Il cinema dei Papi

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Avvalendosi di documentazione in gran parte inedita proveniente dagli archivi della Segreteria di Stato vaticana, dal Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede e della Gendarmeria pontificia, Dario Edoardo Viganò ripercorre e analizza la genesi e il ruolo storico della Filmoteca Vaticana, istituita nel 1953 con pellicole provenienti dall’appartamento privato di Pio XII e istituita formalmente nel 1959 da Giovanni XXIII.

In sessant’anni di storia e con circa ottomila titoli, la Filmoteca si è affermata come un archivio unico nel suo genere, divenendo il principale deposito della memoria delle immagini in movimento dei pontificati novecenteschi. Le sue pellicole sono infatti in grado di offrire un punto di vista originale per documentare le profonde trasformazioni intervenute nell’immagine del papato e nel rapporto tra la Chiesa cattolica e il cinema.

Vicecancelliere della Pontificia accademia delle scienze, Viganò è stato assessore del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede. È professore ordinario di Cinema presso Uninettuno e alla Luiss Business School. Riprendiamo dal volume una parte dell’introduzione.

Il cinema dei Papi

Il 16 novembre 1959 è una data importante nella storia del rapporto tra i cattolici e il cinema. Quel giorno Giovanni XXIII, a poco più di un anno dal suo insediamento sulla Cattedra di Pietro, inaugurava la Filmoteca Vaticana, portando così a compimento l’intuizione coltivata all’inizio di quel decennio dal suo predecessore Pio XII.

L’evento in sé era carico di potenti simbolismi perché, come non mancò di notare la stampa dell’epoca, la nuova istituzione – ultimo segno dell’attenzione dei pontefici verso i mezzi di comunicazione – trovava sede nel cuore del Vaticano nei locali di Palazzo San Carlo che quindici anni prima erano divenuti il centro logistico di quell’Ufficio Informazioni per i prigionieri di guerra che era stato l’esempio più significativo del felice connubio tra un’alta esperienza di comunicazione e l’esercizio della carità della Chiesa al suo massimo grado.

Già tre anni dopo la fine del conflitto in realtà Pio XII aveva insediato lì la Pontificia Commissione per la cinematografia didattica e religiosa e subito si era cominciato ad allestire una saletta di proiezione al piano terra del Palazzo, che poi sarebbe divenuta col tempo una sorta di “cinema del papa”, ancor oggi centro nevralgico dell’attività della Filmoteca Vaticana.

Ma, al di là di queste simbologie contingenti, quella data si può dire rappresenti uno spartiacque nel rapporto tra la Chiesa e il cinema, o meglio il crocevia di una transizione che l’evento del Concilio Vaticano II avrebbe completato.

L’istituzione della Filmoteca Vaticana può essere infatti guardata sia come l’atto finale di una relazione con i media ancorata alla strategia della doppia pedagogia (in equilibrio tra ammonimento e incoraggiamento), fulcro della prospettiva della Chiesa di Pio XII, sia come l’annuncio della profonda rivisitazione del rapporto tra i mezzi di comunicazione di massa e l’azione ecclesiale, esito di quella nuova attenzione ai «segni dei tempi» proposta dal pontificato giovanneo.

In occasione dei sessant’anni della Filmoteca Vaticana, tornare dunque a rileggere quei passaggi significa porsi nel centro di una cruciale fase di trasformazione che, non per caso, da qualche tempo intercetta gli interessi degli studiosi dei media. D’altra parte, è stata proprio la Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede (divenuta Dicastero nel 2018) a favorire, fin dalla sua istituzione nel 2015, l’attenzione dei ricercatori su questi temi, ponendo al centro un iniziale rilancio della Filmoteca Vaticana divenuta sede nel 2017 di un primo convegno di studi per i sessant’anni dall’enciclica Miranda prorsus di Pio XII, organizzato in collaborazione con la Scuola Normale Superiore di Pisa.

In tale contesto, questo contributo rappresenta anche l’ultimo sviluppo di un lavoro di ricerca sulla relazione tra la Chiesa e il cinema che ho personalmente cominciato negli anni Novanta concentrandomi sulla realtà ambrosiana: il volume che dedicai alla ricostruzione dell’atteggiamento verso il cinema tenuto dagli arcivescovi di Milano nel corso del Novecento si fondava su una metodologia d’analisi centrata sull’esame dei documenti d’archivio talvolta inediti che, sotto molti aspetti, ripropongo in questo lavoro.

Quella ricerca nasceva nel contesto di un interesse coltivato con i ricercatori che allora si erano raccolti con Francesco Casetti attorno alla rivista Comunicazioni Sociali dell’Università Cattolica di Milano nei primi anni Novanta, da cui presero avvio diversi filoni di indagine culminati, alla metà del primo decennio degli anni Duemila, anche nell’importante collana in tre volumi Attraverso lo schermo. Cinema e cultura cattolica in Italia, editi dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, che curai allora con Ruggero Eugeni.

All’interno e a fianco di questi filoni sono scaturite ricerche su figure rappresentative dell’attivismo delle diocesi lombarde in campo cinematografico (padre Agostino Gemelli, don Angelo Zammarchi, don Giuseppe Gaffuri, don Giuseppe Fossati, padre Nazareno Taddei) o su temi e casi di studio particolari (il cinema missionario, i pubblici cattolici, i film emblematici come La dolce vita).

Alla base del laboratorio storiografico attivato con Eugeni, con l’importante collaborazione di Elena Mosconi, stava una constatazione tanto semplice nella sua evidenza quanto difficile nella sua traduzione in un orizzonte di ricerca: negli ultimi quindici anni circa era emersa con sempre maggiore chiarezza l’impossibilità di una storia del cinema separata dall’orizzonte di una storia della cultura.

Ciò che stava venendo in luce nel panorama di studi nazionale e internazionale, in cantieri di ricerca anche molto distanti tra loro per metodologia e presupposti eurisitici, era che il mezzo cinematografico, fin dalla sua prima apparizione nel panorama mediatico, era stato capace – come scrivevamo con Eugeni – di «autoaffemarsi come fonte indiscussa di radicale ridefinizione dell’immaginario collettivo, dei valori individuali e sociali, delle categorie conoscitive e interpretative del reale». Il cinema, notavamo, pare il medium che forse più di altri ha contribuito a ri-orientare i tratti delle culture ad esso preesistenti, a segnare il passo della loro successiva evoluzione e a costituirsi per questo, ancora oggi, come ambito di osservazione privilegiato a partire dal quale è anche storia culturale.

Sulla base di questi presupposti lanciavamo la nostra sfida conoscitiva inevitabilmente ambiziosa: quella di ricostruire la complessa e articolata vicenda del rapporto tra la Chiesa e il cinema in Italia, rileggendola in virtù di questa non più eludibile congiunzione tra storia del cinema e storia della cultura.

In questi ultimi dieci anni poi questo filone ha fatto ulteriori e significativi passi in avanti anche livello internazionale, consolidandosi in un più articolato ambito di studi che in Italia è stato favorito soprattutto dal dinamico cantiere di ricerca attivatosi all’Università degli Studi di Milano attorno al progetto I cattolici e il cinema in Italia tra gli anni ’40 e gli anni ’70 promosso da Tomaso Subini.

Lo studio del rapporto tra cattolicesimo e cinema è cioè, col tempo, uscito da una nicchia di ricerche specialistiche, per divenire un argomento attraverso il quale oggi storici dell’età contemporanea, storici del cinema, sociologi, antropologi, si confrontano in campo aperto, affinando sempre più i parametri d’indagine e i paradigmi tassonomici della ricerca. Si sta arrivando così a definire un contesto di ricerca che mostra delle caratteristiche originali che lo differenziano, sotto molti aspetti, dall’esperienza inglese e statunitense dei Religion and Film Studies.

Parafrasando la celebre espressione di Karl Polany si potrebbe dire che cattolicesimo e cinema rappresentano uno dei temi privilegiati attraverso cui studiosi di discipline diverse oggi provano a misurare la portata e le caratteristiche della «grande trasformazione» (politica, economica, sociale, culturale) del XX secolo. Si avverte, cioè, un’estensione degli ambiti di osservazione che vanno anche oltre la storia della cultura (o della cultura visuale), per fare del rapporto Chiesa-cinema una chiave ermeneutica attraverso cui misurare la reazione del cattolicesimo alle grandi trasformazioni novecentesche in campo politico, economico, sociale.

Prima sintesi di questa nuova metodologia è il recente volume di Gianluca della Maggiore, storico dell’età contemporanea, e Tomaso Subini, storico del cinema, i quali, grazie anche all’ausilio di nuove fonti provenienti da molti archivi italiani e dall’Archivio Segreto Vaticano, mostrano quale efficacia possa raggiungere il dialogo interdisciplinare su questi temi.

Avendo come orizzonte di comprensione tale panorama di studi in piena evoluzione, questo lavoro intende ricostruire il processo di avvicinamento alla costituzione della Filmoteca Vaticana attraverso lo scandaglio di documentazione, in gran parte inedita, proveniente dagli archivi vaticani. Per le analisi al centro del volume ci si è infatti potuti avvalere dell’accesso ai documenti della II Sezione della Segreteria di Stato vaticana, delle carte dell’archivio dell’ex Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali e dell’archivio della Gendarmeria Pontificia, che gettano una luce in buona parte nuova su queste vicende.

Le due parti che compongono il volume hanno un filo narrativo simile, muovendosi a cerchi concentrici da una prima ricognizione generale sull’atteggiamento complessivo verso il cinema tenuto da Pio XII e Giovanni XXIII – il primo e il quarto capitolo –, per poi indagare la declinazione istituzionale di questi approcci, andando infine a puntare il focus dell’analisi sugli specifici passaggi che portarono alla nascita della Filmoteca Vaticana. L’esame delle carte ha infatti reso subito chiaro che, per una efficace comprensione dei motivi alla base della scelta di istituire nel cuore del Vaticano un archivio cinematografico e una sala di proiezione, non si poteva che fare riferimento ai più complessi scenari su cui si stavano muovendo le trasformazioni nel rapporto tra la Santa Sede e il cinema e i mezzi di comunicazione di massa nel loro complesso.

L’articolata fase di organizzazione della Commissione pontificia per il cinema – al centro del secondo capitolo – rivela quanto sul terreno mobile della rapida evoluzione del sistema mediatico si confrontassero due diverse visioni pastorali: l’una più incline ad una centralizzazione e clericalizzazione degli approcci, l’altra più aperta a valorizzare l’esperienza delle Chiese locali e degli organismi internazionali laici: non si trattava in fondo solo di istituzionalizzare la doppia pedagogia di Pio XII verso il cinema attraverso degli organismi che ne universalizzassero la portata e la ricaduta, ma di attrezzarsi con degli strumenti di governo capaci di aiutare nella decifrazione di una società in continuo mutamento, i cui cambiamenti apparivano sempre più connessi alle forme di sviluppo del sistema dei media a livello internazionale.

È in questa fase che emerse il ruolo di figure chiave come Giovanni Battista Montini, Martin J. O’Connor, Albino Galletto e Andrzej M. Deskur: tutte protagoniste in diversi modi del processo che portò alla veloce trasformazione della Commissione pontificia esclusivamente dedicata al cinema fino alla nascita, nel 1954, della Pontificia Commissione per la cinematografia, la radio e la televisione.

Tra queste figure sarà soprattutto Deskur – come si analizza nel terzo capitolo – all’alba degli anni Cinquanta a gestire le primordiali fasi di gestazione di quella che, circa un decennio dopo, sarebbe divenuta la Filmoteca Vaticana. Fu proprio il sacerdote di origini polacche, chiamato nel 1952 a dar man forte a Galletto alla segreteria della Commissione pontificia per il cinema, a render subito più solida l’intuizione di Pio XII di creare un deposito di film nel cuore del Vaticano, accompagnando i primi passaggi che portarono alla costituzione già nel 1953 di una prima cineteca vaticana in un magazzino del vicolo del Perugino.

L’avvento al soglio di Giovanni XXIII fece intravedere subito anche un mutamento d’atteggiamento nella gestione delle prospettive verso il cinema e i media – al centro del quinto capitolo –, le quali tuttavia presentavano anche delle innegabili continuità col pontificato precedente.

Se il motu proprio Boni pastoris del febbraio 1959 rese ancor più solida la posizione della Pontificia commissione per la cinematografia, la radio e la televisione portando per certi versi ad una maggiore centralizzazione della politica vaticana verso i media, la radicale diversità nel personale approccio ai mezzi di comunicazione di massa da parte del papa rispetto ai pontificati che lo avevano preceduto, e le aperture verso il mondo del cinema da lui mostrate negli anni in cui era patriarca di Venezia, suscitarono attese in ogni parte del mondo. Una situazione che indusse in certi ambienti del cinema l’anticipazione e, più volte, il travisamento di segnali di apertura e innovazione, che dovettero essere puntualmente frenati dagli interventi delle autorità vaticane.

È in questo contesto in profonda transizione che prese forma ufficiale – il sesto capitolo – la Filmoteca Vaticana: l’articolato processo di redazione dello statuto che vide protagonista il nipote di Pio XII, Carlo Pacelli, Consigliere generale dello Stato della Città del Vaticano, fu condotto con l’apporto di numerose personalità della Curia vaticana e degli ambienti cattolici romani, tutte decise a conferire al nuovo ente uno status che lo ponesse nel solco delle grandi istituzioni vaticane dedite alla conservazione del patrimonio del passato.

La rapida ricognizione su questi primi sessant’anni di storia della Filmoteca Vaticana che si conduce nell’ultimo capitolo evidenzia la distanza tra le grandi aspettative iniziali e i concreti esiti fino ad oggi effettivamente raggiunti, ma anche le enormi potenzialità di un’istituzione che, come suggerirono i redattori del suo statuto, può senz’altro ancora ambire a onorare la «secolare tradizione della Santa Sede» tesa ad «accogliere i più notevoli documenti di storia e di cultura», gestendo con oculatezza una politica culturale che valorizzi le fonti su cui sempre più in futuro si costruirà la storia del cattolicesimo.

Dario Edoardo Viganò, Il cinema dei Papi, Documenti inediti dalla Filmoteca vaticana, Marietti 1820, pp. 178, € 13,00.

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