Sudan: la guerra tra generali

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Il sogno dell’avviamento di un passaggio democratico del Sudan, dopo le proteste popolari del 2019 che avevano posto la parola fine al regime autocratico di Omar Hassan al-Bashir, si è drammaticamente infranto nel corso dell’ultimo fine settimana. La reggenza provvisoria militare, in mano al generale Abdel Fattah al Burhan (capo delle forze armate) e del generale Mohamed Hamdan (capo delle forze paramilitari), che avrebbe dovuto consegnare giovedì scorso l’esercizio del potere nelle mani dei civili, è infatti implosa in una lotta intestina facendo scoppiare una violenta guerra che sta interessando tutte le aree del paese.

La possibilità, paventata in questi quattro anni, di mettere mano a un’amministrazione politica in mano ai civili e di carattere democratico aveva spinto la diplomazia internazionale ha lenire o eliminare sanzioni contro il Sudan – da ricordare, ad esempio, l’eliminazione del paese dalla lista americana degli stati terroristi.

Mentre in Sudan si ammassavano i segni di una tensione crescente tra i due generali al potere, segno di una chiara lotta per la sua esclusiva conquista, la comunità internazionale rimaneva convinta che, nonostante tutto, si sarebbe giunti al promesso passaggio di consegne. Tanto che erano stati promessi aiuti internazionali che avrebbero dovuto accompagnare i primi passi della nuova stagione democratica, da un lato, e che la Russia si era premurata garantirsi una base di appoggio in esso – aumentando, di conseguenza, il rilievo geostrategico del Sudan.

Tutte queste potenzialità di futuro sono state sommerse dalla guerra scatenata l’uno contro l’altro dai due generali sudanesi. E se nelle molte guerre che hanno caratterizzato i sette decenni di esistenza del Sudan la capitale del paese Khartoum era stata sempre risparmiata dalla violenza dei conflitti, questa volta essa si è ritrovata a essere uno degli epicentri dello scontro armato. Segno, questo, di un passaggio che non risparmia nessun luogo e nessun simbolo della vita sociale del Sudan, lasciando presagire la possibilità che lo scontro interno ai militari possa rapidamente trasformarsi in una devastante guerra civile.

Preoccupa, in particolare, il fatto che la guerra fra i due generali interessi anche la regione del Darfur, nella quale sono presenti numerosi gruppi di ribelli, che avevano già in passato destabilizzato il precario equilibrio del Sudan, che potrebbero essere facilmente risucchiati nel vortice del conflitto a favore o dell’uno o dell’altro schieramento militare. Tenendo anche conto del fatto che il Darfur è la base del gruppo paramilitare russo Wagner, qui a protezione delle miniere d’oro in mano alla Russia, attualmente alleato con il generale Hadman.

Nel corso degli scontri di questo fine settimana, oltre a numerose vittime e feriti fra la popolazione civile locale, sono stati uccisi anche tre lavoratori del Programma alimentare mondiale dell’ONU – a cui si aggiunge la distruzione di uno dei velivoli usati per il trasporto di generi alimentari nel paese. A seguito di questi eventi, l’organizzazione umanitaria ha deciso di sospendere le proprie operazioni e attività in tutto il Sudan. Scelta che avrà conseguenze profonde sul paese, tenendo conto che un terzo della popolazione sudanese si trova in situazione di indigenza alimentare e dipende, per la sopravvivenza, dalla distribuzione da parte dell’organizzazione delle Nazioni Unite.

La reazione della comunità internazionale è stata immediata, ma sostanzialmente retorica e priva di progettualità concreta – segno ulteriore di come essa sia stata colta di sorpresa da questa implosione dei rapporti di potere all’interno degli eserciti sudanesi. Gli interventi del triunvirato USA-Arabia Saudita-Emirati Arabi, come quelli della Lega Araba, di cui il Sudan fa parte, sono rimasti del tutto inascoltati da parte dei due generali.

La sensazione di scoramento provata oggi da coloro che sono stati protagonisti delle proteste di quattro anni fa e che a rischio della propria vita permisero l’inizio di un processo di democratizzazione del paese, suonano in questo momento come un drammatico campanello di allarme per il destino del Sudan: “Ci sentiamo impotenti e tutti temono che la situazione degeneri prendendo la strada in cui sono finiti lo Yemen e la Siria. Il fantasma della guerra civile è qui, presente ovunque”.

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