Chirurgia estetica: tracciare un confine

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Si dice comunemente che la bellezza risiede negli occhi di chi guarda ma spesso ci si dimentica di fare un passo oltre ciò che è chiaramente visibile: gettare uno sguardo al di là del velo riconoscendo che, nella scelta di ciò che è piacevole o meno alla vista, un ruolo non trascurabile è giocato dagli standard culturali, da concetti preconfezionati ormai indistinguibili dal nostro gusto personale.

Tracciare un confine

copertinaIl libro La Maschera e il Volto del bioeticista (Ordinario di Bioetica all’Accademia Alfonsoniana di Roma) professor Maurizio Faggioni, edito dalle Dehoniane e di recente pubblicazione, scandaglia con accuratezza e notevole acume il tanto discusso (e, spesso, criticato) mondo della chirurgia estetica e tutti pregiudizi ad essa legati, cercando di «tracciare un confine etico e deontologico fra interventi ragionevoli e interventi arbitrari o addirittura irragionevoli e dannosi» (pag. 7).

Il corpo umano e la sua armoniosa bellezza hanno dato adito a numerosi dibattiti fin dall’alba dei tempi: Ippocrate definiva il corpo un tempio, sacro e inviolabile; Umberto Eco, nell’indimenticabile capolavoro Il Nome della Rosa, attribuiva alla bellezza tre valori fondamentali: l’integrità, la proporzione e la clarità, ovvero la luce emanata dal soggetto preso in esame (U. Eco, Il Nome della Rosa, Bompiani, Milano, 1980). Appare dunque chiaro che un soggetto (un volto, un corpo, una scultura o qualsiasi altra cosa) necessiti sia di virtù puramente estetiche quanto interiori, intrinseche alla sua stessa essenza, per essere definito «bello». Ecco quindi che anche ciò che si potrebbe considerare superficiale e banale trova una sua peculiare profondità in sottili e, talvolta, impercettibili sfumature.

La ricerca quasi morbosa della perfezione fisica è un caposaldo della società occidentale. Gli USA in primis ma neppure l’Italia resiste dinanzi a tale fascino come viene riportato ne La Maschera e il Volto: il bel Paese figura al settimo posto nella classifica stilata dalla Società Internazionale di Chirurgia plastica estetica (ISAPS) con maggior richiesta di procedure non chirurgiche di medicina estetica. I dati sono in crescita: si stima che solo negli Stati Uniti nel 2016 siano stati eseguiti 15 milioni e mezzo di interventi mini-invasivi con un aumento del 180 per cento rispetto all’anno 2000.

I minorenni

Un ruolo non indifferente in questa variazione di tendenze è giocato dai moderni social network, spalleggiati dai media tradizionali che pongono l’immagine e la sua divulgazione al centro del loro universo. Scrive Faggioni: «Se l’identità si riduce a corpo e il corpo è un oggetto, allora possiamo plasmare la nostra identità plasmando il nostro corpo.

Ci stiamo abituando a spedire nel mondo i nostri avatar, simulacri della nostra persona o addirittura involucri vuoti perché rimandano a personalità inesistenti sperando che l’artefatto (appunto costruito ad arte) possa essere scambiato per un originale. Chi si appaga del successo dell’artefatto rinuncia all’affermazione dell’originale». Non a caso la chirurgia estetica è in aumento anche tra gli adolescenti.

In Italia nei minorenni, secondo l’AICPE, l’intervento più comune è la rinoplastica, seguito da otoplastica per lo più per correggere le orecchie sventola o ad ansa, da liposuzione, raramente praticato. Vietato in Italia e ammesso in Brasile, Colombia e Francia, la mastoplastica – si legge − è l’intervento più eseguito nelle minorenni.

Il ruolo del medico e del chirurgo

Compito del medico, secondo l’autore, è di non limitarsi ad «esaudire a una domanda, ma deve porsi in atteggiamento di ascolto e di dialogo per comprendere il senso di un’istanza e aiutare la persona a far emergere il vero volto: aiutarla a essere, in una parola, se stessa»; dunque, quello di preservare l’identità del paziente, conservandone l’unicità evitando di stravolgerla omologandola agli stereotipi estetici odierni.

Il professore Faggioni dà la definizione comunemente nota tra chirurgia estetica e quella plastica: gli interventi di natura estetica mirano alla correzione di «difetti fisici, veri o ritenuti tali dal soggetto, che comportano un danno psicologico, senza che si verifichi un apprezzabile deficit funzionale»; quella plastica si occupa di interventi di natura ricostruttiva volti a «correggere e riparare i difetti morfologico-funzionali o le perdite di sostanza di svariati tessuti sia congenite, sia secondarie a traumi, neoplasie o malattie degenerative».

Risulta difficile, tuttavia, dare una separazione netta tra i due approcci chirurgici, dal momento che spesso gli interventi di natura plastica sconfinano nel campo estetico: se occorre ricostruire, dopotutto, perché non ricostruire con buon gusto? Faggioni afferma che «è buona medicina quella che aiuta una persona a trovare la giusta armonia fra interiorità ed esteriorità, correggendo − se necessario − ciò che la natura ha prodotto in modo imperfetto o ciò che risulta stonato nell’insieme di un corpo o di un viso o ciò che il trascorrere del tempo ha offuscato oltre misura. Nel fare questo il criterio che discrimina fra uso e abuso è l’autenticità» (pag. 79).

Le donne in maggioranza

L’autore realizza un illuminante excursus sulla storia della chirurgia plastica, dai primissimi interventi attuati in India agli albori della chirurgia stessa, scandendone le tappe in base agli avvenimenti storici protagonisti dell’epoca arrivando al suo sviluppo nell’Ottocento e nella Prima guerra mondiale.

Risale al 1927 il primo reparto al mondo dedicato solo alla chirurgia plastica e ricostruttiva aperto a Praga dal chirurgo ceco Frantisek Burian (1881-1965), in particolar modo per la labio e palatoschisi. Nel tempo «la svolta estetica» confluisce nella chirurgia plastica ma non senza resistenze come quella espressa negli anni Trenta negli scritti della scrittrice e giornalista Doroty Cocks sulla rivista Good Housekeeping. In Italia nel 1934 viene fondata a Roma la Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica (SICPRE) ed è del 2011 l’Associazione italiana di chirurgia plastica estetica (AICPE).

È sulle donne che la chirurgia estetica esercita maggior attrazione. Le statistiche parlano da sé: a livello mondiale le donne risultano essere circa l’86% del totale dei soggetti sottoposti a interventi di chirurgia estetica e le ragioni sono molteplici e da sempre materia di discussioni: non si può certo negare che la società contemporanea richieda con insistenza alle donne di conservare un aspetto gradevole, assai più di quanto faccia con gli uomini.

Sono le donne, inoltre, a prestare un’attenzione maggiore alla salute del proprio corpo, andando oltre mere disquisizioni di natura estetica. Come si osserva nell’interessante, dal punto di vista scientifico, volumetto le campagne di sensibilizzazione per prevenire il tumore al seno o per l’osteoporosi post menopausale hanno dato risultati notevoli, anche nel lungo periodo, a differenza della popolazione maschile per le campagne di sensibilizzazione per il tumore del testicolo o per i disturbi della prostata.

C’è un confine tra bellezza e salute?

Rilevante dal punto di vista sociologico è il capitolo 5, in cui Faggioni sostiene la necessità di delineare un confine tra «una ragionevole cura della salute e l’emergere di un desiderio infantile ispirato da grandiosità e onnipotenza» perché «il rischio di confondere il capriccio con un’esigenza reale è incombente quando si parla di estetica, di bellezza, di gradevolezza, di accettazione sociale», rischio che nasce «dalla comprensione allargata della categoria di salute», stato di completo benessere, che può portare alla «possibile confusione tra il diritto alla salute e il diritto a vedere soddisfatti i propri desideri».

La trappola del «salutismo estremo» (pag. 56), ovvero l’incapacità di accettare il naturale corso della vita e i mutamenti estetici che ne derivano, spesso accecata dal desiderio di perfezione, è sempre dietro l’angolo. Spiega infatti che «esistono molteplici fattori socio-culturali che, esercitando condizionamenti sulla formazione dell’immaginario collettivo, hanno contribuito ad aumentare la richiesta di interventi di medicina e di chirurgia estetica. I soggetti più vulnerabili, sotto la pressione di modelli estetici ed esistenziali irraggiungibili, possono sviluppare insicurezza e ansia di fronte ai processi di invecchiamento o anche soltanto di fronte ad aspetti somatici che semplicemente si discostano dai criteri estetici dominanti e omologanti veicolati dalla cultura mediatica (…). Il rischio di un abuso della medicina e della chirurgia estetica non può farcene dimenticare i grandi meriti».

Vi sono situazioni in cui gravi malformazioni possono essere fonte di grande sofferenza fisica e psicologia per l’individuo. In questo caso il medico dovrebbe fare il possibile per ovviare al problema, migliorando così la vita del paziente: affermava Pio XII in un importante discorso rivolto a un gruppo di chirurghi plastici nel 1958, di cui buona parte è riportato ne La Maschera e il Volto.

Mascherare la Sindrome di Down?

Il capitolo conclusivo è dedicato a quello che Faggioni definisce il tema più insidioso e provocatorio, ovvero gli interventi estetici mirati a nascondere un ritardo mentale. Un argomento delicato e complesso che negli anni ha generato dibattiti di natura etica sempre più animati e che lascia spazio alle più disparate opinioni.

L’autore presenta i diversi punti di vista ricordando però che il cambiamento decisivo deve essere messo in atto dalla società, non dal soggetto: l’accettazione della disabilità è infatti condizione imprescindibile affinché l’individuo possa imparare a convivere serenamente con il proprio corpo. Nel caso dei bambini Down, per Faggioni, «bisogna sostenere le famiglie a livello pratico e psicologico e, andando contro le politiche eugenetiche di eradicazione dei Down, suscitare nella società atteggiamenti di accettazione di quel volto così particolare».

Il fine ultimo della chirurgia plastica, secondo Faggioni, è quello di permettere all’individuo di esprimere al meglio la propria personalità, evitando di correre il «rischio di creare delle maschere e non di definire i volti».

Maurizio Faggioni, Il volto e la maschera. Usi e abusi della chirurgia estetica, collana «Confini», EDB, Bologna 2017, pp. 96, € 9,00. La recensione è stata pubblicata su bioeticanews.it, la rivista del Centro cattolico di Bioetica di Torino, il 20 dicembre 2017.

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