Blanchard: accostarsi alla “Rivelazione”

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copertinaMembro del gruppo di Dombes e docente emerito di esegesi del NT al Theologicum dell’Institut Catholique di Parigi, Blanchard ha all’attivo vari studi sul libro dell’Apocalisse e in questo volume (traduzione del n. 170 dei prestigiosi Cahiers Évangile, edito nel 2014 da Cerf) traccia una sintetica ed efficace introduzione a uno dei libri biblici più belli e intriganti, ma spesso poco letto e ancor peggio interpretato.

Il libro dell’Apocalisse è la rivelazione che i destinatori divini (Dio, il Figlio e l’angelo interpres), tramite il profeta «Giovanni», forniscono ai destinatari, gli uomini di tutti i tempi, in un periodo di crisi coinvolgente l’Asia Minore alla fine del I sec.

Sotto Domiziano (81-96 d.C.), probabilmente verso il 95 d.C., un membro della cerchia giovannea gravitante su Efeso ascrive all’apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo – il discepolo amato – questo scritto. Intende così fornirlo, tramite la pratica molto consueta e valutata positivamente della pseudepigrafia, di un peso autoritativo di grande spessore.

Nella persecuzione, l’Apocalisse, come altri scritti simili coevi, intende consolare e – nella particolare connotazione cristiana della «rivelazione» – far scorgere nella vittoria dell’Agnello sgozzato, la certezza della vittoria pasquale della vita sugli sconvolgimenti tragici che coinvolgono il mondo intero.

Nel tempo di Domiziano (considerato come Nero redivivus) si ricordano cripticamente le tragedie patite dalle comunità sotto Nerone (54-68 d.C.). Con linguaggio figurato, simbolico e allusivo, servendosi del testo dell’AT come «lingua» di veicolazione, l’autore biblico propone la testimonianza che combacia con la figura stessa di Gesù Cristo vittorioso, che coinvolge il suo profeta nella parola che gli fa «vedere» e «udire». Tramite «la porta del cielo aperta» (cf. Ap 4,1) c’è piena comunicazione tra cielo e terra. La rivelazione scende e il veggente sale, l’interpretazione «celeste» degli eventi terreni è certa e vera.

Nel capitolo introduttivo, Blanchard accenna già alla struttura dei primi capitoli dell’Apocalisse. Nel lungo preambolo, costituito dal prologo (1,1-8) e dal racconto della visione inaugurale a Patmos (1,9-20), si presenta il profeta-veggente che, nel giorno del Signore, avvinto nello Spirito Santo, pur relegato in esilio nell’isola «punitiva» di Patmos, vede e ascolta una parola ermeneutica del cammino della Chiesa nella storia. Egli scrive quindi un settenario di lettere alle Chiese dell’Asia Minore (2,1–3,22), con lodi, ammonimenti, esortazioni e promesse di vittoria e di ricompensa «al vincitore». Il resto del libro è strutturato dalla presenza di tre settenari: dei sigilli (5,1–8,1), delle trombe (8,2–11,15) e, infine, dei sette flagelli (15,1–16,21).

Blanchard fornisce dapprima alcune linee interpretative dei tre settenari (con un box esplicativo del simbolismo numerico; ne poteva aggiungere anche uno su quello cromatico, antropologico [posizioni del corpo], zoologico…).

Lo sconvolgimento della terra – tipico di tutti i tempi –, seppur tragico, è solamente parziale (cf. i numeri «parziali», «dimezzati» rispetto a quelli della pienezza) e tende non tanto a «punire» gli uomini, ma a portarli a conversione («esodici», nella mia terminologia).

Blanchard si dedica poi a tracciare le linee teologiche maggiori di interpretazione dei blocchi letterari che rimangono fuori dai tre settenari. I cc. 12–14 descrivono la svolta centrale del libro: la cacciata del Drago dal cielo e la sua riduzione a imperversare sulla terra tramite le due bestie del potere politico (romano?!) e del suo «schiavo» subalterno, il potere mediatico. Iniziano poi i preparativi della fine (c. 14). Alla fine dei tre settenari, segue l’epilogo finale: l’annientamento di Babilonia (17,1–19,10, simbolo della città consumistica e massificata all’estremo), gli ultimi combattimenti (19,11–20,15) e l’apoteosi finale, con la descrizione della sposa dell’Agnello, la Gerusalemme nuova che discende dal cielo.

L’autore dell’Apocalisse si serve di una «lingua» e di uno strumentario cronologico che svaria dal presente al passato (per illuminarlo) e al futuro (per annunciarlo prossimo e, nello stesso tempo, escatologico), per preavvertire le comunità su ciò che le aspetta. La grande libertà nell’uso dei tempi verbali intende far comprendere come Dio Padre, tramite l’Agnello immolato e l’onnipresente Spirito di conoscenza e di vita, domina la storia con un progetto nuziale di salvezza che supera e vincerà ogni tragica traversia patita dai suoi fedeli nella storia. Antico e Nuovo Testamento sono abbracciati insieme. Il popolo dell’antica alleanza (simboleggiato dalle dodici tribù) viene intrecciato (moltiplicazione) con quello del Nuovo Testamento (i dodici apostoli), e moltiplicato per 1000, il tempo di Dio (così la mia interpretazione numerologica, leggermente diversa da quella di Blanchard). Ad esso si aggiunge la schiera innumerevole dei credenti provenienti ex gentibus. Nessuna sostituzione fra Chiesa e Israele, come ben notato da Blanchard.

Lo studioso correda il suo prezioso quaderno di introduzione all’Apocalisse con una sintetica bibliografia, integrata dai curatori delle EDB con quella in lingua italiana.

Un valido sussidio, ben organizzato, chiaro e sintetico, per potersi avvicinare a questo splendido e affascinante libro di rivelazione, consolazione e speranza certa delle nozze di Dio con l’umanità/Chiesa, che cresce faticosamente nella storia come «fidanzata ufficiale/nymphē» e, nello stesso tempo, scende dal cielo come «sposa/gynē» già preparata e adornata, un dono «divino».

Yives-Marie Blanchard, Il libro dell’Apocalisse, collana «Temi biblici» 11, EDB, Bologna 2017 (or. fr. 2014), pp. 104, € 15,00.

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