Quattro chiacchiere con Zorair, donna armena

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Il 24 aprile è la data in cui ricorre la memoria del genocidio del popolo armeno, un crimine efferato che la Turchia non ha ancora riconosciuto come una delle pagine più nere della sua storia. Per capire l’origine del Grande male o Metz Yeghérn come viene definito il genocidio in lingua armena, bisogna risalire al 1877. Dopo una guerra tra la Russia zarista e l’Impero Ottomano, il territorio dell’Armenia venne diviso tra queste due potenze. Nel trattato di pace che ne seguì venne inserita una clausola che affidava alla Russia la tutela della minoranza armena in gran parte cristiana ortodossa (anche se pre-calcedonese) presente nell’Impero Ottomano. Questa clausola non fu mai del tutto accettata dalla Sublime Porta (così veniva chiamata la corte del sultano di Costantinopoli) né dagli ufficiali del movimento dei Giovani turchi che di lì a pochi anni avrebbero ereditato il potere. Volendo costoro realizzare una nazione omogenea etnicamente caratterizzata da una lingua unica, ogni “enclave” era vista come potenziale testa di ponte di potenze esterne che potevano insidiarla e l’Armenia, sotto questo profilo, era vista come una minaccia permanente. Nacque tra la popolazione turca – e venne alimentato ad arte dai suoi governanti – un sentimento di ostilità nei confronti degli armeni, che si concretizzerà con efferati quanto vili massacri di innocenti costringendoli a penose migrazioni.

Nel nostro colloquio con donna Zorair, icona immaginaria, vittima del dolore di un popolo intero, cerchiamo di essere fedeli alla verità storica proprio per ridare dignità ad un popolo profondamente umiliato nel corso della storia.

Armenia storica

Armenia storica

Zorair, perché tanto odio da parte dei turchi nei confronti della tua gente?

«Non riusciamo a capire neanche noi questa avversione. Per secoli avevamo vissuto all’interno dell’Impero Ottomano, in pace e, seppur gravati da tasse maggiorate in quanto cristiani, tutto sommato eravamo rispettati e ben voluti, anzi ti dirò di più, il nostro “millet” (con questo termine la Sublime Porta di Costantinopoli definiva le varie comunità etnico-religiose che componevano il variegato mondo che faceva riferimento a Costantinopoli) era uno di quelli più tenuti in considerazione».

Ma all’origine di tutto, se non sbaglio, ci fu una guerra tra la Russia zarista e l’Impero Ottomano.

«Sì. Nel 1877 ci fu uno scontro armato tra queste due potenze e l’Impero Ottomano. che era già considerato il grande malato da tutte le cancellerie europee, fu sconfitto. Nel trattato di pace che ne seguì venne inserita una clausola in cui si diceva che la Russia zarista diventava “garante e protettrice” delle comunità cristiane che vivevano all’interno del vasto territorio ottomano».

In questo modo, però, ogni comunità cristiana era vista alla stregua di una possibile testa di ponte per quanto riguarda le cosiddette potenze cristiane.

«Credo proprio di sì. I Giovani turchi, gruppo di ufficiali che faceva capo a Kemal Ataturk, vedendo profilarsi all’orizzonte la disgregazione dell’Impero Ottomano e preconizzando una Turchia basata su uno stesso popolo, su una stessa lingua e su una stessa fede, pur dichiarandosi laica, cominciava a vedere i cristiani come corpi estranei, quindi ad infierire contro di essi».

Allora è proprio per questo che la laicissima Turchia oggi non ha praticamente al suo interno nessuna comunità cristiana se non piccolissime minoranze?

«Certo. Per quanto riguarda la base etnica della sua popolazione, dopo aver eliminato gli armeni, ha lasciato che i pochi superstiti si rifugiassero nell’Armenia, Stato inserito nell’Unione Sovietica, e allo stesso tempo, ha confinato i curdi in zone periferiche definendoli “turchi delle montagne”. La tragedia del nostro popolo può definirsi “perdente” per antonomasia, proprio perché, dopo essere stati incarcerati, deportati, uccisi, siamo stati ignorati dal resto del mondo per troppo tempo».

Quello che l’Impero Ottomano non aveva fatto per secoli, l’ideologia kemalista l’ha realizzato in pochi anni?

«È proprio così. Questa soluzione finale noi la chiamiamo Metz Yeghérn o Grande male ed è all’origine della diaspora armena. Ricordo che il mio popolo, oltre che essere stato il primo nella storia a definirsi “regno cristiano”, è sempre stato illuminato da una cultura vivacissima che ha trovato nella poesia e nella letteratura uno straordinario veicolo di coesione nazionale».

Quando cominciarono i primi soprusi nei vostri confronti?

«Nel 1909, dopo che si era affermato il movimento dei Giovani turchi; questi spinsero il governo, per paura che la popolazione armena si alleasse con la Russia zarista, a emanare delle leggi che restringessero sempre più il campo d’azione della popolazione armena, e si procedette nella regione della Cilicia a eliminare almeno trentamila persone».

Perché allora celebrate la data del genocidio armeno il 24 di aprile?

«Perché nella notte di quel giorno del 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l’élite armena di Costantinopoli e si ufficializzò l’eliminazione fisica degli armeni dell’Impero Ottomano. In pochi giorni vennero uccisi più di mille intellettuali armeni, scrittori, poeti, giornalisti, perfino delegati al Parlamento, quindi furono compiuti arresti di massa e si iniziarono le deportazioni verso l’interno dell’Anatolia con massacri lungo la strada».

Immagino si sia trattato di deportazioni drammatiche che inflissero sofferenze e patimenti inenarrabili alla popolazione armena…

«Queste deportazioni furono definite “marce della morte”; coinvolsero circa un milione e mezzo di persone; centinaia di migliaia, in maggioranza donne e bambini, morirono lungo il percorso per fame, sfinimento, malattie».

La responsabilità di questi eventi è da imputare solo all’Impero Ottomano?

«L’organizzazione e la cura delle deportazioni furono compiute in massima parte dai militari che facevano riferimento ai Giovani turchi. Questi a loro volta erano addestrati da ufficiali dell’esercito tedesco, in virtù di un accordo tra l’Impero Germanico e l’Impero Ottomano. Migliaia di persone inoltre furono massacrate, nei loro villaggi o negli spostamenti che ne seguirono, dalle milizie curde e dall’esercito turco».

Negli anni in cui si compì la tragedia della deportazione e dell’eccidio degli armeni le cancellerie europee non reagirono?

«Tutte le legazioni diplomatiche europee non mancarono di riferire ai rispettivi governi ciò che succedeva nella nostra terra, ma essi restarono indifferenti all’immane tragedia che si stava consumando. Queste notizie non influirono minimamente su nessuna delle cancellerie europee».

Si può dire quindi che la brutalità nei vostri confronti, messa in atto dai Giovani turchi, che arrivò a compiere il primo genocidio del secolo XIX, non sortì alcun effetto, né politico né militare né diplomatico?

«Purtroppo il genocidio perpetrato contro gli armeni fece scuola: narrano i biografi di Hitler che, pianificando lo sterminio degli ebrei, egli si sia lasciato scappare una frase illuminante: “Del genocidio degli armeni chi ne parla più ormai?”. Erano passati poco più di vent’anni e si programmava un altro sterminio, l’Olocausto del popolo ebraico!».

Il governo turco continua ancora oggi a rifiutare di riconoscere il genocidio a danno degli armeni, preferisce la versione della “guerra civile” interna all’Impero Ottomano. L’Unione Europea però ha posto il riconoscimento del genocidio armeno come una delle clausole per l’ammissione della Turchia all’Unione Europea. La Francia punisce con il carcere la negazione del genocidio armeno; al contrario, la magistratura turca infligge la stessa punizione a coloro che nominano in pubblico l’esistenza del genocidio armeno, ritenendolo un atto antipatriottico. Va segnalato che ultimamente la Turchia sembra dare prova di buona volontà riaprendo alcune chiese armene nel Sud del paese. Non va sottaciuto però che la gran parte dell’opinione pubblica si oppone tenacemente a queste misure.

Fare memoria oggi di quei tragici avvenimenti, ricordare i drammi del passato, non dimenticare i morti innocenti, (come ha coraggiosamente fatto papa Francesco) è un monito illuminante per tutti noi che non vogliamo più che simili crimini si ripetano nella storia.

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