Ucraina: terra cerniera

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Nel suo famoso − e discusso − saggio sullo scontro di civiltà, Samuel Huntington ha inserito l’Ucraina tra le linee di faglia lungo le quali lo scontro si consuma. Queste terre sono le cosiddette terre complesse, come complesso è ciascuno di noi. Per questo per me sono le terre cerniera.

Quasi sempre si tratta di terre deboli, in perenne crisi politica, ed hanno l’origine della loro debolezza proprio nella complessità. Se guardiamo ai grandi conflitti recenti, le troviamo ora − quasi tutte − devastate da guerre interminabili: Ucraina, Bosnia, Libano, Iraq. Sono terre destinate a continuare a subire e a patire, se si continua a ritenere che la complessità sia solo un problema, perché queste terre sono appunto cerniere, facilmente destinate a cedere, a rompersi, a strapparsi nel momento dell’urto.

Guerre recenti e terre cerniera

L’Iraq è l’antica Mesopotamia, terra indicata quale confine mobile sin dai tempi di Alessandro Magno, tra l’impero persiano e lo spazio mediterraneo. Se si vuole escludere l’antica Persia dal mondo si scava un abisso. Mentre per chi vuole ricreare l’impero persiano, l’Iraq è il bastione da conquistare e da preservare ad ogni costo. Secondo un’altra ipotesi è invece una cerniera. La sua appartenenza al Mediterraneo cosmopolita è indiscutibile, la sua connessione con la Persia altrettanto. Così io la vedo.

La Bosnia è la terra del confine tra l’impero austro-ungarico e l’impero ottomano, resa ancora più debole dalla scelta del regime di Tito di farne la terra disconnessa dagli Stati vicini per ospitare migliaia di bunker senza strade di facile accesso per scoraggiare i potenziali invasori. Sarajevo è stata così una doppia cerniera: musulmani, ebrei, cristiani, laici, avevano in Sarajevo una città con due corpi − quello austro ungarico e quello ottomano − da abitare in relativa tranquillità, se non altro per l’assenza di connessioni con le potenze vicine. Ma la stagione della Grande Croazia e della Grande Serbia, degli opposti estremismi nazionalisti, come sappiamo, l’ha travolta.

Il cuore della terribile guerra libanese è stata Beirut. La capitale libanese era una città in sé positivamente promiscua, anche architettonicamente, caratterizzata dallo stile «Nuovo Orientale». Dopo uno sviluppo tumultuoso per la sua natura di fortificazione sul mare − che richiamò cristiani e musulmani in fuga dal conflitto sulle montagne − divenne una cerniera tra Oriente e Occidente, con il porto e la ferrovia: collegavano Parigi e Damasco, facendo di Beirut, allo stesso tempo, una città moderna, araba ed europeizzata. Per questo i falangisti e i guerrieri di Dio hanno combattuto ferocemente contro la sua architettura e la sua promiscuità, considerata demonica.

Comprendere la funzione delle terre cerniera

Puntare a omologare − uniformare − le cerniere è contro la loro stessa natura. Il mondo può esistere se le sue cerniere hanno denti su entrambi i lati, non su uno soltanto. Questo le rende terre fondamentali, delicatissime. E questa delicatezza impone una speciale cura, da ambo i lati.

Rispettarne la complessità aiuta il mondo ad essere tale. Se si crede nel mondo, si crede nelle terre complesse, che non sono linee di faglia, bensì cerniere di congiunzione del mondo complesso. Mentre la guerra alla complessità è la vera devastante guerra che si è combattuta in questi anni: la guerra siriana è proprio qui, sotto gli occhi di chi voglia vedere, una guerra imperiale contro il Levante, terra della complessità per elezione.

Questo mi dice che è stato un errore ucraino (e occidentale) − tanto forte − puntare all’ingresso dell’Ucraina nella NATO, quanto un errore russo − tanto forte − puntare alla secessione delle regioni a maggioranza russofona.

Nei momenti più difficili della storia − quando avvengono le scosse tettoniche – si può pensare di ricorrere al federalismo etnico, pur di salvaguardare la complessità delle cerniere, senza distruggerle.

Ma tale modello ha dimostrato tutta la sua debolezza specie dopo la guerra di Bosnia, ove un sistema burocratico federale, obiettivamente impossibile da gestire, non ha retto e non regge alla sfida. Perciò occuparsi oggi − subito! − della Bosnia, alla luce dell’esperienza ucraina, dovrebbe risultare il modo ragionevole e lungimirante dell’Europa e del mondo di pensare ad un oggi che è già un domani, prima che sia troppo tardi. La visione di Europa che traspare dai lunghi negoziati con la Serbia va nella giusta direzione, ma certamente non soddisfa: insieme alla Serbia bisogna pensare alla Bosnia, il primo dente della cerniera balcanica.

L’Europa e le periferie di Francesco

Il quadro del mondo più prossimo all’Europa − visto così − forse spiega la particolare attenzione che Francesco, dall’inizio del suo pontificato, dedica alle «periferie», ovvero alle terre cerniera. Libano, Iraq, Bosnia, Ucraina, sono state costantemente al centro della attenzione e preoccupazione del papa. E non solo perché sono le sue «periferie», dove ci sono tanti poveri e minoranze cattoliche spesso discriminate e a grave pregiudizio di estinzione, ma perché, appunto, sono le terre cerniera di un mondo che anela al meglio: o la cerniera funziona e c’è la pacifica convivenza, ovvero la cerniera si apre, si lacera, e tutto va a rotoli, con l’uso della forza e della violenza.

Nel tessuto del mondo contemporaneo non si possono dare più i tagli, ma solo le saldature. Nel pensiero di Francesco, questo è evidente. I punti, le linee che saldano il mondo, sono il luogo teologico della geopolitica della fratellanza. Essere fratelli vuol dire essere uguali perché diversi. E le diversità si incontrano e si stringono tra loro come i denti di una cerniera. Sono fatti apposta nel disegno di Dio. Non si strappano gli uni dagli altri.

Della guerra di Ucraina avverto allora − ancora troppo forte − lo scontro delle identità contrapposte: l’identità di matrice ortodossa − tradizionale o tradizionalista − per la Russia, l’identità di origine cattolica e protestante − liberale o liberalista o laicista − per l’Europa. Ma ciò significa semplificare e persino banalizzare, in senso binario, identità che sono in realtà assai più complesse e ben più intrecciate di quanto si pensi.

Prendere le parti dell’Ucraina da parte dell’Europa dovrebbe significare perciò, a mio giudizio, la difesa strenua del suo senso di terra cerniera nella complessità. Va dissuaso l’assorbimento al mondo «russo» che evidentemente il popolo ucraino non vuole, ma non va perseguita neppure la mera annessione − omologazione − all’«Occidente».

La visione europea dell’Ucraina dovrebbe assumere le sembianze di un ponte piuttosto che di un muro di cinta da un «est» di cui non vogliamo più sapere nulla.

La geopolitica di Francesco è una visione del mondo in cui le cerniere − tutte − hanno un ruolo fondamentale nel verso di vivere insieme nella fratellanza. Altre visioni, diametralmente opposte − come quella chiaramente manifestata in queste circostanze dal patriarca di Mosca − possono essere smontate solo così, ossia con la paziente quanto cocciuta − francescana − difesa della complessità.

All’Angelus della prima Domenica di Quaresima Francesco si è affacciato sul mondo con un viso stravolto dal dolore, ma con una voce dolce, benché alterata dalla commozione, ha implorato, semplicemente e con fermezza, un po’ di umano «buon senso». Ha detto: «Per favore!».

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