Alla scuola delle beatitudini

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Il coraggio di essere felici

Alcuni libretti sono pietre che scuotono e inquietano. Altri, che pure intendono destarci con forza, hanno una funzione terapeutica e aiutano a guarire dalle ferite infette dalle false immagini di umanità che ci siamo costruiti. Immagini problematiche veicolate anche dalle Chiese. Quando la fede mette in secondo piano la felicità, fino a posticiparla oltre la vita umana; quando il paradiso diventa il premio consolatorio per chi soffre e accoglie con rassegnazione la sofferenza e la povertà; che immagine di Dio stiamo annunciando e, di conseguenza, che volto di umanità ci abita?

Riscoprire le beatitudini, quel canto che chiama alla felicità tutti coloro che non si rassegnano alla ferocia della realtà e resistono con uno stile di vita diverso da quello gridato dai megafoni di questo mondo, significa osare parlare di speranza, di cambiamento e di libertà.

Ma per far questo non basta ritornare sul monte delle beatitudini e ascoltare nuovamente quella Parola antica che Gesù ci ha consegnato come manifesto programmatico del suo progetto di umanità. Occorre anche che qualcuno ci aiuti a ripulire quella parola dalle tante impronte che l’hanno sporcata, fino a stravolgerla, facendola diventare il manifesto di una morale da schiavi: «Sei povero? Soffri? Sei perseguitato? Accetta quanto ti accade, perché attraverso la sofferenza ti guadagnerai il paradiso…».

Le donne, in modo particolare, conoscono questo tipo di predicazione «doloristica», che le ha rese arrendevoli e sottomesse, rassegnate alle violenze domestiche subite. Parole che intendevano liberare e promuovere, si sono rivelate armi che feriscono e spingono ad allontanarsi da una fede che fa male.

Ma Dio non è così! Non è questo il messaggio delle beatitudini! Piuttosto, è la sua parodia. Accompagnati per mano da una guida brava e sapiente, come quella di Battista Borsato, un uomo che ha dedicato parte della sua vita ad aiutare le coppie a scoprire la bellezza della vocazione sponsale, possiamo ritrovare la freschezza delle parole di Gesù, capaci di parlare a una folla affamata di giustizia e assetata di felicità. Parole che vengono da lontano e che possiamo udire, finalmente, reinserite nella loro intenzione originaria.

Questo è un libro che desidera restituire a tutti noi una buona notizia e che vuole sanare una cattiva immagine di Dio. Anche perché, dietro le immagini sbagliate di Dio, prende forma un’immagine sbagliata di umanità e si propongono modelli problematici di relazioni umane e di coppia.

Sulle pianure delle nostre esistenze, nella piattezza dei nostri vissuti, si ergono delle montagne, dove vengono proclamate parole che interpellano la nostra vita. Si può essere felici? E come? Esiste una felicità capace di uscire dalla sfera individuale per diventare progetto collettivo, politico per generare un mondo nuovo? E cosa vuol dire essere felici? Che cosa ha da dire la fede al riguardo? Poiché non è proprio vero che, oggi, la religione gioca un ruolo irrilevante; anzi, assistiamo a una rivincita del sacro. E insieme a esso, a una sua interpretazione che prende le distanze dalle derive

precedenti. Come quella che ha visto nella parola biblica un invito alla sopportazione, alla rassegnazione. Ma, dopo aver allontanato come improponibile una predicazione «dolorista» del cristianesimo, non rischiamo di giocare al ribasso, offrendo parole consolatorie, che si accontentano di rassicurare e cullare?

Nel piattume dell’esistenza odierna, le beatitudini non offrono facili consolazioni. È come se, per ascoltarle, fossimo invitati a salire, ad alzare lo sguardo, a lasciare che quell’altura trasformi il panorama piatto delle nostre vite in percorsi articolati, a più ampio respiro. Un invito ad alzare il tiro per non accontentarsi di lasciarsi vivere.

Parola alta, quella che chiama «beati» coloro che la società chiama «sfortunati»; ma non utopica, irrealizzabile. Parola scomoda e difficile; e tuttavia, parola che preserva la forza del linguaggio sapienziale, che propone un percorso di vita, un progetto concreto per essere felici. Il linguaggio sapienziale non è mai utopico, né troppo alto, così che tu possa ritenere impossibile quanto esso suggerisce. Non è una parola rivolta ai martiri, ai santi… Anzi, è parola laica, universale.

Non è beato chi è religioso, ma chi è povero e mite, chi non è cinico, chi si adopera per la pace, chi ricerca giustizia. Nessun riferimento a una specifica appartenenza ideologica o religiosa. Una parola che non è confinata nei muri delle sagrestie, nei santuari separati dalla vita di tutti i giorni. E per tutti: uomini e donne. Anche in questo nostro tempo così poco incline a puntare in alto.

I forti vengono derisi, i prepotenti abbassati, i santi restituiti all’ordinario della vita. Dio si prende cura di una comunità più vasta di quella rinchiusa nelle nostre chiese: una comunità che abbraccia ogni creatura e mette al centro i poveri e gli afflitti. Ma la povertà, l’inedia e l’afflizione non sono virtù, vie privilegiate per entrare più facilmente in paradiso (e quante volte l’autore deve ripeterlo perché ci entri nel cuore!). Gesù non ama la povertà, non ci chiama a ricercarla come via ascetica per accedere al divino. Ci invita invece a farci carico dei poveri, a prenderci cura dei più deboli per arrivare insieme alla felicità. Poiché non si può essere felici da soli, ma solo insieme! Battista Borsato evidenzia felicemente come le beatitudini siano parola plurale, rivolta non al singolo, a un «tu», ma a un «voi». E questo, quando amiamo, lo intuiamo facilmente. Ci interessa davvero una salvezza che ci separi da coloro che amiamo, dai nostri familiari e dai nostri amici? Possiamo essere felici da soli, senza l’uomo o la donna che amiamo? Senza i nostri figli, i nostri cari? La felicità è collettiva, come del resto la salvezza annunciata dalle Scritture.

Di questa parola sapienziale abbiamo particolarmente bisogno, oggi, in un momento storico in cui l’esperimento-vita rischia di essere rattrappito entro i limiti del pensiero strumentale, preoccupato di risolvere in fretta i problemi, di far funzionare la vita, senza più nutrire il sogno di una felicità che non si possa comprare.

Le beatitudini hanno la forza di far sorgere il sospetto che la vita umana possa essere differente da come ci viene mostrata. Che l’umanità possa puntare più in alto. Che la fede possa essere un cantiere di felicità. Avviciniamoci di nuovo al monte da cui Gesù di Nazaret ha osato cantare quel ritornello che abbiamo dimenticato. Riascoltiamo quelle parole di sapienza, lasciandoci guidare dalla mano sicura e sferzante dell’autore. Troveremo acqua viva per i nostri deserti; fuoco di passione.

Il testo costituisce la prefazione al volume di Battista Borsato, Il coraggio di essere felici. Beatitudini per il nostro tempo, EDB, Bologna 2018.

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