta di cui lei sta parlando sembra dettata più dalla necessità che da qualche idealità…

Le persone fuggono non solo perché vogliono sottrarre sé stesse all’arruolamento, ma perché sono convinte che, andando in guerra in Ucraina, avrebbero tantissime probabilità di morire ammazzate.

Ciò non è banale: non hanno quindi alcuna fiducia del governo e dell’esercito, sanno che questi non sono all’altezza delle ambizioni dichiarate. Fuggendo, dimostrano di non credere affatto alla propaganda del regime. Questo mina radicalmente il consenso che, bene o male, ha retto sino ad ora. Non è cosa di poco conto.

  • Oltre alle conseguenze militari, quali sono le conseguenze dell’esodo dal punto di vista dell’economia generale?

La maggior parte delle persone in fuga appartiene alla borghesia cittadina: sono persone che possiedono documenti per l’espatrio, la patente, l’auto, titoli di studio, esperienze lavorative, disponibilità finanziarie e capacità di organizzazione. Sono cioè persone che lavorano, pagano le tasse e spesso danno lavoro ad altri.

È perciò abbastanza prevedibile quale possa risultare l’impatto sull’economia generale del Paese nel breve e soprattutto nel medio termine. Da quel che so, si stanno già creando dei vuoti nelle aziende e nelle università. Alcune linee aeree, ad esempio, sono già a corto di piloti. Il tessuto economico russo si sta sgretolando per fare la guerra.

  • Quali parole può spendere per chi parte per il fronte?

La vera carne da cannone è quella delle regioni più povere e meno istruite, quella che vediamo caricata sui bus con l’espressione mesta delle bestie portate al macello. I volti dicono molto: appaiono deportati più che militi che vanno a combattere con entusiasmo per la Russia, come vorrebbe il regime.

Certo: ci sono filmati anche di segno opposto, con gente in uniforme che canta e che balla annebbiata dalla vodka. Qualcuno convinto pure ci sarà.  Ma sui social russi stanno circolando in prevalenza filmati di reclutati stesi a terra nelle palestre, in attesa di partire, forniti di kit di sopravvivenza ormai scaduti.

In molte regioni questi poveretti sono richiesti di portare da casa quel che serve, incluse le divise, perché non ce ne sono a sufficienza. Le donne che si separano dai loro uomini con urla e con pianti sono una realtà.

La dissociazione cognitiva che si è attestata nella mente dei russi per effetto della propaganda, in queste circostanze, sta scoppiando: appare ora evidente una realtà che, per anni, la maggioranza silenziosa ha finto di non vedere.

La situazione in Ucraina
  • Quali messaggi sta lanciando l’Ucraina ai soldati russi?

L’Ucraina ha allestito degli account in cui i soldati russi possono scrivere «vorrei arrendermi», offrendo loro l’anonimato. Nel mentre Putin ha ordinato alla Duma di elevare a 10 anni la pena di reclusione per chi si arrende al nemico.

È chiaro l’intento ucraino: in Russia non verrebbero a sapere chi – tra i soldati russi – è stato catturato e chi si è arreso. L’Ucraina sta offrendo inoltre l’asilo ai soldati russi che non vogliono più tornare nella Federazione Russa. Pare che l’offerta stia funzionando: qualche centinaio di soldati russi si sarebbe consegnato all’esercito ucraino.

  • Anche l’Ucraina è un Paese in guerra, perciò militarizzato. I metodi di reclutamento non sono in fondo gli stessi?

Anche in Ucraina è in atto una mobilitazione generale. Ciò non significa che tutti gli uomini siano mandati a combattere: significa che non possono abbandonare il loro Paese in attesa – eventualmente – di essere chiamati a combattere, per un certo periodo di tempo. Direi che i metodi, lo stile e il clima sono molto diversi.

Di fondo, c’è una differenza obiettiva e una diversa consapevolezza della guerra: la gente ucraina sa di stare difendendo il proprio Paese da un’invasione ingiustificata. Aggrediti e aggressori non sono e non possono essere posti e valutati sul medesimo piano.

  • Di fronte a tutto questo, la Chiesa russa ortodossa che fa?  

Non mi sono giunte, in questi giorni, notizie di religiosi russi che abbiano protestato contro le nuove misure prese dal governo con la mobilitazione. Abbiamo altrimenti letto le parole del patriarca Kirill che ha incoraggiato l’arruolamento, sino a prefigurare il sacrificio in guerra e il perdono dei peccati dei combattenti.

Il clero ortodosso in Russia appare molto allineato su queste posizioni. Ogni tipo dissenso politico – ma penso anche liturgico e teologico – è stato prontamente estirpato. Dopo il 24 febbraio, abbiamo visto preti contestare la guerra: ora, non mi pare che questo stia ancora accadendo. Solo preti ortodossi al di fuori della Russia lo stanno facendo.

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