La Siria oggi

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Recentemente abbiamo avuto un  incontro con un profugo siriano della diaspora europea. Raccogliamo qui in forma di intervista per i lettori e le lettrici di SettimanaNews alcuni dei temi più urgenti toccati nel dialogo con lui.

  • Qual è l’attuale situazione economica e sociale in Siria?

Per rispondere a questa domanda ritengo indispensabile offrire alcuni dati numerici. Senza numeri penso non sia possibile cogliere le dimensioni di ciò di cui stiamo parlando. Questi dati sono stati recentemente pubblicati da Atlantic Council. Costituiscono lo specchio reale di come possa vivere la gente oggi in Siria. Partiamo dal bilancio dello stato. Il governo ha varato il suo bilancio di previsione economico finanziaria per il prossimo anno 2021: due miliardi e settecento milioni di dollari. Si tratta di una cifra risibile.

Economia

E non è neppure corretta, perché è considerata in rapporto ad un cambio non corretto della valuta siriana rispetto al dollaro o rispetto all’euro. La lira siriana è in caduta libera. Sul mercato nero libero siriano oggi un dollaro vale circa 3.000 lire siriane, mentre la banca centrale governativa valuta il dollaro a 1.250 lire siriane. Quindi i 2 miliardi e 700 milioni di dollari del bilancio dello stato valgono, coi parametri della banca centrale, molto meno di quanto appaia. In ogni caso troviamo, in bilancio di previsione, 900 milioni di dollari in meno rispetto all’anno 2020: un anno che definire “nero” è pura retorica. In bilancio troviamo un 27% in meno.

Cosa significa questo per le condizioni di vita di quel che resta del popolo siriano? La popolazione siriana è stimata oggi in circa 11 milioni. 13 milioni e 700 mila siriani sono fuori dalle loro case, sono fuori dal loro paese e i loro bisogni sono fuori dal bilancio governativo del 2021.

Il rapporto citato si occupa poi dei debiti dello stato. Il regime ha debiti, nei confronti di altri stati, stimati tra i 30 e i 100 miliardi di dollari.  Se fossero anche solo 30 miliardi, il debito varrebbe dieci volte il bilancio dello stato. Il debito maggiore è nei confronti dell’Iran ed è calcolato appunto in almeno 30 miliardi. Del debito nei confronti della Russia non c’è stima. Ma c’è sicuramente un debito attribuibile al 100% all’intervento militare.

La Siria ha già compensato, ma solo in parte, la Russia, a partire dal 2015, per il lavoro sporco di completamento dei bombardamenti a tappeto dei territori considerati ribelli e resistenti di Assad. Questo ha comportato una enorme spesa. La Russia ha contabilizzato tutto. Il regime siriano ha ripagato inizialmente in denaro liquido. Ciò ha ingenerato notevoli problemi interni. Il conflitto tra Assad e il cugino Makhlouf – detentore di gran parte della ricchezza finanziaria ed economica – è da ricondurre a questo. Un’altra parte del debito è stato ripagato con cessioni di terreni sulla costa: tutti i terreni nei pressi dell’aeroporto militare sul Mediterraneo sono ora di proprietà dei russi.

Si dice che si vogliano costruire villaggi turistici per le vacanze dei cittadini russi nelle acque calde del Mediterraneo. La terza parte del debito è ripagata con le stesse basi militari e commerciali stabilmente messe a disposizione della Russia. Naturalmente sono stati fatti accordi sulla estrazione e sulla conduzione del gas e del petrolio. Non è segreta l’ambizione della Russia di poter liberamente disporre della zona di Palmira, sia per ragioni di interesse archeologico, sia per gli ingenti depositi di gas presenti nel sottosuolo.

Regime e povertà

Per far fronte alle enormi difficoltà finanziarie il regime ha stampato moneta senza copertura. Ciò ha provocato un’inflazione esorbitante. Come ho già detto la moneta siriana è in caduta libera. Se nel 2010 – ai tempi della primavera araba stroncata sul nascere in Siria – il cambio con l’euro valeva 60 lire siriane, oggi arriviamo per un euro a più di 3.300 lire siriane. Conseguentemente i prezzi, specie per gli alimentari, sono aumentati enormemente.

Basti pensare che per la spesa base alimentare di una famiglia siriana media di 5 persone servono circa 350.000 lire al mese, mentre lo stipendio base di un dipendente dello stato si aggira tra le 50.000 e le 70.000 lire al mese. Ripeto per sottolineare il dato: una persona che guadagna tra 50 e 70 mila lire al mese ha bisogno di comprare alimentari base per un valore di 350 mila lire per la famiglia mediamente costituita da 5 persone. Si consideri che generalmente va a lavorare solo il padre, mentre la madre resta in casa e si occupa della crescita dei figli.

Ma anche nelle famiglie in cui entrambi i coniugi-genitori lavorano, insieme possono guadagnare al massimo 150 mila lire, contro una spesa appunto alimentare di 350 mila lire, a cui restano da aggiungere le spese per affitto, per utenze domestiche, vestiario, trasporti, scuola e salute (infatti non esiste un sistema sanitario pubblico, tutto è a pagamento). Detto questo, lascio semplicemente immaginare quali siano le attuali condizioni di vita delle famiglie siriane rimaste in Siria sotto il regime di Assad.

  • Che cosa Lei può testimoniare in proposito?

Certamente il livello di povertà è di molto aumentato. Ora si sta vivendo la crisi del pane perché il regime non ha più, letteralmente, grano nei granai. Il pane è diventato un alimento basilare difficilmente reperibile. Può sembrare strano fare l’esempio del pane, pensando all’Italia. In Siria il pane è la base alimentare quotidiana.

Se manca il pane c’è la fame. Ora c’è carenza di pane. Paradossalmente, in un paese ricco di risorse energetiche, c’è pure carenza di gas e di combustibili. Non esistono reti domestiche per la distribuzione del gas, neppure a Damasco: il gas viene acquistato in bombole ed è pochissimo. Nelle case, quindi, c’è difficoltà a riscaldarsi e a cucinare. I bambini restano al freddo. Manca la benzina per le auto. Quando si riescono a reperire, questi beni sul mercato hanno prezzi incredibili e irraggiungibili per la maggior parte della popolazione.

Ha preso il sopravvento il mercato illegale. La popolazione siriana vive di fatto in una economia di guerra, anche se, attorno a Damasco, non si combatte più. Si soffre molto.

  • Come vivono i profughi siriani nei paesi limitrofi?

In Libano i profughi siriani si contano in un milione e 700 mila. È un numero enorme per questo piccolo paese che ha tanti problemi: un’economia in ginocchio, una piattaforma bancaria in fallimento col crollo della lira libanese rispetto al dollaro, lo sfascio politico ed amministrativo.   La grande città di Beirut è praticamente per metà distrutta. Possiamo tutti vedere le immagini lasciate dalla devastante esplosione del porto.

Siriani accanto

I profughi siriani nei campi di insediamento in Libano vivono da sempre in condizioni molto difficili. I libanesi ricevono risorse internazionali destinate ai profughi, ma a questi arriva poco o nulla.  C’è molta corruzione. Tutti rubano. I libanesi trattano malissimo i profughi siriani. Ultimamente cercano di cacciarli via. Qualche famiglia siriana sta cercando di ritornare. Ma sanno di rischiare e non poco. Intendo dire che rischiano la vita. Prima di tutto, dove tornare?

Le città e i paesini da cui sono fuggiti sono ora in gran parte distrutti. Il regime ha prodotto due anni fa la legge numero 10 con la quale ha confiscato case e terreni dei profughi che hanno “volontariamente” abbandonato il territorio della Siria. Quindi queste famiglie – bombardate, falcidiate, trasferite e ridotte in miseria – sono totalmente private dei loro averi.

La situazione del popolo siriano in Libano è dunque di miseria assoluta. I profughi in Giordania sono più numerosi rispetto a quelli presenti in Libano. Anche loro vivono in condizioni molto difficili, ma meno critiche, almeno dal punto di vista umanitario. I profughi siriani che vivono relativamente meglio si trovano in Turchia: nel bene e nel male, va detto che la Turchia sta prestando l’assistenza di base ai profughi siriani.

Prima del consistente finanziamento dell’Unione Europea, per anni, la Turchia ha dimostrato responsabilità umanitaria e finanziaria nei confronti dei profughi. La Turchia ha iniziato ad alzare la voce solo tre anni fa. È vero che i siriani in Turchia non vivono tutti da profughi. Vi sono siriani che sono riusciti ad integrarsi nella vita economica e sociale, perché sono artigiani, perché sono giovani, perché sono preparati, perché avevano un po’ di soldi e hanno saputo investirli. Sono giunti in Turchia dalle città di Aleppo e di Homs, alcuni anche da Damasco. Ma solo questi non sono nei campi.

  •  Qual è situazione militare nel territorio siriano?

Assad parla in una maniera molto incoerente per un capo di stato: dice che in Siria ci sono un territorio utile e un territorio inutile. In questo modo, involontariamente, descrive una tragica realtà. Il territorio ritenuto utile è solo quello che lui controlla, da Damasco a sud, sino alla costa (area priva di risorse energetiche e agricole).

Ossia Assad controlla sostanzialmente Damasco. Chiaramente Damasco ha una valenza enorme per la storia e la cultura del paese. Almeno milleseicento anni prima di Cristo Damasco c’era già. Questa città prestigiosa continua a dare importanza al regime: non certo viceversa. Ma intorno alla città tutto è andato distrutto.

Il regime ha sede, pertanto, in questa città circondata dalla desolazione. Mentre il resto del territorio, che a sud arriva sino al mare – definito da Assad utile e ricco – non è in realtà per niente ricco. La ricchezza vera si trova in quelle parti della Siria che ora Assad definisce inutili, ossia la terra ad est dell’Eufrate e quella nel nord della Siria storica, ove c’è la produzione agricola (del cotone) e alimentare (del grano e della frutta) e ove si trovano i giacimenti di gas e di petrolio.

Interessi USA in Siria

Quelle parti sono controllate rispettivamente da militari turchi, kurdi, americani, francesi e britannici. I russi, come ho detto, possiedono due basi militari e commerciali quali l’aeroporto e il porto sulla costa. Insomma, la parte veramente economicamente utile del paese non è più nelle mani del governo di Assad, bensì in mani straniere. Ciascuna parte coltiva ovviamente i propri interessi strategici. A nessuno importa del popolo siriano.

  • Quali effetti sta producendo il cosiddetto “Patto di Cesare” – a cui è seguito il “patto di Abramo” – promosso dagli Stati Uniti?

Questo è un evento molto importante nella mappa geopolitica della regione. È questo che dà la facoltà ad Israele di giocare il ruolo di regia organizzata della regione, col sostegno degli Stati Uniti e la non opposizione della Russia. Israele bombarda gli iraniani per impedire loro di avvicinarsi al confine israeliano e bombarda i siriani per la stessa ragione. In mezzo ci sono i militari russi che in questi casi non intervengono.

Perciò gli stati arabi stanno prendendo, uno dietro l’altro, accordi con Israele: prima gli Emirati Arabi poi il Bahrein e ultimamente il Marocco; altri si aggiungeranno. Gli Emirati, come il Bahrein, hanno cercato l’accordo con Israele perché hanno un nemico comune che è l’Iran. Anche il Libano ormai sta negoziando con Israele la questione delle acque territoriali confinanti. Tracciare confini sulle acque significa negoziare e tracciare confini di terra e così risolvere annose questioni e mettere fine al pretesto di Hezbollah libanese di fare guerra contro Israele.

A quel punto non ci sarà più bisogno di un partito armato di resistenza per liberare i territori ritenuti occupati. Hezbollah ha i giorni contati. La situazione economica catastrofica del Libano e la scoperta dei grandi giacimenti di gas nel mare Mediterraneo stanno dando un impulso determinante a questi accordi, con l’avallo delle grandi potenze appunto, Stati Uniti in primo luogo, sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Gli Stati Uniti continuano, secondo me, ad avere in mano, non dico tutto, ma quasi tutto: hanno la possibilità, se vogliono, di determinare tante soluzioni internazionali. Se dovesse andare presto in porto l’accordo tra Libano ed Israele, sarebbe davvero un bel colpo per gli Stati Uniti e per la diplomazia internazionale: significherebbe portare il governo libanese – con l’approvazione dei partiti sciiti – a riconoscere la legittimità di Israele dentro un confine sicuro, e, con ciò, una maggiore stabilità nella regione.

  • La nuova amministrazione americana come si muoverà, secondo Lei, in Siria e in Medio-Oriente?

Sicuramente Joe Biden è un uomo che ha una lunghissima esperienza di politica internazionale alle spalle. Biden è stato tuttavia il vice di Obama, a cui attribuisco la responsabilità di mancate decisioni che hanno portato all’attuale situazione di caos in Siria e in Medio-Oriente. Obama aveva minacciato il regime siriano nel caso d’uso di armi chimiche, quale insuperabile linea rossa.

Una fine oramai prossima

Ebbene: il regime ha fatto effettivamente ricorso alle armi chimiche ma non è successo niente. Il nuovo ministro americano degli Affari esteri ha detto di non essersi perdonato questo errore che, se non commesso, avrebbe potuto evitare il massacro e lo sfollamento di gran parte del popolo siriano. Ha parlato di un incubo. Tra poco sarà il momento giusto per dimostrare di avere veramente a cuore le sorti del popolo siriano.

  • Quale sarà il futuro di Assad?

L’uscita di Assad dalla scena politica siriana è imminente. Non si può salvare una persona che ha fatto tutto quello che ha fatto. È impossibile. Dopo bombardamenti, crimini, profughi, caos nel Mediterraneo… è davvero impossibile.

La posizione di Assad nel disastro politico, economico e sociale che si sta consumando, non è più sostenibile da parte di alcuna potenza. Forse sarà necessario preparare una soluzione transitoria che lo veda ancora, in qualche modo, comparire. È chiaro, tuttavia, che una tale via d’uscita deve essere voluta, insieme, da russi, da americani e dalla comunità internazionale.

Sul territorio siriano ci sono ora cinque grandi eserciti. C’è l’esercito turco che ha il controllo del nord-ovest della Siria (ovvero la regione di Idlib), dove si trovano tre milioni e settecentomila sfollati dai territori del sud della Siria, che l’esercito siriano, col concorso dei militari russi, avrebbe voluto semplicemente sterminare. Questa gente è stata obiettivamente protetta dalla Turchia. I turchi considerano quella parte della Siria organica alla loro sicurezza nazionale.

C’è l’esercito americano insieme a quello francese e britannico. E c’è l’esercito kurdo, che ha messo sotto controllo la parte di territorio che ritiene appartenga al grande Kurdistan, una realtà geopolitica che di fatto non è mai esistita. La causa kurda è, secondo me, una causa giusta, ma solo nei limiti dell’ambito culturale, linguistico e amministrativo, che si sta realizzando sul territorio con una deriva contro i suoi vicini e coetanei arabi.

L’unico sogno parzialmente realizzato in tal senso è quello del Kurdistan iracheno, in cui si dà appunto autonomia linguistica, culturale e amministrativa.  Ma è bene che i kurdi siano siriani in Siria, turchi in Turchia, iracheni in Iraq, iraniani in Iran e armeni in Armenia.

L’Europa e le Chiese
  • Come reputa i processi intentanti ai criminali di guerra siriani in Europa?

Proprio in questi giorni il parlamento olandese ha segnalato la presenza di alcuni criminali di guerra siriani in territorio olandese e ne ha chiesto ragione ai ministeri competenti. È stato richiesto l’allestimento di un processo come sta avvenendo in Germania. Ritengo che questi siano segnali molto positivi, in Europa, per fare luce su quello che è accaduto e sta accadendo in Siria e per cercare di rendere un po’ di giustizia al popolo siriano, a tutte quelle persone che hanno perduto i loro familiari, insieme a tutti i loro averi.

Processare è la via legale, giusta ed etica per trattare queste persone: processare – io sostengo – non certo eliminare. Hanno diritto di difendersi e di provare la loro innocenza – se sono innocenti- secondo le leggi internazionali.

Ciò che sta affiorando dal processo intrapreso a Coblenza sta esprimendo tutta la gravità dei crimini commessi in Siria contro l’umanità in quanto tale. Le proporzioni sono tali da pensare che serviranno anni e anni per venirne a capo. Come i processi ai criminali nazisti non sono ancora esauriti, così verosimilmente ed auspicabilmente, sarà per i processi ai siriani responsabili di crimini di guerra. Prove e testimonianze non mancano e non mancheranno. Ma servirà la volontà politica di andare davvero a fondo.

  • Qual è la posizione delle Chiese – ortodossa e cattolica – nel dramma siriano? 

La Chiesa ortodossa in Siria è, ora, chiaramente protetta, in maniera diretta e indiretta, dalla Russia di Putin. Ed è chiaro che, specie in questo momento storico, la chiesa ortodossa siriana guarda a Mosca quale punto di riferimento delle chiese ortodosse.

È pur vero che la Chiesa ortodossa siriana è sempre stata una chiesa molto nazionale, molto fedele allo stato. Grandi intellettuali della politica siriana sono figli di questa chiesa. Ma non è mai stata una Chiesa di collaboratori del regime.

I cristiani siriani di tutte le confessioni costituivano, prima della guerra, il 14% della popolazione. Si valuta che tale presenza si sia ridotta all’8%, secondo una stima molto approssimativa.  Da tempo i cristiani di Siria ambivano ad emigrare negli Stati Uniti, in Canada, in Australia. Chi ha potuto, l’ha fatto in questi anni di guerra.

Gli ortodossi costituiscono poco più della metà dei cristiani di Siria. La chiesa ortodossa è sempre stata la chiesa dei contadini siriani, quindi una chiesa legata alla gente che lavora con le mani e che coltiva la terra. Gli ortodossi nelle grandi città sono in genere migrati dalla campagna, in vista di un cambiamento economico e di vita.

Invece la Chiesa cattolica è sempre stata una chiesa piuttosto cittadina. La tipologia sociale della famiglia ortodossa è, perciò, diversa dalla famiglia cattolica: la prima è rimasta legata alla terra e al territorio, l’altra ha acquisito cultura e caratteristiche anche dall’estero.

Tendenzialmente, quindi, la parte ortodossa era la parte più umile – non posso dire povera – della società siriana, mentre la parte cattolica era la più ricca – a volte molto ricca – dei cristiani e della società siriana. Il fatto di vivere nelle grandi città, di essere a più diretto contatto con l’occidente, di aver saputo creare canali economici e commerciali con i paesi e le imprese occidentali, ha conferito ai cattolici maggiori opportunità e possibilità di scambio con il mondo.

I cattolici hanno un livello di preparazione scolastica più elevato e capacità linguistiche che consentono loro di comunicare facilmente con l’estero. Sono sempre stati perciò, spesso, scelti negli ambienti delle ambasciate e dei consolati.

La Chiesa ortodossa è rimasta, dunque, maggiormente legata al popolo, ai contadini, alla gente povera ed umile, alla gente che soffre. Vero è che i cristiani non sono stati presi di mira e bombardati dal regime come i loro vicini di casa musulmani, con cui han sempre vissuto da fratelli. Di ciò i cristiani sono ben consapevoli.

Ma voglio parlare del clero: sia dei sacerdoti cristiani ortodossi, sia dei cattolici, sia del clero (in senso relativo) dell’Islam di maggioranza sunnita ovvero delle minoranze alawita e sciita. In tutte le confessioni c’è una parte del clero che obbedisce al regime e che sta dalla parte del regime come dalla “parte dell’imperatore Cesare”. Ma, allo stesso tempo, tra le stesse fila, c’è chi rifiuta di “stare in vetrina” col regime di Assad. Sto parlando appunto di cristiani, sia ortodossi che cattolici, oltre che, soprattutto, di musulmani delle varie appartenenze.

La gente naturalmente conosce queste figure: sa chi sta da una parte e chi sta dall’altra, vede chi sta in vetrina col regime e chi no. Sa chi è protetto dal regime, chi è pagato. Sa di conseguenza di chi si può fidare e di chi no.

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Un commento

  1. Mauro La Spisa 30 dicembre 2020

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