Verdetto per l’assassinio di Rafiq Hariri

di:

tribunale internazionale

Le macchie di sangue non si estinguono facilmente. E il sangue di Rafiq Hariri, assassinato sul lungomare di Beirut il 14 febbraio 2005, chiede ancora che il Paese sia salvato da chi lo ha assassinato.

L’assassinio di Hariri

Quel giorno quando un’autobomba potentissima nel centro di Beirut fece saltare in aria, polverizzandole, le blindate che trasportavano Rafiq Hariri, ex premier, con altre 22 persone che viaggiavano al seguito, è cominciata la storia che sta versando altro sangue – pure in questi giorni – nelle strade della devastata capitale libanese. Quella storia merita di essere brevemente ricordata per capire cosa abbia a che fare con l’oggi.

Hariri, premier del suo Paese, fu informato che Bashar al-Assad esigeva la conferma del suo fido generale Emile Lahoud alla presidenza del Libano. Ma la costituzione libanese impediva allo stesso Lahoud un secondo mandato. Così Hariri prese la via di Damasco e propose a Bashar un altro Presidente a lui comunque gradito, ma non Lahoud. La risposta ufficiosamente riferita sarebbe stata la seguente: “Questo è un complotto contro di me: o Lahoud o ti rompo il Libano sulla testa”. Hariri tornò a Beirut con un braccio legato al collo, e partì per la Sardegna.

L’uomo che ha ricostruito Beirut con un’operazione urbanisticamente certamente criticabile ma impareggiabile – poiché Beirut è il Libano – sarebbe appunto morto ammazzato qualche tempo dopo. Un lungo braccio di ferro con Hezbollah non ha impedito al Tribunale Internazionale di fare luce su quell’omicidio e di rinviare quindi a giudizio gli uomini operativi della cellula di Hezbollah responsabile della operazione. L’iter di giustizia è stato lunghissimo e i tentativi di sabotarlo infiniti.

Una sentenza lungamente attesa

A luglio dello scorso anno la sentenza è stata annunciata: sarebbe stata emessa il 5 agosto 2020. All’ora di pranzo del giorno precedente due incredibili esplosioni hanno mandato in polvere l’intero scalo commerciale della capitale libanese. Dapprima è stato avvertito un rumore fragoroso, poi, a distanza di pochi secondi nel cielo di Beirut è comparso un fungo di fumo e di ceneri simile a quello delle esplosioni atomiche.

Si è fatta inizialmente l’ipotesi della esplosione di un deposito di fuochi d’artificio, ma neppure le autorità libanesi hanno avuto il coraggio di confermare una versione tanto grottesca. In breve tempo è emersa la verità: nel porto commerciale di Beirut, uno dei più grandi di tutto il Mediterraneo orientale, era saltato in aria un immenso deposito di nitrato d’ammonio, accumulato e conservato in porto almeno dal 2014.

Si è quindi appurato che parte di quell’esplosivo era già stato impiegato – molto probabilmente anche in Siria – tramite trasporti illegali. Questo è quanto è stato sostenuto da un grande intellettuale libanese sciita, Luqman Slim, pure lui subito ucciso.

Il Tribunale internazionale ha rinviato di qualche giorno la pronuncia ufficiale del verdetto, ma alla fine quella pronuncia c’è stata: il capo della cellula di Hezbollah è stato riconosciuto colpevole dell’eliminazione dell’ex premier libanese. La sentenza ha assolto gli altri membri della cellula che avevano ricevuto le telefonate che hanno dato il via all’agguato: non avendo dialogato col capo cellula, non c’erano prove sufficienti a loro carico.

Le conseguenze

Resta il fatto serio della condanna di un effettivo di Hezbollah, peraltro latitante, per un omicidio politico: fatto di un’enormità assoluta visto che Hezbollah controlla il Paese, incluso il governo. Ma la devastazione della città ha fatto passare in secondo piano la sentenza, almeno agli occhi della comunità internazionale. Era questo l’intento dell’attentato? Se era questo, è ben riuscito.

Il governo libanese – come detto emanazione di Hezbollah e dei suoi alleati – è andato in crisi e per un anno il Paese non ne ha avuto uno nuovo. Ma – ed arriviamo all’oggi – solo pochi giorni fa, si è giunti all’accordo per varare il nuovo governo: Hezbollah ne ha accettato la composizione, dopo il via libera di Teheran per la chiusura della crisi ormai divenuta un elemento di pressione internazionale.

Proprio lo sblocco di governo ha consentito al magistrato inquirente, Tareq Bitar, di procedere nei confronti di due ex ministri inquisiti per la vicenda del porto vicini ad Hezbollah e al suo partito “gemello” Amal. Grazie all’immunità, questi si erano sino ad ora rifiutati di rispondere alle domande sull’esplosione: non si sono presentati davanti al magistrato e hanno tentato di determinarne la rimozione per “legittima suspicione”. Ma la Corte di cassazione ne ha respinto le istanze.

Quando il magistrato ha quindi spiccato l’ordine di arresto, come previsto nei confronti di chi rifiuta un interrogatorio, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah e il leader di Amal, il Presidente del Parlamento, Nabih Berri, ne hanno chiesto la rimozione, rivolgendosi al governo. Ovviamente l’esecutivo si è trovato nella tormenta. Qualcuno ha ricordato che il governo non ha competenza sulla magistratura.

Nelle ore in cui Nasrallah ha minacciato di nuovo una crisi di governo, ha invocato pure la piazza, indicendo una manifestazione contro la politicizzazione dell’inchiesta. “Non possiamo sopportare di pagare per un reato che non abbiamo commesso”: ha detto.

In effetti sarebbe una novità: la storia libanese è piena di reati commessi da Hezbollah, per i quali non ha pagato. Non è mai accaduto il contrario. Basti ricordare le tende dei miliziani che per anni hanno preso d’assedio il centro cittadino determinando il fallimento di tutti gli esercizi commerciali ivi aperti, oppure l’invasione da parte delle milizie di Hezbollah dei quartieri degli odiati sunniti, marchiando con i loro simboli gli incroci delle arterie principali.

Hezbollah e l’inchiesta sul porto

La manifestazione di Hezbollah delle ore scorse – come sappiamo – ha dato luogo a scontri che hanno causato morti e diversi feriti, che Hezbollah ritiene causati da gruppi cristiani, che ovviamente negano. La diplomazia, con in testa la Francia, è già al lavoro, non per denunciare i colpevoli della mobilitazione di piazza, ma per invitare alla calma.

Dunque, Hezbollah non può sopportare l’inchiesta sul porto? Certamente sa che i magistrati hanno evidenze schiaccianti a carico del partito e non solo. Tutto il Libano parla di quel funzionario della dogana, Saliba, che da quando è stato immagazzinato il nitrato d’ammonio ha continuato a scrivere lettere su lettere, tutte protocollate, senza ottenere risposte. Anche per questa ragione i consensi per Hezbollah stanno calando da tempo.

La sentenza Hariri e la tragedia del porto hanno un significato evidente, che la gente ha intravvisto e intuito. Tutti, anche i favorevoli ad Hezbollah, sanno che la sua organizzazione mantiene il controllo assoluto del porto, come dell’aeroporto. Dai porti passano le armi per la regione: impossibile anche solo pensare che qualcun altro possa guardarci dentro.

Verso le elezioni

Poiché le elezioni parlamentari sono alle porte ed è stato un governo a trazione di Hezbollah a condurre il Paese nel baratro economico, all’estinzione del ceto medio, alla fame, alla carestia – come dimostrato dai cortei di giubilo di Hezbollah quando il premier dichiarò il default e la piazza capitanata da Hezbollah lo definì persino una sfida al Fondo Monetario Internazionale e agli Stati Uniti -, il timore vero è divenuto che la sinora ‘invincibile armata’ di Hasan Nasrallah possa andare incontro alla sconfitta elettorale. Le rassicurazioni del premier Mikati e del Presidente Aoun, per i quali ‘tutto va bene’ e presto si troverà a tutto una soluzione, non rassicurano nessuno.

I giudici non possono arretrare e Hezbollah non può accettare di farsi processare assumendo pubblicamente la responsabilità della distruzione della capitale del Paese che ha governato e che ancora governa. La via di mezzo è molto stretta, se ancora c’è una via di mezzo.

Print Friendly, PDF & Email
Tags:

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto