La Russia vista da Anna Zafesova

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Anna Zafesova, giornalista italiana, storica e analista dell’ex Unione Sovietica, è stata corrispondente da Mosca per La Stampa. Con Sergio Romano ha recentemente pubblicato l’e-book Tramonto russo, Paesi Edizioni.

  • Gentilissima dottoressa Anna, cosa sta pensando l’opinione pubblica russa in questo momento?

Chiaramente non è possibile dare una risposta univoca e sicura. Ci sono 144 milioni di russi. E nel Paese c’è una situazione di disinformazione molto pesante. Citerò, per rispondere, qualche dato dai più recenti sondaggi, ma con la premessa che questi vanno presi con estrema cautela.

La Russia è governata da un regime che vieta ai cittadini di esprimere liberamente le proprie opinioni. Si possono tuttavia ricavare dai dati informazioni e considerazioni significative.

Leggendo i sondaggi relativi alla popolazione russa, bisogna sempre porsi alcune domande: che cosa effettivamente pensano i russi? che cosa viene loro fatto pensare? di cosa sono consapevoli e di cosa non sono affatto consapevoli? cosa possono dire e cosa non possono dire?

C’è abbondante materia di studio circa la dissociazione cognitiva in Russia. Recentemente un’artista è stata arrestata a San Pietroburgo per aver sostituito cartellini dei prezzi del supermercato con micro-messaggi del genere: “1.000 morti a Bucha”. Mi sembra un esempio eloquente: qualcuno cerca di rompere il quadro cognitivo impresso dalla propaganda, ovviamente rischiando.

Cominciando ad entrare nel merito, posso dire che ci sono russi che prendono acriticamente per buone le informazioni della propaganda televisiva, senza andare alla ricerca di altre fonti di informazione. Ci sono russi che rifuggono da qualsiasi tipo di informazione presi dai problemi della loro vita di ogni giorno. Ci sono russi molto smarriti per quanto è dato loro di sapere. Ci sono russi che protestano apertamente.

Ci sono i russi che hanno costretto una ragazza del Daghestan che aveva gridato durante la cerimonia dell’ultimo giorno di scuola “Putin è un demonio”, a chiedere, la sera stessa, pubblicamente scusa; ci sono russi come Boris Bondarev, l’alto diplomatico presso le Nazioni Unite che, a Ginevra, ha dato le dimissioni scrivendo di vergognarsi del suo Paese per quanto sta facendo in Ucraina.

Quello che posso sicuramente dire è che tutti i russi sono accomunati da sensazioni di disagio e di grande timore per il futuro.

Migrazioni
  • Ci sono pure russi che hanno lasciato la Federazione in questo ultimo periodo? Quanti?

Secondo i dati ufficiali, sono 3,8 i milioni di cittadini che sono usciti dalla Federazione Russa da gennaio a fine aprile: benché non sia dato sapere quanti di questi siano effettivamente espatriati e quanti siano usciti per poi rientrare per le ragioni più varie, questo resta un dato assai rilevante.

Consideriamo che sono ancora in vigore in Russia le limitazioni di viaggio per la prevenzione del Covid, che il turismo è praticamente fermo e che è possibile uscire dal Paese con voli diretti solo verso alcuni Paesi, ma non verso l’Europa e gli Stati Uniti. Possiamo pertanto ritenere che la gran parte di questi 3,8 milioni se ne sia andata dalla Russia per dissenso dell’aggressione dell’Ucraina. Il dato è, di per sé, enorme: significa il 3% della popolazione russa.

  • Può dire se gli atteggiamenti sono diversificati tra giovani e meno giovani?

I dati sono da analizzare con la premessa precedente. È circolato l’esito di un sondaggio che assegnerebbe a Putin l’80% del sostegno popolare. Preso globalmente il dato è inattendibile.

Teniamo conto – oltre a quanto già detto circa la mancanza di libertà di espressione della popolazione russa -, del ruolo degli stessi sondaggisti che evidentemente non possono pubblicare dati troppo sgraditi al potere. Detto questo, l’analisi e la scomposizione del numero globale ci può consegnare le tendenze.

Persino da queste fonti ufficiali risulta, infatti, che la quota dei sostenitori della guerra in Ucraina scende drasticamente all’abbassarsi dell’età della popolazione intervistata. L’unica fascia di età nella quale i sostenitori della guerra diventano minoranza è quella dei giovani al di sotto dei 25 anni, mentre al di sopra dei 65 anni il consenso è dominante. La correlazione è pressoché lineare.

Si può dire pertanto che, all’interno delle stesse famiglie russe, si verificano spaccature tra padri e figli: tantissimi giovani russi stanno segnalando l’impossibilità di comunicare con i loro familiari più anziani. I giovani russi sono assai meno inclini ad accettare la retorica della guerra, mentre gli anziani – che in tale retorica sono stati educati dall’epoca sovietica – considerano la guerra necessaria e quindi non del tutto negativa.

Una divisione generazionale
  • Le diverse opinioni per fasce età vanno al di là del tema guerra?

La tendenza generazionale è osservata da tempo in ragione dello scontro con l’opposizione di Aleksej Navalny.

Tutta la propaganda è rivolta al passato con l’uso sempre più frequente di stereotipi di stampo sovietico, sino al grottesco: con bandiere, divise e slogan d’epoca. È facile desumere che il regime, con un calcolo cinico, si sta avvalendo del consenso dell’elettorato più avanti in età. Mentre ai giovani non riesce ad offrire nulla di accattivante, né in termini di simboli e linguaggi, né di opportunità.

Non ignoriamo che la Russia ha una grafica demografica simile a quella europea, a modo di piramide rovesciata anziani su giovani – anche se con una aspettativa di vita più bassa – e ricordiamo che i giovani russi, come i giovani europei in genere, disertano massicciamente le urne. La propaganda mirata sugli anziani, dunque, nell’immediato funziona ancora, anche se non può portare da nessuna parte in futuro.

opinione

  • Cosa pensano i russi degli ucraini?

Ricorriamo ancora ai sondaggi, ma con cautela. Se andiamo indietro di qualche anno, l’Ucraina era considerata dai russi – nei sondaggi – il Paese più ostile, insieme agli Stati Uniti. Più recentemente era stata rilevata una tendenza di maggiore benevolenza o comunque di neutralità dei russi nei confronti degli ucraini, anche se non nella stessa misura nei confronti del governo ucraino: i sentimenti popolari si stavano tuttavia appianando.

La stessa tendenza si stava verificando in Ucraina, peraltro con una maggiore attendibilità. Gli ucraini sapevano infatti maggiormente distinguere tra russi e leadership politica russa. Questo, appunto, prima di questa guerra.

Ora il discorso è chiaramente molto diverso, da una parte e dall’altra. Ora, per gli ucraini, la guerra di aggressione di Putin è la guerra dei russi nei loro confronti. Con la guerra sono cadute le distinzioni a cui ho accennato: è divenuto chiaro agli ucraini che non è stato Putin in persona a stuprare le loro donne o a lanciare i missili sui quartieri residenziali.

È divenuto maggiormente evidente che ci sono, in questa guerra, responsabilità popolari e personali che vanno ben oltre la giustificazione di eseguire ordini. Perciò – per gli ucraini – i russi sono tutti gravemente responsabili. Parimenti – anche per i russi – quei sentimenti più pacati di cui ho detto, si sono decisamente guastati.

È persino possibile ventilare l’ipotesi che uno dei motivi per cui la guerra è stata accesa proprio ora sia da ascrivere alla volontà della politica russa di rompere sul nascere quei sentimenti più favorevoli che stavano maturando tra russi e ucraini. Negli ultimi 8 anni la propaganda non ha fatto altro che instillare odio nei confronti dell’Ucraina. Evidentemente ciò non stava bastando. Ora tutto si è rotto.

  • I legami storici di amicizia e di parentela tra russi e ucraini non servono quindi a nulla?

Molti russi hanno parenti e amici in Ucraina e molti ucraini hanno parenti e amici in Russia. Questo è vero. Le famiglie miste sono centinaia di migliaia, forse milioni. Parliamo di fratelli e di cugini.

Con la guerra accade che chi sta dalla parte russa si rifiuta semplicemente di credere alle testimonianze di chi sta dalla parte ucraina: non crede alle atrocità neppure se riportate dai parenti in Ucraina.

Ucraina: tra geografia e politica
  • Si può distinguere tra sentimenti rivolti agli ucraini delle regioni dell’est piuttosto che dell’ovest?

Esiste una differenziazione regionale all’interno dell’Ucraina, ma non esiste una differenziazione politica degli ucraini.

Nel 2019 tutti gli ucraini, di tutte le regioni, hanno votato a larga maggioranza per Zelensky. Anche nella regione più occidentale di Leopoli, Zelensky ha ottenuto molti voti, anche se non la maggioranza.

La narrazione che esistano ucraini dell’est – russi o russofili – e ucraini dell’ovest – polonofili – è pericolosa ed è indotta dalla propaganda russa. Sostenere che i russi sono minoranza etnica in Ucraina non è veritiero, mentre potrebbe esserlo in altri Paesi ex sovietici, quali la Lettonia.

Tale narrazione è fondata sull’uso della lingua russa. Ricordo che gli ucraini “etnici” parlavano normalmente il russo: molti sono nati russofoni e sono cresciuti come russofoni; tutti gli ucraini parlavano il russo e parlano tuttora – se vogliono – il russo insieme all’ucraino, anche i più giovani. Vero è, inoltre, che non tutti gli ucraini dell’est parlano l’ucraino perché appartengono alla tradizione russofona discendente dalla dominazione imperialista durata complessivamente più di 350 anni.

Ma anche questi ucraini che parlano russo capiscono l’ucraino. Tante di queste persone hanno continuato a parlare il russo e a studiare in russo, anche dopo essere fuggite dal Donbass agli stessi russi. Solo ora, con la guerra, si stanno manifestando riserve a usare la lingua dell’invasore. Non è dunque verosimile tracciare una distinzione etnica a partire dall’uso della lingua.

L’Ucraina è una realtà politica, benché regionalizzata. Gli ucraini – sostanzialmente tutti – si sentono parte di questa realtà politica. Allo stesso modo – per i russi – non esistono sostanziali differenze nel modo di sentire verso gli ucraini, sia dell’est che dell’ovest.

  • Si è detto e scritto che Putin, all’atto della invasione, contasse sulla collaborazione dei russofoni, almeno nelle regioni nelle quali questi sono più numerosi in Ucraina…

La propaganda putiniana ha inteso precisamente trasmettere questo messaggio: esistono ucraini buoni, ossia russi e russofili, e ucraini cattivi, ossia polonofili e occidentalizzati, senz’altro quelli della Galizia, tanto che – per lo stesso Putin – questi potrebbero essere “ceduti” all’occidente, in quanto non sarebbero russificati e russificabili.

La posizione ufficiale è tuttavia ben diversa: il vicepresidente della Duma, Piotr Tolstoj, ha sostenuto che la Russia si fermerà nella conquista dell’Ucraina solo al confine con la Polonia. Questa posizione conferma la considerazione sostanzialmente omogenea che i russi hanno degli ucraini e gli ucraini di sé stessi.

  • Ci sono ucraini che – nelle circostanze della guerra – sono sfollati in Russia?  

Ci sono senz’altro. Posso citare il dato ufficiale cercando poi di spiegarlo: sono tra le 700.000 e le 800.000 le persone che dall’invasione ad oggi sarebbero sfollate in Russia: è un numero considerevole anche se ovviamente non paragonabile al numero di persone che sono sfollate in altre zone dell’Ucraina e all’estero, nei Paesi europei.

Sull’entità del dato non ho forti dubbi. Ma quante di queste persone sono andate in Russia volontariamente? A questa domanda lo stesso Putin non saprebbe rispondere. Dobbiamo intenderci sul “volontariamente”.

Durante l’assedio di Mariupol la popolazione poteva uscire dalla città solo verso la Russia. È questa la ragione per la quale molti civili sono rimasti asserragliati con i militari nella gigantesca acciaieria che divide in due Mariupol. Non c’era nessuna possibilità di sfollare verso altre regioni dell’Ucraina.

Che cosa può voler dire, in una situazione del genere, “volontariamente”? Non sto parlando necessariamente di deportazione, bensì di quanto si potesse realisticamente realizzare.

So di residenti di Mariupol che sono sfollati in Russia e che poi sono riusciti a rientrare in Ucraina facendo un lungo giro attraverso le repubbliche baltiche. So di altri che non sono riusciti in questa circonvoluzione perché sono stati privati dai russi dei loro documenti.

So di altre persone che sono finite in Siberia e di altre ancora che, caricate sui treni, sono finite ancora più lontano: quanto queste persone fossero consapevoli di ciò che stesse loro accadendo – e soprattutto ne fossero consenzienti – non è dato di sapere.

Ho potuto raccogliere testimonianze di persone che avevano passato 2 mesi nelle cantine, sotto i bombardamenti, con la fame e con la morte accanto: si sono trovate in uno stato di shock psicologico tale che, nel momento in cui è stata data loro la possibilità di salire su un treno e di allontanarsi per raggiungere un posto dove non ci fosse più pericolo, ci fosse da mangiare e forse ci fosse una casa e un lavoro, sono partiti senza altro pensare.

Ma, tra tante situazioni di questo tipo, ci sono anche quelli che si possono definire consenzienti. Ho, io stessa, raccolto testimonianze di prima mano di persone contente di trovarsi in Russia, ove contano ora di ottenere davvero una casa e un lavoro.

La mia stima – in base, dunque, alle testimonianze raccolte, soprattutto da Mariupol – ove, ad un certo punto, attraverso i corridoi umanitari è stata data la possibilità agli sfollati di scegliere tra Russia e Ucraina – è che il rapporto sia più o meno di 1 a dieci: un 10% ha scelto dunque la Russia, forse perché in Russa ha i parenti, forse perché conta di poter ricostruire in Russia più facilmente la propria vita, forse pure perché condivide l’ideologia russa. Sta di fatto che parlare di decisioni spontanee e volontarie è comunque fuori luogo.

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Mariupol

Russia vs Occidente
  • Con quali criteri e modalità queste famiglie sono state distribuite in Russia, che lei sappia?

È noto che la Russia ha bisogno di ripopolare grandi parti del vastissimo territorio, specie appunto in Siberia e nell’estremo oriente russo. Ma è altrettanto evidente che non si possa pensare di ripopolare il territorio con le proporzioni dei profughi ucraini.

Probabilmente nella distribuzione dei profughi c’è un po’ di casualità – soprattutto determinata dalle parentele – e un po’ di calcolo politico comunque di quel tipo, insieme all’accortezza di non dare luogo a comunità numerose e coese che domani possano dare luogo a proteste.

  • Cosa pensano in questo momento i russi dell’occidente, di noi occidentali?

Naturalmente anche questa risposta va articolata. Sicuramente le molte persone che sostengono Putin con la sua politica, sino alla giustificazione dell’aggressione all’Ucraina, hanno smesso da tempo – e ora a maggior ragione – di considerare l’occidente come proprio modello.

La propaganda sta martellando la popolazione dicendo appunto da tempo che in occidente c’è disordine e c’è povertà, si vive male e soprattutto dominano ormai – secondo la retorica della destra mondiale – gay, musulmani e neri.

Questo tipo di pubblicità ha ottenuto i suoi risultati. È passato il tempo in cui, alla caduta dell’Unione Sovietica, l’occidente era il modello a cui la popolazione guardava e anche la Russia politica – insieme all’Ucraina – avrebbe voluto essere “Occidente”, senza peraltro ben sapere che cosa significasse, al di là del modello di consumo.

Quanto la visione negativa dell’occidente sia prevalente o sia pronta a sgretolarsi sotto il peso degli eventi non è facile a dirsi, a prevedersi. Certamente oggi la propaganda indotta dalla guerra trova più elementi per accreditare l’odio dell’occidente nei confronti dei russi.

Io stessa incontro intellettuali russi – esuli in Europa – che hanno timore a farsi riconoscere come tali: persino in Italia, in cui l’attrazione culturale reciproca è sempre stata molto forte. Di fondo c’è una inclinazione al vittimismo tipica dei russi nei confronti dell’occidente, su cui la propaganda oggi ben attecchisce.

  • Quali effetti stanno avendo le sanzioni? Quanto pesano nella determinazione dei sentimenti dei russi nei confronti dei Paesi occidentali?

Le sanzioni sono cosa complessa: ci sono le sanzioni dei governi occidentali e ci sono le contro-sanzioni del governo russo. Ci sono aziende occidentali che se ne sono andate dalla Russia di loro iniziativa – per ragioni etiche o semplicemente per ragioni di mercato a prescindere dai governi – e altre che sono rimaste. Molti effetti non si sono ancora palesati appieno.

Quel che posso dire per certo è che sono scattati nella società russa meccanismi di difesa già noti dalla storia sovietica: ad esempio l’acquisto massiccio di prodotti a rischio di sparizione, quali i prodotti per l’igiene e la carta. In certe scuole sono state persino sospese le verifiche scritte per carenza di carta.

So di persone che si sono perciò organizzate in turni per andare a fare acquisti collettivi, ad esempio, in Kazakistan. C’è poi chi va in Kazakistan o altrove per soddisfare i propri consumi culturali nel tempo libero, visto che in Russia Netflix e Spotify non sono più attingibili e nelle sale cinematografiche passano film piratati, ovvero vecchi film sovietici, mentre stanno comparendo i film cinesi.

Per i russi è difficile cogliere le autentiche ragioni che incidono sulla loro economia e sul loro tenore di vita. Senz’altro avvertono le limitazioni del mercato che in questo momento sono imposte dal governo per limitare la circolazione della valuta, al fine di evitarne il crollo.

Io penso che col tempo le sanzioni potranno avere un effetto politico, perché possono erodere quel patto sociale che il putinismo ha stabilito con la classe media russa: un piccolo regno privato di consumi – compresa una vacanza all’estero ogni tanto – in cambio del sostegno incondizionato.

Chiaramente la propaganda ha buon gioco ora nell’attribuire le difficoltà economiche avvertite dalla popolazione alle sanzioni volute dall’occidente, senza ovviamente dire alcunché delle motivazioni per cui queste siano piovute. Ma il fatto che il benessere relativo fosse in calo almeno dal 2014 e che ora stia ulteriormente scemando non potrà continuare ad essere attribuito esclusivamente all’occidente ancora a lungo.

La religione

opinioneLe parole del patriarca Kirill quanto pesano, secondo lei, nella formazione della opinione pubblica russa?

Non ho molti contatti all’interno delle comunità religiose. Non so dire quale impatto abbia la posizione del patriarca sulle stesse comunità religiose.

Osservo che una parte del clero è rimasta infastidita dalle posizioni espresse dal patriarca sulla guerra. Ma questa non è una novità assoluta: ci sono dissidenze nel patriarcato già da diversi anni.

L’adesione pressoché totale di Kirill alla politica del Cremlino, al nazionalismo e al militarismo – con le benedizioni dei missili, i cappellani che assistono i militari e le piccole cappelle paracadutabili in zone di guerra – crea un certo sbigottimento e malessere, ormai da vent’anni.

Mi pare poi di capire che la religiosità sia – sì – diffusa in Russia negli ultimi anni, ma più come esteriorità che partecipazione alla liturgia e alla vita comunitaria.

  • La figura di papa Francesco quanto è nota in Russia e quanto sono note le sue posizioni sulla guerra?

La figura del papa in Russia, di solito, affascina anche chi – o soprattutto chi – non ha appartenenze religiose.

È figura positivamente considerata anche dai media russi. Delle sue pozioni sulla guerra penso non si sappia molto nella Federazione: non ho visto dedicare, da parte di televisioni e giornali, grande attenzione.

Nonostante ciò, io penso che le posizioni del papa ingenerino sempre un positivo interesse nella popolazione russa.

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Un commento

  1. Ferdinando Cionti 1 giugno 2022

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