Nota a Poli: Maschio o fascista?

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Spettabile SettimanaNews,

ho letto con vivo interesse l’intervista di Marcello Matté allo psicologo Osvaldo Poli dal titolo Il maschio sotto scacco. La prima impressione che ne ho ricavato – mi si perdoni la schiettezza – è stata quella di un certo “fascismo teologico”. Il mio pensiero è andato al saggio di Umberto Eco sul fascismo eterno (è un testo reperibile in rete). Nell’intervista al prof. Poli ho percepito delle assonanze di fondo con lo scritto di Eco. In quel libro, infatti, il fascismo viene tratteggiato con alcune peculiari caratteristiche: enfasi della tradizione, rifiuto di alcuni aspetti salienti del mondo moderno, pacifismo come collusione con il nemico, un certo machismo che implica disdegno per le donne, la cultura che è sospetta nella misura in cui è identificata con atteggiamenti critici e perciò pericolosi…

Sono due gli aspetti che riprendo dall’intervista e che mi trovano in totale dissenso.

1) Il primo è la sottolineatura nel maschile di quel “quid” che ne delinea una precisa specificità ontologica.

Il prof. Poli attribuisce alla mascolinità caratteristiche quantomeno singolari, tipo «quella istintiva comprensione dell’amore e del bene dei figli, e della società in generale, che per grazia e natura è propria dei maschi». Accidenti! La storia non sembra proprio confermare un tale assioma!

Un’altra affermazione mi ha lasciato stupita: «La maschilità esemplare è eroica, intrepida, sfida la paura e le difficoltà». Dobbiamo dedurne che la femminilità è, invece, “fifona, codarda e soccombente dinnanzi alle avversità”? Gli studi di genere – pensiamo alle belle pagine scritte da una fine teologa quale Selene Zorzi – stanno aprendo nuovi orizzonti al sapere umano circa il rapporto tra dimensione biologica e dimensione culturale: maschi si nasce, uomini si diventa. Idem per le donne.

Le aspettative sociali e gli stereotipi culturali condizionano pesantemente il maschile e il femminile, per cui mi chiedo: di quale maschile parla il prof. Poli? Di quello che vede passare nel suo studio o di quello dello sperduto villaggio nello Yemen? Se la risposta è scontata, allora più cauta dev’essere l’elevazione di “quel” maschile al rango di universale.

2) Il secondo punto tocca il riferimento alla teologia. Perché, ad un certo punto, il prof. Poli indossa decisamente le vesti del teologo laddove sostiene che il cristianesimo è la religione del Padre. Ecco le sue precise parole: «Il modo di amare di Dio [nella Bibbia] appare sostanzialmente maschile». Qui francamente mi sento in imbarazzo perché mi sembrano tesi ampiamente superate (cf. In memoria di lei di E. Schussler Fiorenza). e anche fuori dal contesto evangelico. La concezione maschilista – secondo il prof, Poli – si dissocia da «una concezione della misericordia svirilizzata, non solo infinita come di fatto, ma pure incondizionata…». A me sembra invece che, per ottenere l’amore del Dio, Gesù non presenti un tariffario meritocratico.

La conclusione la trovo disarmante: «L’egualitarismo che non rispetta le differenze tradisce le aspettative anche delle donne che spesso avvertono il desiderio di “essere guidate” (…) La loro capacità di seguire è data a ragion veduta, non è riconducibile a un senso di inferiorità psicologico, e ha come presupposto la sua ammirazione per la forza amorosa del maschio verso il bene, il bello, il giusto. Non possono seguire un maschio che non stimano, di cui non possono apprezzare la solidità delle convinzioni, la forza del pensiero, la capacità di sacrificarsi per i suoi valori. Insomma, per la forza della sua fede». Prima di tutto trovo troppo comoda l’oscillazione tra i binomi maschile/femminile e uomo/donna, perché genera per lo meno ambiguità). Se i maschi amano quei valori, noi donne, a che cosa siamo propense: al male, al brutto e all’ingiusto?

E poi, un’ultima domanda vorrei rivolgere al prof. Poli: se le donne non seguono un maschio che non stimano…, i maschi invece possono seguire una donna che non stimano? A questo punto, forse, il viril pensiero sosterrebbe di sì (anzi no, perché i maschi non seguono, bensì conducono…). Lascio alla fantasia di ciascuno trovare le motivazioni.

Per concludere, capisco e condivido l’esigenza di riconfigurare il maschile, ma questo deve avvenire decodificando gli stereotipi e accogliendo le sollecitazioni dei “segni dei tempi”. In questo senso, vale la pena soffermarci a considerare come Gesù, detto il Cristo, ha vissuto la sua maschilità: nella mitezza contro il cliché della forza, nella libertà verso il mondo femminile contro ogni consuetudine di separazione e sottomissione, nella fecondità spirituale che supera l’obbligo di quella biologica, nella ricerca di relazioni fondate sulla parità (vi ho chiamato amici) anziché sul dominio o sulla paternità.

Spero di essere stata comprensibile.

Ringraziando per l’ospitalità.

Licia Bertocchi. Bologna

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Un commento

  1. PAOLA CAVALLARI 6 febbraio 2017

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