Un “piromane” alla Casa Bianca?

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Quando nel 2016 Donald Trump fu eletto presidente degli Stati Uniti, coloro che l’hanno votato, preferendolo a Hillary Clinton – considerata come rappresentante della conservazione – pensavano di avere scelto una persona dinamica, l’uomo del cambiamento. In realtà quest’uomo, oltre che essere inesperto, si è rivelato un “piromane”, un “seminatore di caos”.

È il severo giudizio della rivista dei gesuiti America in un articolo dell’11 dicembre scorso, a firma di Margot Patterson, la quale scrive: «Io non so se abbiamo mai avuto prima un piromane alla Casa Bianca, uno che appicca il fuoco e si diverte a creare problemi, una persona a cui non si può affidare neanche un fiammifero da portare in casa d’altri e nemmeno in quella propria… Non contento di avere creato una vera e propria crisi sulle armi nucleari con la Corea del Nord, ora sembra deciso di crearne un’altra con l’Iran cancellando l’accordo nucleare».

E, come se non bastasse, «ora ha dichiarato Gerusalemme capitale di Israele. Un fatto del tutto “gratuito”». Infatti, «nessuno, nemmeno Israele, l’aveva chiesto agli Stati Uniti. Ma il signor Trump ha scelto di ignorare i suoi stessi consiglieri e di invertire una politica statunitense di lunga data, inimicandosi i palestinesi e facendo arretrare i suoi stessi sforzi per far rivivere un processo moribondo di pace, finendo col provocare il mondo musulmano e suscitando la condanna della comunità internazionale. Quattordici dei 15 membri del Consiglio di sicurezza dell’ONU – tutti eccetto gli Stati Uniti – hanno denunciato la decisione. La dichiarazione ha acceso proteste e sommosse».

Tutto questo per che cosa? – si domanda Margot Patterson –. Per tener fede a una campagna elettorale? Per soddisfare dei donatori come il miliardario Sheldon Adelson, il magnate pro-Israele vicino a Benjamin Netanyahu, che ha offerto milioni per finanziare l’elezione di Donald Trump? Si dice che Adelson goda dell’ascolto del presidente e sia stato lui a spingerlo a spostare l’ambasciata USA a Gerusalemme».

«Nell’annunciare di voler trasferire l’ambasciata – sottolinea Margot Patterson –, Trump ha insistito nel dire semplicemente di “riconoscere una realtà”. Ma è una realtà che viola la legge internazionale e premia l’occupazione di Israele. È una realtà che Israele sta cercando di creare da 50 anni fondando delle colonie ebraiche in Cisgiordania e a Gerusalemme est, tartassando i palestinesi arabi che vivono nei territori occupati con l’espropriazioni di terreni, demolizione di case e politiche discriminatorie per limitare la crescita della loro popolazione e affrettare la loro partenza dalla Terra Santa».

A che gioco sta giocando Trump?

Alcuni allora si domandano, se l’annuncio fa parte di una lunga partita che l’amministrazione di Trump sta giocando. Non è ancora dato di sapere se c’è una contropartita nel riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, accettando di fatto la posizione di Israele in una delle questioni più delicate nel conflitto israelo-palestinese. E la strategia in atto di cui si parla è che costituisca un appoggio esterno, in cui Arabia Saudita possa cementare la sua incipiente alleanza con Israele – basata sulla reciproca ostilità verso l’Iran –, dettando le condizioni ai palestinesi e offrendo loro una pillola avvelenata di un accordo di pace, in cui essi non avrebbero alcuna possibilità di scelta se non quella di accettare.

Ma – sottolinea Margot Patterson – Gerusalemme ha un ruolo chiave nelle tradizioni religiose degli ebrei, musulmani e cristiani. Per questa ragione le Nazioni Unite volevano che fosse una città internazionale e non hanno mai riconosciuto la dichiarazione unilaterale di sovranità di Israele sulla città né prima del 1967 né dopo. Il giorno prima che il signor Trump facesse il suo annuncio, i rappresentanti della comunità cristiana di Gerusalemme lo supplicarono di non farlo. Anche papa Francesco condannò la decisione dopo che fu resa nota. Se questa va bene agli aderenti alla comunità evangelicale cristiana che fantasticano sulla seconda di Cristo, coloro a cui interessa la pace non possono che essere avviliti e sgomenti.

Ignorando la risoluzione delle Nazioni Unite su Israele e Palestina – conclude Margot Patterson – gli Stati Uniti inviano un messaggio per dire che la forza è l’unico diritto che essi riconoscono e rispettano. È una chiamata alle armi dei palestinesi, un segnale che è inutile guardare alla comunità internazionale per un ricorso e che l’unico modo di fronteggiare la situazione è l’uso della violenza. Ed è un segnale anche agli israeliani, un semaforo verde per prendersi la terra che vogliono senza la paura di doverla mai restituire o sentirsi responsabili delle circostanze con cui l’hanno presa. Alcuni elementi in Israele possono trovare nella loro remissiva acquiescenza all’espansionismo israeliano l’incoraggiamenti a compiere azioni peggiori – l’espulsione o il trasferimento dei palestinesi.

Forse “l’affare definitivo ultimo” in Medio Oriente che Trump promette è evitare o annullare i pericoli del suo riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. O forse l’“affare ultimo” non è affatto un affare, e come con la sua insensata politica con l’Iran, il presidente Trump avrà sconsideratamente agitato le acque senza che sia in vista alcuna buona conclusione…

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