Tensioni in Kosovo

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Tornano ad aumentare le tensioni in Kosovo dopo che la polizia del piccolo stato balcanico ha effettuato un’incursione nelle aree abitate in prevalenza dai serbi, nel nord della regione, e ha preso il controllo degli edifici delle municipalità locali. Dopo il boicottaggio delle elezioni amministrative del mese scorso da parte dei serbi, i neo-eletti sindaci albanesi, votati dal 3,5% degli aventi diritto, hanno provato a insediarsi nei loro uffici sotto la protezione della polizia kosovara.

Venerdì 26 maggio, cittadini serbi hanno cercato di impedire loro di prendere il controllo degli edifici, ma la polizia ha sparato gas lacrimogeni per disperderli.

Lunedi 29 maggio, si sono verificati scontri violenti tra la polizia del Kosovo con le unità di peacekeeping della NATO, da un lato, e civili serbi, dall’altro, con diversi feriti da entrambe le parti. Tra i soldati feriti ci sono anche 11 italiani del 9° reggimento alpini con sede all’Aquila. Nessuno sarebbe, tuttavia, in pericolo di vita.

L’ombra della Serbia

Gli scontri di lunedì sono nati dalla protesta di un gruppo di civili che impediva l’ingresso agli edifici della municipalità di Zvecan, un sobborgo di Mitrovica, la maggiore città serbo-kosovara, e ha risposto con sassi e bombe molotov alle cariche della polizia. Il governo serbo ha ordinato alle truppe stazionate vicino al confine lo stato di massima allerta e ha avvertito che non resterà a guardare se i serbi in Kosovo verranno nuovamente minacciati e aggrediti.

Il Kosovo è un territorio principalmente abitato da una popolazione di nazionalità albanese, ma per secoli, e fino al 2008, è stato una provincia della Serbia. In quell’anno, le autorità kosovare dichiararono unilateralmente l’indipendenza del paese ottenendo il riconoscimento di circa cento paesi afferenti alle Nazioni Unite, fra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia.

Da allora, la Serbia rifiuta di riconoscere la sovranità del Kosovo considerandolo ancora parte del suo territorio nazionale nonostante non abbia alcun controllo formale sul paese. Restano molte le nazioni che non riconoscono il Kosovo come stato sovrano, fra cui alcune di peso come Russia e Cina. Anche cinque paesi dell’Unione Europea, ovvero Spagna, Romania, Grecia, Slovacchia e Cipro – tutti con una particolare sensibilità al tema dell’integrità territoriale per ragioni interne – non hanno mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo.

Questa impasse che perdura da quindici anni ha mantenuto alte le tensioni e ha impedito la piena stabilizzazione della regione balcanica dopo le guerre degli anni ’90.

La disputa sul Kosovo è dunque antichissima. La Serbia considera la regione come culla della sua sovranità e della sua religione. Il territorio è costantemente meta di pellegrinaggi presso i numerosi monasteri ortodossi che ne caratterizzano il paesaggio, alcuni dei quali inclusi nel Patrimonio Mondiale UNESCO. I serbi vedono in una celebre battaglia del 1389 persa contro gli ottomani in Kosovo il simbolo della loro secolare lotta per l’indipendenza nazionale.

Tuttavia, la maggioranza degli albanesi del Kosovo considera la regione come propria da lunghissimo tempo e accusa la Serbia di occupazione e repressione. In coda alla disgregazione della Jugoslavia degli anni ’90, gli albanesi avviarono una rivolta nel 1998 per liberare il paese dal dominio serbo. La brutale risposta di Belgrado provocò un intervento della NATO nel 1999, che costrinse la Serbia a ritirarsi e a cedere il controllo alla comunità internazionale.

Tensioni interne

Esistono tensioni costanti tra il governo del Kosovo e i serbi che vivono principalmente nel nord del paese e mantengono stretti legami con Belgrado. Gli sforzi del governo centrale di Priština per imporre un maggiore controllo nel nord incontrano costantemente la resistenza della popolazione serba.

Mitrovica è, di fatto, divisa in una parte albanese e una parte serba: queste non entrano quasi mai in contatto. Esistono anche piccole enclave popolate da serbi nel sud del Kosovo, mentre decine di migliaia di serbi del Kosovo vivono oggi nella Serbia centrale, dove sono fuggiti insieme alle truppe serbe in ritirata nel 1999. Ad oggi, questa popolazione serbo-kosovara rappresenta un bacino elettorale prezioso per la destra ultraconservatrice della Serbia.

Gli sforzi internazionali per trovare un terreno comune tra serbi e kosovari sono stati numerosi e costanti nel tempo, ma finora non è stato mai raggiunto alcun accordo completo. È stata avanzata l’idea di attuare cambiamenti di confine e scambi di territori come via d’uscita dall’impasse della distribuzione della popolazione nella regione, ma questa soluzione è stata respinta da molti paesi UE per timore che potesse causare una reazione a catena in altre aree etnicamente miste dei Balcani, ad esempio in Bosnia-Erzegovina, innescando ulteriori problemi.

Nazionalismi

Sia il Kosovo che la Serbia sono guidati da leader nazionalisti non sempre inclini al compromesso perché sostenuti elettoralmente dalle frange più radicali della popolazione. In Kosovo, guida il governo Albin Kurti, un ex leader di proteste studentesche e prigioniero politico in Serbia nel periodo delle rivolte di fine anni Novanta. Sostenitore dell’unificazione del Kosovo con l’Albania, si è mostrato particolarmente ostile a ogni forma di compromesso durante la “crisi delle targhe” del 2022.

La Serbia è guidata dal populista Aleksandar Vučić, che era ministro dell’informazione di Milošević durante la guerra in Kosovo. Benché recentemente aperto a negoziare rispetto alla sua controparte, è un leader che si tiene in precario equilibrio tra forze contrastanti, in particolare tra la destra interna ultranazionalista vicina alla Russia di Putin e la classe media urbana maggiormente tesa verso l’Unione Europea, da cui arrivano, da anni, i maggiori finanziamenti destinati allo sviluppo del paese.

Entrambe le nazioni devono normalizzare i legami se vogliono avanzare verso l’adesione all’UE. La mancanza di svolte significative significherebbe instabilità prolungata, declino economico e costante insicurezza per le popolazioni. Qualsiasi intervento militare serbo in Kosovo significherebbe uno scontro con le truppe NATO di stanza in loco, che ad oggi includono 3.800 unità da una quarantina di paesi. Belgrado controlla i serbi del Kosovo, mentre il Kosovo non può diventare un membro dell’ONU e uno stato pienamente funzionale senza risolvere la disputa con la Serbia. Continuare con gli scontri non conviene a nessuno dei due paesi.

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