Don Milani, la musica e il riscatto

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E si sente che lì tutti i valori sono diversi dai nostri[1]

Nelle scorse settimane è stato pubblicato Il pentagramma di Lorenzo Milani. Musica per la libertà, il Pozzo di Giacobbe, 2021. Lo storico Sergio Tanzarella spiega l’interesse del priore di Barbiana per la musica – il suo studio, la sua esecuzione – a partire da una lettera dello stesso Milani a Giorgio Pecorini: «Io i miei figlioli li amo che ho perso la testa per loro, che non vivo che per farli crescere, per farli aprire, per farli sbocciare, per farli fruttare? […]». Commenta l’autore: «Proprio per arrivare a far crescere, aprire, sbocciare e fruttare tutto poteva e doveva essere utilizzato: dunque anche la musica ma senza egoistica voluttà e sterili estetismi»[2].

Il volume

Il testo si snoda in quattro agili capitoli seguiti da due interessanti appendici. Nel primo capitolo si tratta dell’esperienza musicale al seminario di Firenze. In particolare ci si sofferma molto positivamente sull’esperienza del canto, del gregoriano, dello studio della musica.

In una seconda sezione si descrive come don Milani introdusse la lettura degli spartiti nella scuola popolare di San Donato a Calenzano. Pratica collegata al quadro ideale della scuola ossia la lotta all’analfabetismo – anche quello musicale – imposto di fatto da chi detiene le leve del potere politico, economico e culturale. È in quel contesto che si sviluppa il rapporto con il giovane musicista Antonino Luciani, maestro di «lettura della partitura». Molto bella la lettera di Milani – del dicembre 1953 – a Luciani dopo la prima lezione da lui tenuta ai ragazzi della scuola: «[…] E poi volevo dirti che ti sono tanto grato perché hai avuto ragione del nostro duro realismo e ci hai fatto per una sera volare in un cielo diverso dal nostro. Che i ragazzi fossero vinti e avvinti l’avrai visto anche da te. È la prima volta nella storia della nostra scuola che nessuno ha dormito»[3].

In un terzo capitolo, dopo l’allontanamento e l’esilio – Tanzarella dimostra che fu davvero tale –, si narra dell’utilizzo del metodo Luciani anche presso la scuola di Barbiana. Colpisce molto una lettera della mamma di Milani dopo una visita nel fine estate del 1960. Descrivendo con stupore una lezione di ascolto e solfeggio del concerto n. 5 opera 73 per pianoforte e orchestra di Beethoven afferma:

«[…] lassù come al solito – i ragazzi ora sono venti. Spesso sono ammirata ed esaltata dalla bellezza e eccezionalità di quell’ambiente. Altre volte la miseria, il sudiciume, il disagio di quella vita mi prende alla gola. Non mangiano abbastanza, non si lavano, puzzano, quel secchio d’acqua che portano da lontano è lurido e poi li vedi tutti e venti solfeggiare incantati il concerto Imperatore davanti a una macchina di loro invenzione che svolge uno spartito sotto i loro occhi mentre il grammofono suona. E si sente che lì tutti i valori sono diversi dai nostri»[4].

Il testo viene corredato di una belle foto di Barbiana[5] durante una lezione di musica che viene descritta come un simbolo reale di un modo complessivo di intendere la scuola e la musica stessa: «Se al centro della vita di Barbiana vi era la parola come possibilità di libertà da ogni schiavitù e dominio, la musica quel giorno d’estate non era da meno. […] si trattava allora di una aperta contrapposizione al potere, prova della necessità del riscatto e dimostrazione della possibilità della liberazione»[6].

In un quarto capitolo, ormai collocato nel contesto degli ultimi anni di don Milani, si descrive la visita – del 1959 – alla Scala che è fonte di attenzione musicale, ma anche di attenta critica sociale. Critica alla logica del potere e del privilegio che risuona significativamente anche nella visita in Vaticano nel maggio 1962. Coerentemente il capitolo si conclude con alcune affermazioni che vale la pena riportare per intero:

«La musica a San Donato a Calenzano prima e poi a Barbiana è suonata […] come la prova di un autentico riscatto, ingresso inaudito nella riserva delle élite che tengono in ostaggio la musica come la lingua coltivandole come fossero totalmente proprie. Rendere quindi accessibile la musica a coloro che per classe sociale ne erano stati privati fu un atto semplicemente rivoluzionario ed inaudito. Si trattò, infatti, di una musica e di un canto votati alla libertà. Era l’attuazione di un pericolosissimo, per i moderati e i conservatori di professione, progetto di liberazione, un progetto semplicemente e autenticamente evangelico»[7].

Snodi

Le due importanti appendici, che invitiamo a leggere, mostrano al vivo alcuni snodi che, a ben vedere, sono emersi già durante il percorso del piccolo libro. Ne ricordiamo alcuni.

Un primo snodo si incontra osservando l’approccio dell’autore del nostro libro. Si tratta, infatti, di una modalità di ricerca ed esposizione seriamente e rigorosamente basata sulle fonti. Attenzione alle fonti di cui è frutto anche la recente pubblicazione dell’epistolario milaniano completo[8]. Solo tale approccio storico permette un’interpretazione precisa dei dati storici e nello stesso tempo preserva da strumentalizzazioni o da valutazioni superficiali (di cui appunto nelle appendici si tratta). In più contesti lo stesso Tanzarella ha ripetuto l’importanza di un approccio storico basato sulla conoscenza – diretta e criticamente avvertita – delle fonti scritte ed orali. Approccio che sarebbe più che mai necessario per gli studi storici e teologici in Italia[9].

Un secondo snodo verte sullo sguardo educativo di Don Milani che si mostra essere capace – come ogni buon educatore – di vedere l’invisibile, quello che al momento è solo possibile, potenziale. In una toccante testimonianza Mario Rossi, un ex alunno di Milani, afferma che Milani:

«pensava che dentro di noi certi valori li avevamo, ma andavano scoperti attraverso queste cose che erano patrimonio di una determinata categoria di persone. Anche la musica classica sembrava che ci fosse vietata invece lui riusciva a farci amare queste cose, spiegandole naturalmente. Prima di ascoltare la musica c’era il musicista che ci spiegava i vari passaggi di una sonata. Tutto ci veniva spiegato. E anche l’astronomia, le scienze, la storia ecc. ci riempivano di gioia e di soddisfazione perché riuscivamo a capire cose considerate fino ad allora impossibili per noi»[10].

Tale attenzione educativa nasce da una sorta di opzione di base – ed è un terzo snodo – ossia quella della cura e dall’affetto profondo per i ragazzi di Barbiana. In una lettera a Francuccio Gesualdi dell’aprile 1967 don Milani, ormai molto malato, scrive:

«Caro Francuccio, profitto del fatto che stasera sto meglio per scriverti io. Stasera ho provato a mettere un disco di Beethoven per vedere se posso ritornare al mio mondo e alla mia razza e sabato far dire a Rino: “Il priore non riceve perché sta ascoltando un disco”. Vedo invece che non me ne importa nulla. Volevo anche scrivere sulla porta “I don’t care più”, ma invece me ne care ancora molto, tanto più che domenica mattina quando avevo deciso di chiudere ogni bottega (scolastica e parrocchiale) Dio m’ha mandato Ferruccio e Enzo e un’altra fila d’altri ragazzi di San Donato come per dire che devo seguitare a amare le creature giorno per giorno come fanno le maestre e le puttane»[11].

La cura educativa nasce da una passione umana e cristiana per il riscatto dei ragazzi «per farli crescere, per farli aprire, per farli sbocciare, per farli fruttare».

A tale opzione corrisponde – come quarto snodo – anche l’analisi per un contesto – il seminario inteso come introduzione alle logiche di vita clericali – che invece rischia di bloccare tale processo di passione e intelligenza. In un’interessante nota l’autore riporta gli stralci di due lettere in cui Milani compie una disamina attenta della forma educativa propria del seminario. Nella prima, del marzo 1950, afferma: «Vorrei che non si parlasse di cose spirituali. Mi farebbero tornare a gola lo sdegno per l’immensa frode del seminario. Non credere, da che ne son sortito non ci penso mai. Se mi ci casca il pensiero, faccio come per quelli impuri. Ma ora che ci penso, quanto male ci ha fatto quella frode e almeno a me quanti stupidi errori e peccati»[12].

Nella seconda lettera del febbraio 1961 svolge una analisi ancor più precisa sul moderatismo clericale:

«E poi ci si meraviglia se mancano le vocazioni? Le vocazioni del don Abbondio (cioè quella che in un seminario viene presentata come Perfezione sotto il falso nome di Prudenza, Umiltà, Sottomissione) non era la vocazione dei martiri che han fatto la Chiesa. E se l’essere cristiano non implicasse automaticamente la opposizione alle autorità costituite, ai benpensanti, ai potenti Gesù non sarebbe stato condannato a morte e nessuno degli altri suoi martiri che vennero dopo di lui. Dunque dai seminari così come son ora non può in nessun modo uscire un cristiano cioè un chiamato alla persecuzione dei potenti (compresi i potenti ecclesiastici) e se è necessario al martirio»[13].

Vi sono ambienti che aiutano la presa in carico coraggiosa e intelligente delle generazioni che crescono, altri ambienti ostacolano tale assunzione di responsabilità.

Un ultimo snodo può essere intravisto – in controluce – nella dedica del libro a Valentina Oldano (13 settembre 1981 – 24 giugno 2017) collaboratrice del gruppo che ha lavorato all’edizione completa delle lettere di don Milani. Tanzarella, con il consueto stile[14], oltre che ricordare con delicatezza la sua persona e la sua figura di ricercatrice parlando della sua «passione per lo studio, per l’insegnamento, per la cura dei bambini che le erano affidati» aggiunge una notazione importante: «E per la presenza di persone generose come lei che la Repubblica non è affondata del tutto, che la provincia italiana resiste».

A ben vedere, lo stesso testo che abbiamo tra le mani, ripercorrendo un tratto dell’esperienza di don Milani, è un contributo importante ad una maggiore consapevolezza – e resistenza – sociale, politica, educativa e alla comprensione dell’appello evangelico al prendersi cura della dignità e della liberazione delle persone perché non affondino.

don milani


[1] Cit. in S. Tanzarella, Il pentagramma di Lorenzo Milani. Musica per la libertà, il Pozzo di Giacobbe, 2021, 33.

[2] Ibid., 10.

[3] Ibid., 21.

[4] Ibid., 32-33.

[5] Ibid., 34-35.

[6] Ibid., 37.

[7] Ibid., 60.

[8] F. Ruozzi – A. Carfora – V. Oldano – S. Tanzarella (edd.), Don Lorenzo Milani, Tutte le opere, I-II, Mondadori, Milano 2017.

[9] S. Tanzarella, «Una teologia dal Mediterraneo: per la pace e per la nonviolenza», in S. Bongiovanni – S. Tanzarella (edd.), Con tutti i naufraghi della storia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2019, 199-221.

[10] Cit. in S. Tanzarella, Il pentagramma, 23.

[11] Ibid., 48.

[12] Ibid., 15 n. 17.

[13] Ibid., 15 n. 17.

[14] Cf. S. Tanzarella, Da una scuola di paese, in S. Morandini – S. Noceti (edd.), Diventare teologi. Cammini aperti di uomini e di donne, EDB, Bologna 2021, 85-91.

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