Signor presidente, sulla prostituzione mi ascolti

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La Terza Sezione penale della Corte di Appello di Bari, con ordinanza del 6 febbraio 2018, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge 20 febbraio 1958 n. 75 (c.d. Legge Merlin), laddove configura come illecito penale il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione, volontariamente e consapevolmente esercitata. La vicenda processuale a base dell’ordinanza è ampiamente nota, perché coinvolgente l’ex Primo Ministro, Silvio Berlusconi.

Il clamore mediatico che ha accompagnato la cronaca degli eventi oggetto di giudizio ha contribuito a segnare la sorte del Governo Berlusconi nel 2011 e, dunque, la storia del nostro paese. Il contesto è quello di “cene particolari” a cui partecipavano giovani donne dedite alla prostituzione, reclutate, secondo l’impostazione accusatoria, proprio per essere messe a disposizione del Presidente Berlusconi.

I reclutatori sono stati condannati in primo grado dal Tribunale di Bari in ordine al delitto di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di un numero indeterminati di delitti relativi al reclutamento di donne al fine di far loro esercitare la prostituzione con Silvio Berlusconi in occasione di incontri organizzati presso le sue residenze.

La locale Corte d’Appello, accogliendo l’invito dei difensori degli imputati, ha sospeso il procedimento penale a loro carico, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della “legge Merlin” nella parte in cui punisce il reclutamento e il favoreggiamento della c.d. “prostituzione libera”, dando ad intendere che essa potrebbe essere considerata alla stregua di qualsiasi attività ed espressione del diritto alla libertà sessuale. Ospitiamo una lettera inviata nei giorni scorsi al Presidente della Corte Costituzionale, dr. Giorgio Lattanzi.

Egregio Presidente,

a seguito della questione di legittimità costituzionale sollevata il 6 febbraio 2018 dalla Corte di Appello di Bari, nei prossimi mesi la Corte da lei presieduta sarà chiamata a stabilire se il reclutamento e il favoreggiamento della c.d. “prostituzione volontaria, consapevole e professionale” sia in contrasto con il diritto alla libertà sessuale e alla libera iniziativa economica, nonché con il principio di offensività e tassatività delle norme penali (articoli 2,3,13, 25-comma 2, 27 e 41 della Costituzione).

Con rispetto e schiettezza desidero, con la presente, esplicitarle alcuni convincimenti che, relativamente al tema del complesso fenomeno della prostituzione disciplinato nel nostro Paese dalla legge 20 febbraio 1958 n. 75, ho maturato dopo oltre vent’anni di impegno per contribuire ad attuare, in una provincia del Nord Italia, progetti finalizzati a sostenere le donne che si sottraggono alla violenza e ai condizionamenti di organizzazioni criminali dedite allo sfruttamento della prostituzione, in attuazione dell’articolo 18 del Decreto Legislativo 25 luglio 1998 n. 286.

La prostituzione libera e la prostituzione forzata sono attualmente fenomeni indissolubilmente legati al genere, coinvolgendo donne e ragazze che vendono i loro corpi, volontariamente o sotto coercizione, a uomini che pagano il servizio offerto. La prostituzione al 90% è femminile, mentre al 95% i clienti sono maschi. Il sistema della sessualità mercificata è, pertanto, ulteriore causa e conseguenza di una grave e persistente disparità di genere (già minata da disparità economiche e culturali nonché priva di una tutela effettiva ed efficace), perpetuando l’idea che il corpo della donna debba essere immolato sull’altare dei “bisogni incontenibili” dei maschi o considerato alla stregua di una palestra della loro virilità. L’autodeterminazione nella sfera sessuale è un diritto umano; ma non lo è la mercificazione del sesso.

La prostituzione è una forma di violenza nei confronti della donna. L’ambiente nel quale viene esercitata è anche il luogo dove le donne sono maggiormente esposte al sessismo, agli insulti, alle perversioni, alle pratiche sessuali atipiche, alle brutalità, alle umiliazioni, agli stupri e anche alle morti. La ripetizione di atti sessuali non desiderati, ma praticati per bisogno di denaro, costituisce di per sé una forma di violenza sessuale. Numerose ricerche sugli acquirenti di prestazioni sessuali dimostrano che questi ultimi delle donne hanno per lo più un’immagine degradante.

Che la si eserciti in locali di lusso o per strada, la prostituzione è incompatibile con la dignità e il valore della persona umana. Essa viola il principio kantiano di umanità, perché riflette un’attitudine irrispettosa, espressa nell’uso disinvolto del corpo umano come mero mezzo per raggiungere un fine. La vendita della propria sessualità favorisce una cultura di sottomissione della donna e di svilimento della sua dignità. In quanto tale, non può essere considerata alla stregua di una privata iniziativa economica la quale, per essere legittima, non può svolgersi in modo da recare danno alla dignità umana.

Ancorché siano fenomeni distinti, la tratta degli esseri umani e la prostituzione sono fenomeni strettamente legati. La tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale può condurre ad una situazione di schiavitù per le vittime. Le donne che noi definiamo prostitute/prostituite sono nella grande maggioranza vittime della tratta rese schiave dalla propria vulnerabilità. Giustificare il libero esercizio della prostituzione, distinguendolo dalle forme di asservimento della stessa all’altrui potere organizzativo, favorisce di fatto la tratta. La criminalità organizzata, la tratta di esseri umani e la corruzione prosperano all’ombra della prostituzione e qualsiasi tipo di equiparazione di essa ad attività lavorativa lecita va a beneficio di soggetti pronti a trasformarsi in “imprenditori” del sesso mercificato.

Nella scelta c.d. “libera” di prostituirsi di una persona sono sempre presenti, se non condotte sottilmente costrittive realizzate da questo o da quel soggetto, fattori costrittivi nonché condizioni costrittive che inducono ad una tale scelta: miseria, degrado sociale, dipendenza, impostazione patriarcale della società e squilibrio della distribuzione delle risorse economiche tra uomini e donne. Cioè, condizioni di minorità. Se così è, allora siamo in presenza non di una libertà ma di una situazione di fatto che impedisce il pieno sviluppo della persona umana e che tutti dobbiamo sentirci impegnati a rimuovere.

La sessualità è una delle essenziali modalità di espressione e di sviluppo della persona umana. Il benessere sessuale richiede un approccio positivo e rispettoso alla sessualità e alle relazioni sessuali, come pure la possibilità di fare esperienze sessuali piacevoli, condivise e sicure, libere da coercizione, discriminazione e violenza. La prostituzione riduce tutti gli atti più intimi al loro valore monetario e svilisce il fondamentale diritto alla libertà sessuale da componente fondamentale dell’esperienza di vita a luogo comune di mercato. Chi ha i soldi compra quello che vuole da chi non ha null’altro da offrire sul mercato che il proprio corpo.

La prostituzione è un asservimento arcaico della donna che va superato perché vi è una totale asimmetria tra il cliente che cerca di soddisfare, di tanto in tanto, il suo piacere, e la persona che deve subire disgustose relazioni sessuali in serie, nel disprezzo della sua sensibilità e del suo desiderio. Continua ad essere vero e di straordinaria attualità quanto scriveva Victor Hugo ne I miserabili: «Si dice che la schiavitù sia scomparsa dalla civiltà europea. È un errore. Essa esiste ancora, ma grava soltanto sulla donna e si chiama prostituzione» (Victor Hugo, I miserabili, Fantine, I, V,11).

Con la legge 20 febbraio 1958 n. 75, recante “Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui”, il nostro Paese ha inteso riconnettere un elevato grado di disvalore alla prostituzione, sanzionandone favoreggiamento e sfruttamento. A sessant’anni dalla sua entrata in vigore, l’esigenza che molti cittadini (uomini e donne) avvertono è nel senso che essa dovrebbe essere aggiornata, chiamando finalmente in causa l’acquirente di prestazioni sessuali.

È giunto forse il tempo di prendere seriamente in considerazione, anche in Italia, la risoluzione del Parlamento Europeo del 26 febbraio 2014 che, nell’affrontare la questione della prostituzione in una visione a lungo termine e in una prospettiva di autentica parità di genere, esorta gli Stati membri ad adottare il c.d. “modello nordico” che vieta e criminalizza l’acquisto di servizi sessuali, quale misura per scoraggiare la domanda e contribuire a modificare radicalmente lo sguardo dell’intera società non sul “mestiere più antico del mondo” ma su quella che dovrebbe piuttosto essere considerata “la più antica forma di sfruttamento della donna”. Senza uomini che si arrogano il diritto di comprare il corpo delle donne e di usarlo per il proprio piacere non ci sarebbe prostituzione.

Con la speranza che la Corte Costituzionale, nel decidere la questione, voglia tenere in considerazione anche le considerazione qui esplicitate, la ringrazio e la ossequio. (10 aprile 2018)

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Un commento

  1. Francostars 15 aprile 2018

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