Tra gli archi dell’Impero

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imperi

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Le idee sono frutto della storia, delle esperienze degli uomini, filtrate attraverso le letture, il ragionamento, l’introspezione. Ma è il sentimento sulla pelle, nella carne che ci fa credere più a qualcosa o un’altra. Questo del resto spiegava Polibio due millenni fa, mettendoci in guardia dagli studiosi solo chiusi in biblioteca.

Così i ragionamenti di due generali, uno cinese e uno italiano, Qiao Liang, ex responsabile dell’educazione per l’Università della Difesa in Cina, e Fabio Mini, ex comandante Nato in Kosovo, sembrano nascere anche dalle loro esperienze personali. Il libro che raccoglie i ragionamenti, quasi un dialogo virtuale tra i due, è L’arco dell’impero, uscito nelle ultime settimane per LEG.

Stati Uniti

Qiao Liang espone il reticolo complesso di legami che paiono indissolubili tra guerra e sistema finanziario nella struttura del nuovo “impero” americano.

L’analisi nasce da un’esperienza concreta. Tra il 1997-98, quando la Cina aveva appena ripreso il controllo di Hong Kong, sede della maggiore Borsa asiatica, una crisi finanziaria enorme sconvolse il continente. Iniziò da Bangkok, praticamente ore prima della cerimonia di passaggio del 1° luglio 1997. Da lì in poi, nell’arco di pochi mesi, uno dopo l’altro tutti i paesi asiatici caddero. Le Borsa crollarono, le società furono gettate nel caos e la politica fu sconvolta. Tutti i governi della regione caddero, compresa la dittatura apparentemente inossidabile dell’Indonesia.

La finanza di Wall Street in pochi mesi cambiò il panorama politico dell’area, senza una guerra, o spargimenti di sangue, ma meglio di una guerra. La Cina fu l’unica a salvarsi perché non aveva, e non ha, una moneta pienamente convertibile, e perché il dollaro di Hong Kong, possibile cavallo di Troia di un attacco, era protetto da un fermo ancoraggio al dollaro Usa e dalle cospicue riserve cinesi.

A Pechino l’evento fu sconvolgente e cominciarono a guardarsi indietro. Appena nel 1993 la stessa finanza aveva attaccato e abbattuto il serpente monetario europeo, il sistema di cambi a oscillazione fissa tra le maggiori monete del continente. In Cina, dove la lente di osservazione di tutto è la politica e la strategia, si lesse un collegamento tra i due eventi: l’America voleva tagliare le gambe a due potenziali rivali, l’Europa prima e l’Asia dopo.

In questa luce venne letto anche l’intervento americano nella guerra della ex Jugoslavia negli anni ‘90.  Era un tentativo americano di minare l’unità politica che sarebbe potuta nascere in Europa dopo il lancio dell’euro il 1° gennaio 1999.

Secondo questo stesso filone poi era da leggere la guerra in Iraq nel 2003. Serviva a prendere il controllo del petrolio, ergo dei petrodollari, e completare il dominio globale di finanza e guerra.

La spiegazione può apparire fantastica, frutto di un laboratorio di fake news pronto a scoprire complotti dietro ogni cosa. Pare erede delle tesi cospiratorie ottocentesche che vedevano trame di massoni o ebrei sia per il dominio capitalista o che per la rivoluzione socialista.

Ma non c’è da pensare a un grande vecchio che tira le fila o a una pianificata, esplicita intenzionalità razionale. Piuttosto Qiao vede un legame profondo in una dimensione di guerra economica, diversa da quella antica e tradizionale di dimensione economica della guerra. Cioè la “guerra”, o il perseguimento di obiettivi politici da parte di uno stato, si può condurre in tempi moderni con una alleanza modificabile di volta in volta, quasi ad hoc, tra finanza e uso di guerre limitate, nel Balcani o in Medio Oriente, in questo caso.

In quegli anni in effetti l’America lasciava un po’ da parte la dimensione politica/diplomatica delle sue relazioni esterne, e si concentrava sugli accordi commerciali, intorno alla nuova cornice del WTO (World Trade Organization). Era il momento in cui la storia, cioè la politica, si pensava finita, in cui gli scontri erano tra civiltà diverse, in contrasto fra loro, e sembrava che tutto sarebbe passato per accordi commerciali e finanziari. Questi potevano essere sospinti, nudged, anche da piccole guerre. Il modello, però, faceva acqua, come rileva Qiao.

Non è importante qui vedere se e in che misura esisteva una intenzionalità americana cosciente e compiuta nel muoversi in questo senso. Qiao rileva una contiguità oggettiva, efficiente negli anni ’90 ma che smette di funzionare da quando la guerra in Iraq, nel 2004, diventa una palude.

Nella Cina, dove impera il realismo crudele, il punto di critica non è l’intenzione di coniugare sangue e soldi, ma il fallimento di farlo in maniera efficiente. Il punto di critica è il disastro del sistema americano rilevato gradualmente dal 2004, nell’impantanamento sempre maggiore in Medio Oriente fino alla crisi finanziaria del 2008, fino al fallimento delle rivoluzioni al gelsomino.

Così trapela in Qiao tutta la sua ammirazione per la complessa architettura del sistema americano e la sua in realtà non è una critica antagonista, come quella sovietica. È un invito alla Cina a imparare e, implicitamente, è un invito all’America a cambiare.

Il punto di debolezza Usa, secondo Qiao, è la monetizzazione di tutto, scambiare pezzi di carta per beni reali. La sua soluzione è una moneta nuova, digitale.

Cina

Mini, nella sua straordinaria introduzione, un libro nel libro, presenta Qiao e spiega la complicazione del sistema cinese, di un uomo critico con il governo ma che pure riesce ad avere spazi di parola nel dibattito pubblico. Poi racconta dell’avvitamento dell’impero americano.

Questa diagnosi non implica la fine inevitabile dell’impero americano. È una crisi che va risolta perché altrimenti tutto il mondo come lo conosciamo, imperniato sull’America, viene giù.

Qiao capisce che l’impero americano è un ordine globale. Esso, però, così come si ha lavorato negli ultimi tre decenni, adoperando strutture pensate 80 anni fa, alla fine della seconda guerra mondiale, andrebbe cambiato in profondità per continuare a funzionare.

In questo, la moneta elettronica implica un monopolio di potere da parte di uno o più o governi, o totale resa di potere a cripto monete. Ma monopoli o rese totali di potere sono storicamente bacate, come un altro libro cinese rileva[1]. Cioè, si potrebb forse dire, la soluzione finanziaria a questioni politiche non funziona, ma neppure il contrario. La politica non può sostituirsi alla finanza, quando lo fa, crea altrettanti sconquassi.

Sono temi difficili da affrontare anche perché l’impero americano ha vergogna di sé stesso, continua a raccontare di essere in crisi, e c’è una tara profonda che va affrontata.

Scrive Mini: “L’interventismo militare americano all’estero avviene sempre in nome di un presunto mandato divino a dirigere gli affari mondiali e della gratitudine che gli altri devono per l’esercizio di tale ruolo. La decisione del ricorso all’uso della forza è teoricamente parlamentare, ma in realtà è presa da una ristretta cerchia di persone. “Posso fare i nomi di 25 persone (tutte dislocate in un raggio di cinque isolati dalla Casa Bianca) che se fossero state esiliate in un’isola deserta un anno e mezzo fa, la guerra in Iraq non sarebbe mai avvenuta” ha detto Tom Friedman.

La politica estera statunitense è improntata alla salvaguardia dei propri interessi mentre quelli degli alleati sono ininfluenti a meno che non coincidano con quelli statunitensi. L’indirizzo ideologico è diventato politica estera e questa per un certo periodo ha guidato gli interventi armati palesi e occulti, legittimi e illegittimi. Il velo dell’innocenza americana e il mito dell’intervento armato per aiutare gli alleati e amici sono caduti da molto tempo”.

Sapendo questo in Cina pensano: meglio 25 persone di cui non si conosce manco l’identità, sempre nascoste, ma proprio per questo potentissime, o 25 persone del politburo del partito che almeno si sa ci sono e sono ‘palesemente nascoste’? Ma poi il mondo può mettersi nelle mani di 50 persone ‘nascoste-nascoste’ o ‘palesemente-nascoste’?

Queste sono problemi che contribuiscono anche dello scontro in atto tra Cina e Stati uniti. Toccano un problema profondissimo, la fede, la fiducia, che è la vera radice del potere, quella che muove gli uomini con in mano il fucile. Da loro, dalla loro fiducia viene il potere, non dall’inanimato fucile che hanno in mano, come voleva Mao.

Essi sono soldati, cioè uomini pagati, al soldo, hanno bisogno di soldi, oltre che di fiducia, per muoversi, come si sapeva da temi antichissimi.

Il legame tra militare, denaro, potere e fede viene saldato poi dal motto sui dollari “in God we trust”. Esso spiega che al di là degli sforzi razionalistici, la questione del denaro e della finanza è di fiducia, di essere creduti, di credito. Se non si crede, nell’America, nella Cina o nel mondo, crolla tutto. Chi ha credito, fiducia invece…

[1] http://www.settimananews.it/informazione-internazionale/taxes-and-res-publica-for-china/


Currency of Empires

Ideas come from history, from men’s experiences, filtered through readings, reasoning, introspection. But the feeling on our skin, in our flesh, makes us believe more in something or another. After all, this is what Polybius explained two millennia ago, warning us against historians cloistered in libraries.

Then, the reasoning of two generals, one Chinese and one Italian, Qiao Liang, former education head for the Defense University in China, and Fabio Mini, former NATO commander in Kosovo, seems to arise also from what they lived through. The book collecting the reasoning, almost a virtual dialogue between the two, is L’arco dell’impero, released by LEG.[1]

Qiao Liang exposes the complex network of links that seem indissoluble between war and the financial system in the structure of the new American “empire.”

The analysis stems from a concrete experience. Between 1997-98, when China had just regained control of Hong Kong, the seat of Asia’s largest stock exchange, an enormous financial crisis shook the continent. It began in Bangkok, practically hours before the July 1, 1997, handover ceremony. From then on, within a few months, one by one, all the Asian countries fell. Stock exchanges collapsed, societies were thrown into chaos, and politics was disrupted. All governments in the region failed, including the seemingly stainless dictatorship of Indonesia.

Wall Street finance in a few months changed the political landscape of the area, without a war, or massive bloodshed, but better than a war. China was the only one spared because it did not have, and does not have, a fully convertible currency, and because the Hong Kong dollar, a possible Trojan horse, was protected by a firm peg to the U.S. dollar and by China’s substantial reserves.

In Beijing, the event was shocking, and they began to look back. Just in 1993, the same finance had shot down the European monetary system, the agreement of semi-fixed exchange rates between the continent’s major currencies. In China, where the lens for observing everything is politics and strategy, they saw a link between the two events: America wanted to cut off two potential rivals, first Europe and then Asia.

The American intervention in the war in the former Yugoslavia in the 1990s was also accordingly interpreted. It was an American attempt to undermine the political unity about to emerge in Europe after the euro’s launch on 1 January 1999.

The 2003 Iraq war followed the same interpretation. It was to take control of oil, ergo of petrodollars, and complete the global domination of finance and war.

The explanation can appear fantastic, offspring of a fake news laboratory, ready to find plots for everything. It seems heir to 19th-century conspiracy theories seeing schemes of Freemasons or Jews both for capitalist domination or the socialist revolution.

But there is no suggestion of a grand old man pulling the strings or a planned, explicit rational intentionality. Rather, Qiao sees a deep connection in a dimension of economic warfare, different from the ancient and traditional dimensions of economic warfare. That is, “war,” or the pursuit of political goals by the state, can be waged in modern times with an ad hoc alliance, modifiable from time to time, between finance and limited warfare, in the Balkans or the Middle East, in this case.

In those years, America left aside the political/diplomatic dimension of its external relations and focused on trade agreements around the new framework of the WTO (World Trade Organization). It was when history, that is, politics, was thought to be over, when clashes were between different civilizations, in contrast with each other, and it seemed that everything would pass through commercial and financial agreements. These could be nudged even by small wars. The model, however, was treading water, as Qiao notes.

It is not important here to see whether and to what extent there was a conscious and accomplished American intentionality in moving in this direction. Qiao notes objective contiguity, efficient in the 1990s but ceasing to function since the Iraq war in 2004 became a quagmire.

In China, where cruel realism is king, the point of criticism is not the intention to combine blood and money, but the failure to do so efficiently. The point of criticism is the disaster of the American system gradually detected since 2004, in being bogged down in the Middle East until the disastrous 2008 financial crisis, until the failure of the Jasmine revolutions.

Thus, Qiao oozes admiration for the complex architecture of the American system, and it is not actually an antagonistic critique, like the Soviet one. It is an invitation to China to learn and, implicitly, an invitation to America to change.

The U.S. weakness, according to Qiao, is the monetization of everything, exchanging pieces of paper for real goods. His solution is a new, digital currency.

Mini, in his extraordinary introduction, a book within a book, introduces Qiao and explains the complication of the Chinese system, of a man who is critical of the government but still manages to have a voice in public debate. Then he tells of the fissures of the American empire.

This diagnosis does not imply the inevitable end of the American empire. It is a crisis that must be solved; otherwise, the whole world as we know it, hinged on America, will come crashing down.

Qiao understands that the American empire is a global order. However, as it applied in the last three decades, using structures conceived 80 years ago, during World War II, it should be changed in depth to keep working.

In this, digital money implies a monopoly of power by one or more governments, or a total surrender of power to crypto-currencies. But monopolies or total surrenders of power are historically flawed, as another Chinese book notes[2]. One could perhaps say that the financial solution to political issues does not work, but neither does the reverse. Politics cannot replace finance; it creates just as much turmoil as the opposite, finance trying to replace politics.

These are complex issues to deal with, also because the American empire is shy, ashamed of itself; it keeps on saying that it is in crisis, and a deep fault has to be faced.

Mini writes: “American military interventionism abroad always occurs in the name of a supposed divine mandate to direct world affairs and the gratitude that others owe for the exercise of that role. The decision to resort to the use of force is theoretically parliamentary, but in reality it is made by a small circle of people. ‘I can name 25 people (all located within a five-block radius of the White House) who, had they been exiled to a desert island a year and a half ago, the Iraq War would never have happened,’ said Tom Friedman. U.S. foreign policy is focused on safeguarding its interests while those of its allies are irrelevant unless they coincide with those of the United States. The ideological address has become foreign policy and this for a certain period has guided the armed interventions, overt and covert, legitimate and illegitimate. The veil of American innocence and the myth of armed intervention to help allies and friends have long since fallen away.”

Knowing this some Chinese think: better 25 people whose identities are even unknown, who are always hidden, but for this very reason very powerful; or 25 people of the party politburo who at least are known to be there and are ‘clearly hidden’? But then can the world put itself in the hands of 50 ‘hidden-hidden’ or ‘clearly-hidden’ people?

These issues also contribute to the ongoing clash between China and the United States. They touch a profound problem, the faith, the trust, which is the real root of power, the one that moves the men holding the gun. Power comes from them, from their trust, not from the inanimate barrel of the gun in their hands, as Mao said.

They are soldiers, (from soldo, money, pay) i.e. paid men, they need cash, as well as trust, in order to move, as we know since ancient times.

The link between military, money, power and faith is then welded by the motto on U.S. dollars “in God we trust”. It explains that beyond rationalistic efforts, the issue of money and finance is one of trust, of being believed, of credit. If you do not believe in America, China or the world, everything collapses. Those who have credit, trust instead…

[1] Original Chinese title 帝国之孤,also based on the 2015 inaugural lecture, see in English  https://www.limesonline.com/en/one-belt-one-road

[2] http://www.settimananews.it/informazione-internazionale/taxes-and-res-publica-for-china/

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Un commento

  1. F. Tuijn 7 febbraio 2022

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