Siria: identitarismi settari

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Incredibilmente poco notato, un ‘equivoco’ verificatosi durante l’udienza in Germania del nuovo processo per crimini contro l’umanità perpetrati in Siria può farci aprire gli occhi ed aiutarci a vedere ove si possa arrivare rimanendo fermi – su fronti opposti – nella posizione dell’identitarismo settario, dell’odio confessionale o, se si preferisce, dello scontro di civiltà.

Nel giorno in cui si è aperto a Francoforte il processo a carico del medico siriano Alaa Mousa, accusato di crimini perpetrati negli ospedali militari di Homs e di Damasco, alcuni media stranieri, soprattutto arabi, hanno riferito una sorprendente affermazione. Nel corso dell’udienza l’imputato, dopo aver respinto ogni addebito, alla richiesta di parlare di sé, ha affermato di essere cristiano, di famiglia cristiana di rito ortodosso, sposato con una cristiana e padre di due figli. Alla fine, avrebbe aggiunto “io sono cristiano, loro sono terroristi”.

Dunque, avrebbe ammesso la colpa dopo aver negato tutto? Il collegio dei legali che lavora da anni alla verifica degli elementi di accusa si è accorto della illogicità della affermazione riportata dai media, chiarendo che a volte, per sensazionalismo, i giornalisti possono prendere una frase e costruirci attorno un’altra, diversa, storia.

Non sarebbe stato dunque l’imputato a dire così, bensì un suo parente che, richiesto di spiegare perché un innocente venga accusato di crimini così orrendi, avrebbe risposto dicendo che ciò avviene perché l’imputato è cristiano mentre gli altri sono terroristi. Queste, grosso modo, le parole dei legali.

Colpa, non confessione religiosa

Il fatto è enorme. La frase in questione viene attribuita da alcuni media a un imputato che non l’ha mai pronunciata. Ma la versione della rettifica contiene un elemento ancor più grave e inquietante: “tutti questi che lo accusano sono terroristi e lo accusano perché è un cristiano”; questo è il senso evidente di quanto dichiarato dal parente dell’imputato.

Dunque, a dieci anni di distanza dai fatti, persone che sono state torturate in carcere o che hanno perso un loro caro, depongono davanti al giudice, raccontando particolari agghiaccianti, solo perché vogliono rovinare un cristiano, neppure di particolare notorietà?

I magistrati, secondo i dettagli emersi dalle cronache di stampa, dopo aver arrestato l’imputato perché riconosciuto e denunciato da una sua vittima nel 2020, allorché hanno scoperto che stava progettando la fuga insieme a personale in servizio nella sezione consolare dell’ambasciata siriana a Berlino, ne hanno esteso la detenzione preventiva.

L’elenco delle accuse lascia attoniti: si va dal caso del quattordicenne che, da detenuto, veniva ricoverato nell’ospedale militare dove l’imputato gli avrebbe versato alcool sui genitali incendiando il liquido sulla pelle, al caso del detenuto sul quale avrebbe infierito spingendo i tacchi delle sue scarpe nelle ferite, sino alla vicenda di un ricoverato da lui ucciso con un’iniezione letale. Le urla avvertite giorno e notte dai testimoni costituiscono il lato meno inusuale dei racconti. Le accuse hanno portato al rinvio a giudizio pochi giorni dopo la storica sentenza all’ergastolo del colonnello dell’intelligence siriana Anwar Raslan, riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità da un altro tribunale tedesco, quello di Coblenza.

Siria: cultura della paura

Le parole del parente dell’imputato ci parlano dunque di una malattia molto grave. Dentro quella frase, infatti, alberga la ‘cultura’ della paura, del disprezzo e dell’odio, da due parti almeno. Anni fa un cristiano d’Aleppo, fuggito in Libano, mi ha detto: “Vedi, molti cristiani dicono che le nostre comunità non hanno sostenuto Assad all’inizio della rivolta, ma solo dopo, quando la rivoluzione non violenta è stata dirottata dai jihadisti. Beh, questo non è vero.

La maggioranza di noi ha sostenuto Assad da subito, dall’inizio. Ricordo benissimo quando tutto cominciò. In sette, tutti col camice bianco, si recarono presso la municipalità per rivendicare libertà e diritti. Chi ha cancellato le invettive contro di loro dalla memoria? Li volevano morti, almeno a parole. Perché? Perché non si capisce la nostra vicenda se non si fa familiarità col significato profondo della parola protezione. Solo questa parola consente di capire.

Dopo l’assassinio di un capo dei servizi di sicurezza che operava da tempo ad Aleppo molti cristiani su Facebook hanno scritto per lui frasi di altissimo apprezzamento, di elogio, di ammirazione. Eppure, era un uomo terribile. Un concittadino siriano, cristiano, fuggito in Germania, lo ha scritto: “quell’uomo mi ha torturato e sapete bene che come me ha torturato altri di noi!”.

Queste affermazioni hanno ottenuto risposte al veleno. “Siamo forse gente feroce, noi cristiani? No!”. “Ovviamente, su queste parole grava quanto sono stati capaci di provocare i gruppi jihadisti, con comportamenti che la nostra narrativa non può certo relativizzare. Ma quanto avranno pesato e pesano ancora i comportamenti dell’aviazione russa e dell’esercito siriano sulla popolazione civile musulmana i cui quartieri hanno sistematicamente bombardato?”.

Il caso di Coblenza

Non c’è solo questo. Bisogna ricordare che questo medico siriano è giunto alla sbarra con lo straordinario lavoro del collegio dei legali che sostiene l’accusa, lo stesso che ha assistito le vittime del caso giudicato a Coblenza. Proprio a questo dobbiamo tornare. Alcuni ambienti vicini ai Fratelli Musulmani, nemici giurati del regime siriano, hanno criticato la corte di Coblenza per aver condannato il colonnello che – lavorando per Bashar al-Assad – ha torturato di persona moltissimi insorti, tra i quali non pochi aderenti agli stessi Fratelli Musulmani. La loro critica si basa su un fatto molto semplice, tragicamente chiaro: hanno criminalizzato il colonnello Anwar Raslan perché appartiene alla nostra comunità di fede musulmano-sunnita.

Questo incredibile ragionamento – secondo il quale si dovrebbe processare il clan di Bashar al-Assad, ma non un sunnita che ha servito il regime – è forse la spia più evidente di quanto le ragioni delle vittime cedano ‘semplicemente’ il passo all’odio per un ben preciso ‘altro da me’.

Tutto ciò manifesta la deriva a cui lo scontro di civiltà e l’odio confessionale possono condurre: non ci rendiamo conto che occorre uscire di corsa da questo tunnel senza uscita!

Cosa si dovrebbe desumere se dal processo di Francoforte dovesse uscire la conferma che un medico cristiano non ha curato, bensì ha torturato malati e feriti? Cosa dovrebbero dire al riguardo le gerarchie cristiane siriane? E perché si sta tacendo in Siria che è di questo che si sta discutendo in una corte di giustizia tedesca? La presunzione di innocenza vale per tutti, ma il rinvio a giudizio per crimini contro l’umanità non è una notizia di poco conto. Sempre. Ovunque.

Rifiutare l’odio

Prendere pubblicamente le distanze da questa deriva di scontro e di odio è pertanto urgente e di fondamentale importanza. Già si delinea un altro caso e chissà quanti potranno darsi ancora!

Come ha riferito l’autorevole Le Monde è quasi ultimata l’istruttoria riguardo ad un cittadino franco-siriano arrestato a dicembre con l’accusa di aver fatto pervenire – all’esercito siriano e al Centro studi e ricerche scientifiche di Damasco – materiale proibito, con il quale fabbricare armi chimiche. Anche lui è accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Il regime di Damasco, dal 2013, è stato portato dalla Russia ad aderire alla convenzione che proibisce le armi chimiche e ha dovuto distruggere il suo arsenale, ma, probabilmente, lo ha fatto solo in parte.

Risalgono al 2016 i traffici della sua compagnia di trasporti marittimi segnalati dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti per trasferimenti sospetti per i quali quel franco-siriano è finito nei guai.

Dunque, anche il nuovo caso sembra porre la drammatica domanda: mentre il regime con una mano distruggeva le armi chimiche, con l’altra le cercava e le usava contro il suo popolo, ovviamente nell’illegalità? Si potrà continuare a tacere anche su questo, in nome dell’identitarismo settario, dell’odio confessionale o, se si preferisce, dello scontro di civiltà?

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