La sfida religiosa della Lega

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comizio

Molti cattolici si indignano quando qualche esponente della Chiesa mette in dubbio la legittimità, dal punto di vista evangelico, dell’adesione alla Lega, sia perché vedono in essa un baluardo per la difesa dei valori morali e religiosi (la famiglia, il crocifisso…) contro il laicismo e contro l’Islam, sia perché – fanno notare – non spetta alla gerarchia ecclesiastica valutare le scelte politiche dei partiti e dei loro sostenitori («Date a Cesare quel che è di Cesare…»).

C’è stato anzi chi ha apprezzato, considerandolo un ritorno alla dimensione cristiana della politica, il fatto che Matteo Salvini, nel comizio di chiusura a Milano, prima delle passate elezioni, abbia giurato sul vangelo e anche in seguito abbia spesso utilizzato simboli religiosi, come il rosario, nelle sue apparizioni pubbliche.

Autonomia della politica e fede

È forse il caso di fare però, a questo proposito, qualche considerazione. Il richiamo all’autonomia della sfera politica è di per sé corretto. Chi vota per la Lega ha il diritto di far valere una serie di ragioni che hanno a che fare con l’interesse generale del nostro Paese e che come tali devono essere discusse e valutate.

Tuttavia, non si può negare che proprio l’appello alla fede – e a quella cristiana in particolare –, da parte del leader leghista, crea una situazione diversa da quella in cui si sono trovati e si trovano altri partiti.

Quando il PD sostiene tesi contrarie alla visione della Chiesa in materia di aborto o di famiglia, non nasconde di essere in rotta di collisione con il punto di vista dei cattolici. Renzi non ha mai esibito vangelo e rosario per avallare la sua linea. Salvini sì. E questo lo costringe a presentare la sua non solo come una scelta politica, ma come una interpretazione del vangelo, più valida, a suo avviso, di quella dello stesso magistero.

Date a Cesare quel che è di Dio: ortodossia e consenso

A questo punto, non si può più invocare l’autonomia che spetta alla sfera temporale, perché non è Dio che minaccia Cesare, ma è Cesare che si arroga il diritto di rappresentare il punto di vista anche di Dio.

Il problema è che il leader della Lega, però, non può appellarsi a quella investitura dall’alto che a vescovi e sacerdoti deriva dalla struttura gerarchica della Chiesa.

Nessuno lo ha consacrato, legittimandone l’autorità. Perciò egli è obbligato a fondare la sua pretesa di «ortodossia» sul consenso popolare, ponendolo in alternativa a quello del magistero ecclesiastico.

La fine delle mediazioni

Emblematico il messaggio postato da Salvini il 23 dicembre sulla sua pagina personale di Facebook: «Io credo che ci sia qualcuno lassù, che ci guarda. Sono convinto che dopo la vita ci sia un’altra vita, altrimenti tutto avrebbe meno senso. Ma attenzione, questo non corrisponde alle gerarchie ecclesiastiche. Anzi mando un enorme augurio, un enorme abbraccio, a tutte le donne e gli uomini di chiesa che mi scrivono, mi mandano messaggi, mi mandano Whatsapp, mi fanno post su Facebook dicendo “Matteo tieni duro”. Perché le parole di qualche vescovone, o di Famiglia cristiana o del quotidiano dei vescovi, non rappresentano l’animo dei cristiani e dei cattolici».

Dove, oltre all’estrema povertà di questa professione di fede, che svuota il vangelo del suo centro, Cristo (per questo, forse, mancano anche i fratelli), è evidente la pretesa di scavalcare la gerarchia ecclesiastica e i suoi organi ricollegandosi senza mediazioni, alla «base». È la logica del populismo, applicato alla vita ecclesiale.

Una tradizione tutta leghista

In realtà, basta essere un po’ meno smemorati per rendersi conto che in questo l’attuale leader della Lega è esattamente sulla linea dei suoi predecessori.

A differenza di altri partiti, infatti, fin dal suo sorgere essa ha ritenuto di potersi appellare direttamente ai cattolici per delegittimare le gerarchie ecclesiastiche, ogni volta che esse si contrapponevano ai suoi disegni politici.

In un libro del 1992 intitolato Il vento del Nord, Umberto Bossi scriveva: «State bene attenti, signori del Vaticano, perché (…) noi potremmo suggerire a tanti cittadini del Nord Italia di non guardare più a Roma, nemmeno per la religione, ma di guardare alla vicina Germania, alla Svizzera, ai civilissimi Paesi protestanti che credono in Dio ed in Gesù Cristo ma non riconoscono l’autorità del papato».

Dove, contraddittoriamente, da un lato di chiede che «i preti stiano nelle loro Chiese, facciano le loro prediche (…) ma lascino stare la politica» (ivi), dall’altro però si minaccia uno scisma religioso.

Su questa linea, nel 1997, a difesa del separatismo padano, il capo della Lega dichiarava, con il consueto garbo, riferendosi a Giovanni Paolo II: «Il papa polacco (…) ha investito nella politica dimenticando il suo magistero di spiritualità e di evangelizzazione (…). I vescovoni sono stati arruolati nell’esercito di Franceschiello, l’esercito del partito-Stato (…). Come già accade nel bergamasco, i fedeli andranno in parrocchia con il fazzoletto verde e si alzeranno se solo sentiranno pronunciare certi sermoni» (Corriere della Sera, 17 agosto 1997).

Avete riconosciuto tutti la parola «vescovoni», che ritorna oggi nel discorso di Salvini. Come ritornano le irrisioni e le minacce al pontefice di turno.

E a questa linea si è ispirata la martellante polemica dell’allora Lega nord prima contro il cardinale Carlo Maria Martini, nei cui confronti fu preannunciata una raccolta di firme allo scopo di cacciarlo da Milano, e poi contro il suo successore, Dionigi Tettamanzi.

Il punto di rottura: ama il tuo prossimo / ama il tuo simile

Identico, allora e oggi, è il punto cruciale di discrepanza tra la posizione della Lega e quello della Chiesa istituzionale: l’universalità dell’amore del prossimo.

«Il Vangelo dice: “Ama il tuo prossimo”. Sbaglia. “Ama il tuo prossimo più prossimo” dovrebbe dire. Perché il vero “prossimo” è chi ci è vicino, chi ci assomiglia, chi ha in comune con noi dei valori, non il primo che passa per la strada. Questo è il nuovo Vangelo della Lega» (Roberto Zaffini, coordinatore leghista di Fano).

Così, completava l’eurodeputato leghista Borghezio, è «solo nell’ambito di questa ben delineata categoria di “prossimità” che deve intendersi il precetto dell’amore fraterno. Di conseguenza, per quanto mi riguarda, non è estendibile al vù cumprà o al vù lavà, certamente prossimi di molte altre persone, ma non del sottoscritto. Grazie a Dio».

Non abbiamo difficoltà a riconoscere il «prima gli italiani» dell’attuale leader della Lega e, soprattutto, il tono sprezzante nei confronti degli stranieri.

La posizione degli ultraconservatori cristiani

Altro punto di contatto tra la Lega di ieri e quella di oggi è la vicinanza a posizioni fortemente conservatrici all’interno della comunità ecclesiale.

Non per nulla è stato il sacerdote lefebvriano don Floriano Abrahamovicz ad essere chiamato nel febbraio 2007 per benedire il cosiddetto Parlamento del Nord a Vicenza. Così come oggi sono spesso vicini alla Lega i cattolici che vedono in papa Francesco un pericoloso picconatore della Chiesa, sulla scia di Lutero.

Cadendo però nella contraddizione di seguire proprio loro, in questo modo, il criterio luterano del «libero esame», quando antepongono il loro giudizio a quello della gerarchia…

La Lega: una visione della vita, non solo scelte politiche

Bisogna prendere atto che la sfida della Lega, ieri come oggi, non è solo politica, ma religiosa. Già riferendosi al partito di Bossi, uno studioso ha potuto dire che «la Lega Nord è un movimento totalizzante (…). È portatrice di una visione globale e organica, chiara nei suoi aspetti fondamentali, anche se mai compiutamente definita» (Bertezzolo).

Esattamente la stessa cosa che notava in una recente intervista un acuto osservatore, Alberto Melloni, riferendosi a Salvini: «Lui non vuole solo i voti dei cattolici. Certe volte sembra quasi che lui voglia le anime».

Non sono in gioco, dunque, come molti oggi pensano, solo contingenti questioni politiche, su cui la Chiesa non ha alcun diritto di intervenire. Si tratta di scegliere tra due versioni del vangelo. Una è quella dei loro vescovi e del papa, l’altra quella della Lega.

Naturalmente ci sono molti che alle elezioni la votano perché, come si diceva all’inizio, ne condividono le posizioni tattiche o strategiche, senza rendersi conto delle implicazioni ideologiche e religiose della loro scelta. Ciò non toglie che esse producano, comunque, i loro effetti nella vita del nostro Paese. Così come rischiano di produrne, di ancora più devastanti, nella comunità cristiana.

Giuseppe Savagnone è direttore dell’Ufficio per la pastorale della cultura dell’arcidiocesi di Palermo, scrittore ed editorialista. Il post è stato pubblicato nella sua rubrica «I chiaroscuri», ospitata sul sito www.tuttavia.eu, lo scorso 28 dicembre 2018.

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4 Commenti

  1. Andrea Zincone 1 gennaio 2019
  2. Nino 31 dicembre 2018
    • Angela 1 gennaio 2019
  3. Angela 31 dicembre 2018

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