Venezuela: lacerato il tessuto costituzionale

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Il periodo che va dal 1999 al 2013 è stato il momento dello storia del Venezuela nel quale si tenne il maggior numero di elezioni. Nello stesso periodo, il Venezuela è stato il Paese con più consultazioni elettorali in America Latina. Tutto veniva sondato attraverso il voto. Il popolo prendeva parte alle decisioni importanti. Eccetto una, tutte le elezioni sono state vinte dall’allora presidente Hugo Chávez.

Erano questi gli argomenti addotti dal governo per sostenere come fosse evidente che il Venezuela era un paese nel quale si rispettava e promuoveva la democrazia.

costituirsi di una dittatura

Supermercato di Caracas (Foto Reuters/Mariana Bazo)

Il dopo Chávez

Con la notizia della morte dell’allora presidente del Venezuela il 5 marzo 2013 le cose cambiarono. Il 14 aprile del 2013 si tennero le elezioni presidenziali. Il candidato del governo, Nicolás Maduro, venne considerato il vincitore dalla commissione elettorale con un margine inferiore all’1%. Il candidato dell’opposizione chiese la revisione dell’intero procedimento, perché riteneva di possedere prove di frode. Il procedimento non venne mai rivisto.

Nel dicembre del medesimo anno si tennero nuove elezioni per i governatori delle province e, stranamente, il governo vinse. Al termine del 2015, si tennero elezioni parlamentari e la sconfitta del governo fu vistosa. Perse i due terzi dell’Assemblea legislativa.

Per la prima volta, dall’anno 2000, il governo non controllava uno dei poteri dello Stato. Più passava il tempo, più lo scontento popolare si faceva sentire ogni giorno per le strade.

Il 2015 è stato l’anno nel quale si è manifestata l’inefficienza del governo. I generi alimentari cominciarono a sparire da mercati e supermercati. Le medicine si trasformarono in un articolo di lusso, le macchine e i ricambi necessari per mantenerle funzionanti non era disponibili per la vendita.

A fronte della scarsità, prese vita il mercato nero degli alimenti, delle medicine i dei ricambi d’auto. La gente pagava un prodotto fino a 5 volte il suo prezzo.

I segni del malessere

La cattiva gestione del presidente Hugo Chávez, con la sua politica di demolizione dell’impresa privata attraverso l’espropriazione a destinazione sociale, mostrava con chiarezza che il governo aveva fallito. Non solo c’era scarsità di alimenti, ma ancora meno venivano prodotti. Cominciavamo a dipendere per quasi il 100% dalle importazioni.

Il calo del valore del petrolio e politiche economiche più ideologiche che reali resero la situazione insostenibile. Lo scontento della gente era noto; molti erano costretti a dormire all’ingresso dei supermercati o delle farmacie per acquistare prodotti a prezzo controllato e così poter sopravvivere. Molti bambini cominciarono a trascurare la scuola perché dovevano accompagnare i genitori a fare la spesa; si aggiunga che la maggior parte di loro non aveva nulla da portare con sé a scuola per mangiare. Era sorprendente e triste lo spettacolo dei venezuelani che andavano rapidamente dimagrendo. Poco a poco, le persone che maggiormente facevano la fame cominciarono a frugare nella spazzatura in cerca di qualcosa da mangiare.

Con la mancanza del necessario per vivere aumentò la delinquenza. I venezuelani avevano sempre più paura di uscire per strada. Le feste di fine settimana, così frequenti nella cultura del quartiere, cominciarono a sparire. Solo nella città di Caracas morivano centinaia di persone ogni fine settimana.

Il 2016 è stato l’anno più triste. La gente soffriva e litigava per un poco di cibo. La file delle persone ai supermercati e alle farmacie era interminabile, giorno e notte. I bambini giocavano per strada perché non avevano a disposizione una casa.

Molta gente morì per mancanza di medicinali. Io stesso celebrai funerali di persone morte perché non avevano potuto acquistare una comune pastiglia per l’ipertensione. Erano frequenti le situazioni di scontri con la polizia. Non mancavano i furti – da parte di chi doveva garantire l’ordine pubblico – di prodotti che arrivavano al supermercato per essere rivenduti tre volte tanto, se non di più, del loro prezzo normale.

Il potere legislativo

Il potere legislativo, che non era nelle mani del governo, promuoveva leggi allo scopo di evitare che si aggravasse la condizione di fame. Ogni legge approvata dal Parlamento veniva annullata dalla Corte suprema. Fin dall’inizio la Corte suprema ha impedito l’esercizio proprio del legislatore.

Chi è la Corte suprema e come viene eletta? È la più alta istituzione giudiziaria del Paese. L’elezione dei magistrati, secondo la Costituzione, è democratica e pluralista. I candidati vengono presentati dalla società civile, dalle università e dai partiti politici. Devono essere tutti dottori in giurisprudenza. La nomina dei 12 magistrati di questa Corte è compito del Parlamento e richiede la maggioranza qualificata dei componenti l’Assemblea.

La maggioranza dei magistrati vinse nel 2016 perché la nuova Assemblea poteva eleggere la nuova Corte suprema. Senz’altro, prima delle elezioni parlamentari, diversi magistrati vennero costretti a dimettersi prima del tempo. E così fecero. Dato che, in Parlamento, il governo non aveva i numeri sufficienti per nominare i giudici, doveva negoziare le nomine con i partiti dell’opposizione arrivando ad astenersi dal nominare o dal proporre giudici.

Il 6 dicembre 2015 si tengono le elezioni parlamentari e il partito di governo perde, non solo il controllo della maggioranza assoluta, ma anche la maggioranza qualificata dell’Assemblea legislativa. Una simile sconfitta non era nei suoi piani. Il nuovo Parlamento si insedierà il 5 gennaio del 2016. Il 15 dicembre del 2015 hanno inizio le vacanze parlamentari. Il medesimo giorno, l’allora presidente dell’Assemblea parlamentare chiese di votare la costituzione di una commissione che legiferasse durante il periodo delle vacanze. La proposta venne votata e accettata dal momento che il governo controllava anche il Parlamento.

Durante le vacanze, la commissione, passando sopra i deputati e ignorando le procedure di dibattito, nomina i 12 giudici della Corte suprema. Erano tutti espressione del governo. Inoltre, venne approvata una legge che legittimava il presidente per un periodo di alcuni mesi, il che gli consentiva di legiferare senza il Parlamento.

Questa procedura costituì la prima delegittimazione della nuova Assemblea legislativa eletta dal voto popolare. Si deve aggiungere l’annullamento dell’elezione di tre deputati dei partiti d’opposizione, che sottraeva in Parlamento la maggioranza qualificata agli oppositori del governo. Per risolvere la situazione, l’organo elettorale avrebbe dovuto indire nuove elezioni nelle regioni rappresentate da quei deputati per sostituirli o confermarli. Questo non avvenne e il Parlamento, ancora oggi, continua a legiferare in assenza dei tre deputati. Con la maggioranza qualificata il Parlamento avrebbe potuto destituire i giudici della Corte suprema, ma senza di essa aveva le mani legate.

Ogni legge, proposta o iniziativa di legge della nuova Assemblea viene annullata dalla Corte suprema. Ciò significa che l’Assemblea non può adempiere alle proprie funzioni.

La lotta sostenuta dall’Assemblea è stata paziente. Non ha abbandonato il lavoro, continua a legiferare, anche se la Corte dichiara successivamente nulli i suoi atti.

C’è senz’altro un elemento che non dipende dalla Corte né dall’esecutivo. È la titolarità dell’indebitamento esterno. L’esecutivo non può accendere crediti internazionali senza l’approvazione dell’Assemblea legislativa. Qualora lo facesse e ci fosse un Paese disposto a prestare aiuto finanziario, il debito contratto non sarebbe vincolante per i governi successivi. Questa misura ha molto indebolito il governo, che si trova con le mani legate ed è obbligato e negoziare con il Parlamento se non vuole che la crisi alimentare e quella dei medicinali si aggravi.

Il Venezuela dipende per quasi il 100% dalle esportazioni di petrolio. I prezzi del petrolio sono molto bassi; ciò significa che Maduro governa senza disponibilità di liquidità monetaria. A fronte di tale situazione, il governo ha trovato il modo di trasferire le competenze dell’Assemblea al potere del presidente e della Corte suprema. Consistono in questo le sentenze 155 e 156 della Corte suprema del 28 marzo.

Diveniva chiaro al mondo che si trattava di un disconoscimento esplicito dell’Assemblea legislativa, fatto senza precedenti, e di un passaggio di competenze dai deputati a due istituzioni controllate dal governo. Alla sentenza della Corte si deve aggiungere che il presidente potrebbe invalidare le elezioni qualora ritenesse che il Paese si trovi in stato di emergenza. È chiaro che il governo non ha alcuna possibilità di vincere alcuna elezione. Siamo dunque in presenza di quello che tecnicamente si definisce un autogolpe di Stato.

Verso una dittatura?

La sospensione a tempo indeterminato delle elezioni evidenzia l’indisponibilità del governo a misurarsi elettoralmente con chi la pensa diversamente. Nel luglio 2016 si era palesata la possibilità di un referendum che avrebbe potuto delegittimare il presidente. Benché l’opposizione abbia compiuto tutti i passi perché questo avvenisse, il governo e la Commissione elettorale impedirono che questo avvenisse. La ragione era evidente: qualunque elezione in questo momento avrebbe tolto il potere al governo. L’unico modo per restare al potere passa attraverso l’eliminazione delle elezioni e il disconoscimento di qualunque potere che impedisca di esercitare il comando.

Le reazioni internazionali contrarie a quanto sta accadendo nel nostro Paese sono una presa di posizione chiara e un’accusa di lacerazione del tessuto democratico. Brasile, Argentina, Cile, Perù e altri hanno richiamato i propri ambasciatori per chiedere spiegazioni di quanto sta accadendo. I propositi di dialogo promossi dal Vaticano non hanno portato al risultato sperato. Il dialogo richiede tempo e pazienza ma la gente non sopporta più la situazione venutasi a creare.

La sorprendente dichiarazione e ammissione da parte della Corte dei conti della Repubblica che la democrazia si trovava apertamente in pericolo e che le sentenze della Corte suprema costituivano un attentato alla democrazia ha messo in scacco il governo, poiché non solo gli avversari definiscono golpe quanto è successo, ma perfino i sostenitori del chavismo riconoscono che siamo di fronte al costituirsi di una dittatura.

La OEA (Organización de los Estados Americanos) ha richiamato il Venezuela alla Carta democratica. Internazionalmente il governo ha perso molto prestigio, il che renderà sempre più difficile governare stante la situazione di crisi. L’opposizione e l’Assemblea legislativa, forti della dichiarazione della Corte dei conti di lacerazione del tessuto costituzionale, hanno avviato un procedimento di destituzione dei magistrati che, con la loro sentenza, hanno attentato alla democrazia. La situazione si fa sempre più violenta. Intellettuali dell’ambiente universitario non credono che vi sia la possibilità di un passaggio elettorale, perché il governo non permetterà alcuna elezione.

Alcuni di noi credono sia ancora necessario un dialogo alla ricerca di una transizione pacifica. Dialogo non significa abbandono della lotta per i diritti. Il presente è oscuro, nessuno sa cosa accadrà domani. Sembra imminente una deflagrazione sociale e alcuni già evocano la parola guerra civile.

In sintesi, versiamo in condizioni di totale anomia, di disconoscimento reciproco dei poteri, di assenza di dialogo. A soffrire maggiormente sono i poveri per i quali è sempre più difficile sfamarsi e curarsi. Il salario di un operaio in Venezuela non arriva ai tre dollari al giorno e molti sono i disoccupati.

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