Ucraina: il mercato dei neonati

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Un video con decine di bambini (46) nelle loro culle, un comunicato dei vescovi cattolici e un mercato di uteri in affitto in Ucraina: sono le immagini di un fenomeno inquietante che il Covid-19 ha spalancato. Il video è stato postato dalla clinica BioTezCom, l’azienda ospedaliera privata che gestisce il maggior numero delle maternità surrogate nel paese.

Per il 94%, riguarda coppie straniere. Lo ha fatto per fare pressione sui governi occidentali e su quello ucraino per facilitare l’arrivo dei genitori legali a prendere i bambini nati da gestanti ucraine. La chiusura delle frontiere ucraine e di molti paesi europei causata dal virus ha impedito per settimane e impedisce ancora ogni arrivo in clinica.

Il comunicato, pubblicato il 12 maggio, è firmato dall’arcivescovo maggiore degli ucraini cattolici di rito bizantino, Sviatoslav Shevchuk, e dal presidente (pro tempore) della Conferenza dei vescovi cattolici di rito latino, mons. Mechyslav Mokshytskyi. In esso si chiede con fermezza di impedire un mercato dei corpi (delle mamme e dei bambini) che viola gravi valori morali e civili.

La maternità surrogata non è vietata dalla legge ucraina e ha conosciuto una crescita vertiginosa negli ultimi anni. La stima va dalle 500 alle 2.000 madri in affitto. Il mercato ucraino è esploso per il costo relativamente basso (26.600 euro a fronte dei 133.000 negli USA), la condizione decorosa del sistema sanitario e la chiusura degli altri mercati. India e Tailandia hanno una legge che impedisce la maternità surrogata per gli stranieri dal 2015 e la Cambogia dal 2016.

Il flusso delle richieste si è quindi convogliato verso l’Ucraina e ne hanno beneficiato le cliniche dedicate. Fra queste la BioTexCom che, nel 2018, ha avuto una denuncia da parte di una coppia italiana: il bimbo consegnato non corrispondeva al DNA dei genitori legali.

Qualcuno propose allora una legge in merito, ma non se n’è fatto nulla. Il dato più inquietante riguarda i bambini. Per la legge ucraina la genitorialità parte dall’uscita dalla clinica e dal riconoscimento della madre (e del padre) all’uscita dalla clinica.

Nel caso di bambini di “uteri in affitto” la loro situazione è sorprendente: non hanno né nome né identità, non sono soggetti di diritto e non sono riconosciuti dallo stato. Il contratto fra i genitori legali e la clinica è un contratto privato che non ha alcuna garanzia istituzionale e internazionale. Una condizione ben più grave delle adozioni internazionali, dove i bambini sono protetti dal loro paese di origine con uno statuto, identità e diritti fino alla presa in carico dei genitori adottanti. Una situazione grave e paradossale denunciata da Liudmyla Denysova, responsabile dei diritti umani nel parlamento ucraino.

Le donne non sono merce

Qui nasce l’appello dei responsabili delle comunità cattoliche nel paese che denunciano la condizione deplorevole di donne «trattate come merce che può essere ordinata, fabbricata e venduta», calpestando la dignità delle donne, dei bambini e anche dei genitori che li hanno “prenotati”. «I bambini (mostrati dal video) sono collocati in incubatrici moderne, ma privi di contatto materno, di calore parentale, di cure disinteressate, di amore indispensabile. Inoltre sono considerati come un prodotto da acquistare da parte di un compratore che non si è presentato».

«La cosiddetta “maternità surrogata” non dovrebbe essere chiamata maternità» per le conseguenze rese evidenti dalla situazione e per le sofferenze e difficoltà delle donne “utilizzate” allo scopo. «La pratica della maternità surrogata, il suo soggetto, lo scopo e i mezzi di realizzazione sono moralmente inaccettabili». Anche il caso di una maternità surrogata «altruista», non legata a un compenso, non è accettabile.

I vescovi esprimono piena solidarietà alla posizione di Liudmyla Denysova e ricordano al governo e al parlamento tutti i documenti internazionali e in particolare europei che escludono la legittimità della pratica in questione.

La risposta da dare è una legislazione favorevole alle famiglie che garantisca alle donne del paese di «non dover affittare i propri corpi e i bambini che vi nascono per la sopravvivenza propria e della loro famiglia».

I fatti mostrano l’inconsistenza di un linguaggio che cerca di nascondere la realtà di un mercato vergognoso e il vuoto morale e valoriale di posizioni narcisistiche di una parte della cultura contemporanea.

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Un commento

  1. Emanuela 16 giugno 2020

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