Un farmaco, un caso e la polemica “a prescindere”

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La polemica innescata dalla prescrittibilità della terapia a base di triptorelina evidenzia che il mondo cattolico deve affrontare diversi problemi. Il dibattito è stato sintetizzato (in modo approssimativo) dal Corriere della sera (qui).

Il problema è assai complesso. L’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), su richiesta delle principali società scientifiche italiane, ha stabilito l’estensione della prescrittibilità e rimborsabilità di un farmaco utilizzato per il trattamento della disforia di genere negli adolescenti.

Si chiama triptorelina, ed è una molecola in grado di agire sul sistema endocrino e sospendere così l’arrivo della pubertà. Il suo utilizzo è motivato dalla necessità di concedere qualche anno in più ai ragazzi che non si riconoscono nel fenotipo sessuale con cui sono nati, per permettere di riflettere con più calma sul da farsi e, al contempo, mitigare l’impatto psicologico, spesso devastante, che ha per loro lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, seguendo una terapia che gli specialisti valutano con estrema attenzione, nell’ambito di un percorso lungo e meditato, che prevede un’équipe multidisciplinare e il coinvolgimento (attivo e obbligatorio) dei genitori, prima di riconoscere l’utilità di un intervento farmacologico.

Queste le evidenze scientifiche di fronte alle quali si è aperta una polemica con settori del mondo cattolico secondo i quali si tratta di un farmaco per “cambiare sesso”, per di più prescrivibile dal Servizio sanitario nazionale!

Contro l’Accademia per la vita

In realtà, occorre sottolineare la vivacità polemica dei settori intransigenti del mondo cattolico, scatenata – è il caso di dirlo – dall’intervista alla prof.ssa Laura Palazzani a VaticanNews e soprattutto da questo passaggio:

«Il Comitato nazionale per la bioetica (CNB) ha trattato il tema sul piano etico, a seguito di una richiesta di AIFA, che già da tempo aveva autorizzato il farmaco. Il CNB, organismo pluralistico, pur partendo da visioni etiche diverse, ha concordato alcune raccomandazioni per AIFA. Nella consapevolezza della gravità della questione e della scarsità di letteratura scientifica disponibile, ha suggerito di consentire l’uso di questo farmaco solo in casi molto circoscritti, con prudenza, con una valutazione caso per caso. Quando si è in presenza di una profonda sofferenza dei ragazzi con psicopatologie psichiatriche e che giungono al rischio di comportamenti autolesionistici o a tentare il suicidio, e sempre sotto un vigile monitoraggio di un’équipe plurispecialistica, composta da endocrinologi, psichiatri dell’età evolutiva, psicologi oltre che eticisti ed esperti del problema. Il trattamento dev’essere somministrato solo per un breve periodo di tempo, al fine di superare eventuali gravi rischi e trovare le forme più opportune di accompagnamento del minore».

Apriti cielo!

Via twitter ne è scaturito un concerto di commenti polemici: non contro la prof.ssa Palazzani in quanto vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica ma contro la Pontificia accademia per la vita di cui la prof.ssa è membro corrispondente. Ecco di nuovo la prova provata che l’Accademia lotta per la morte e non per la vita; come se fosse la Pontificia accademia ad avere introdotto il farmaco nel prontuario italiano!

I commenti (in crescita) sono del tenore: «Il Vaticano si inchina all’ideologia gender (qui) e afferma che sia la persona, caso per caso, a scegliere a quale sesso appartenere. Si rinnega così pubblicamente la parola di Dio: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» [Gn. 1,27]» – almeno nel caso dei commenti discutibili ma articolati.

Quelli scomposti vanno sul genere: «Eh, certo, valutiamo tutto caso per caso!!! Verrà un giorno il giudizio di Dio creatore (maschio e femmina li creò!) caso per caso!!!»; oppure: «Vergogna! Vergogna! Vergogna! Cada l’onta su di voi! Spero che davanti a tanta pervicacia, Iddio sappia essere il giudice giusto che meritate!». O anche: «Così cominciano tutte le peggiori porcate. L’eutanasia solo in casi rigorosamente circoscritti… basta con i cristiani che in politica mettono i paletti, ci vogliono muri invalicabili»; o ancora: «Siamo diventati la Chiesa dei Pannella e della Bonino».

Poi ci sono gli insulti. E a nulla vale una puntualizzazione “ermeneutica” (qui).

Risposte coordinate

Che fare? Prima di rispondere, ancora un’osservazione: la violenza verbale proviene da persone (in qualche caso vere), da falsi profili (in molti casi) che contano da poche decine di followers a varie migliaia. Difficile distinguere i profili veri dai falsi e la reale portata delle critiche. Però è evidente che si tratta di una campagna orchestrata, dietro la quale ci sono giornali dal profilo conservatore ai quali probabilmente del mondo cattolico nulla importa ma solo cavalcare una situazione per trarre pubblicità e vendite.

Per la Pontificia accademia per la vita non è la prima volta che si trova esposta a tali sconsiderati attacchi. Emerge l’impossibilità di discutere con tali interlocutori, soprattutto perché esprimere una posizione seria in 280 caratteri è piuttosto difficile; meglio insultare, si fa prima.

Inoltre, la mancanza di una strategia coordinata della Santa Sede su questa tematica (come su tante altre) si fa sentire assai. Ma soprattutto occorre notare l’aspetto intimidatorio della violenza via social: si vuole bloccare un legittimo dibattito, si cerca di cristallizzare le tematiche della vita su poche categorie immutabili (cosa c’è di immutabile nel mondo?). In definitiva, si intende condizionare il dibattito ecclesiale da parte di persone e/o istituzioni marginali e che nulla hanno a che vedere con la Chiesa.

La deriva è seria. Sarebbe necessaria una riflessione inter-ecclesiale altrettanto seria. E qualche modalità di intervento coordinato.

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2 Commenti

  1. Angela 12 marzo 2019
  2. Angela 12 marzo 2019

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