Don Milani: l’obbedienza sotto processo

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Don MilaniMario Lancisi, giornalista fiorentino, è di nuovo in libreria per raccontare il priore di Barbiana. Abbiamo dialogato con lui, a partire dal suo interesse per la figura e l’opera di don Milani.

– Caro Mario, da dove nasce la tua attenzione e sensibilità verso questo prete fiorentino?

La mia attenzione nasce da una vicenda personale: la bocciatura in 4ª ginnasio. Essendo di famiglia povera, mi trovai ad un bivio: ripetere con grandi sacrifici personali o andare a lavorare. In un’estate di dubbi e tormenti, mi imbattei in Lettera a una professoressa. Vi ritrovai dentro le ragioni della mia bocciatura. Piansi e risi: sentimenti che – ho letto – ha provato anche Pier Paolo Pasolini di fronte al testo milaniano. Decisi così di continuare e da allora il mio corso scolastico è andato bene. Così come cominciai ad approfondire la figura di don Milani. Poi ebbi la fortuna di ricevere lettere inedite da parte del magistrato Gianpaolo Meucci, e le pubblicai in E don Milani fondò una scuola, il mio primo libro. Poi ne sono venuti altri. Il più importante è la biografia scritta con Piemme. Titolo: Don Milani. La vita.

– Insieme alla tua, sono uscite recentemente altre due opere su don Lorenzo: L’uomo del futuro di Affinati (finalista al Premio Strega) e Don Lorenzo Milani – l’esilio di Barbiana di Michele Gesualdi (uno dei primi ragazzi di Barbiana, che stette accanto al priore fino alla fine). Solo una casualità o si tratta di una riscoperta e quasi un bisogno sotto traccia del mondo della cultura e anche della Chiesa?

Per la verità, ne sono uscite anche altre. Don Milani è molto studiato. Non credo che si tratti di una riscoperta, ma di un continuo avvicinarsi alla sua figura. Con sguardi sempre nuovi e diversi pur nella costanza dei documenti abbastanza uguali. Di nuovo c’è poco, se non lo sguardo, il taglio. Il nuovo può venire dalle lettere o dalle testimonianza degli ex allievi come Michele Gesualdi.

Il libro di Affinati è molto bello, ma è lo sguardo del narratore più che del biografo o del saggista. Nuova la sua idea di andare a raccontare i luoghi milaniani e di raffrontare la scuola di don Milani con situazioni di maestri che anche oggi, in contesti umani e sociali molto problematici, vogliono continuare a fare scuola soprattutto agli “ultimi”.

– Quanto ha contribuito a questa ripresa di attenzione papa Francesco, che ha citato don Milani proprio parlando di scuola, ricordandolo proprio come educatore?

Papa Francesco non solo ha parlato di don Milani a proposito della scuola, ma ha riabilitato il suo libro più importante – Esperienze Pastorali – uscito nel 1958 e ritirato dal commercio su decreto del Sant’Uffizio.

– Apri il tuo libro citando quello che il priore di Barbiana disse all’arcivescovo di Firenze card. Florit durante un dialogo burrascoso: «Rispetto a lei, io sono avanti di cinquant’anni». Cinquant’anni fa il Concilio… Si può tentare un parallelo tra don Milani e l’assise conciliare, quanto l’uno e l’altra sono stati recepiti dalla Chiesa italiana?

Don Milani ha il merito storico di aver anticipato come altri preti, penso ad esempio a don Mazzolari, il Concilio. Esperienze pastorali va in questa direzione. Basti pensare all’idea di fondo del libro, quello di una Chiesa missionaria. Una sorta di rivoluzione copernicana: l’uomo e non più la Chiesa come istituzione al centro. Don Milani è stato un grande missionario. Un prete conciliare prima del Concilio. Il priore di Barbiana e il Vaticano II hanno gettato dei semi importanti per la Chiesa: a volte rischiano di essere nascosti, altre volte fioriscono in maniera incredibile. Papa Francesco è in questo senso un fiore del Concilio.

– Il card. Betori, successore di Florit, a conclusione della visita del papa a Firenze in occasione del convegno della Chiesa italiana (novembre 2015), ha ricordato don Milani tra le figure significative del mondo cattolico fiorentino, accanto a Dalla Costa, La Pira e Facibeni. Inoltre, una delle aree tematiche dello stesso convegno si era svolta alla Badia Fiesolana per ricordare Ernesto Balducci. È solo memoria del passato – e magari riabilitazione ecclesiastica – o c’è una lezione per l’oggi?

È lezione per l’oggi e per il domani. Forse occorrerebbe più slancio, più entusiasmo nel rifarsi a questa grande storia della Chiesa fiorentina. Ma le istituzioni spesso imprigionano le migliori intenzioni.

– Hai letto tutta la storia di don Milani in chiave nonviolenta, che culmina nel processo per la sua difesa degli obiettori di coscienza. Eppure oggi il pacifismo è in crisi, l’industria bellica è in espansione, “operatori di pace” sembrano ormai solo i militari armati fino ai denti in missione all’estero, anche nella Chiesa – a parte il papa – la passione per la pace sembra scomparsa… Vedi ancora un po’ di fuoco sotto la cenere?

Il fuoco c’è sempre sotto la cenere, ma le grandi istituzioni, i governi, la Chiesa stessa non mi sembrano che abbiano un’idea, una visione nuova dei rapporti e conflitti internazionali. E la stessa guerra è cambiata. Oggi, ad esempio, c’è la guerra di civiltà e religioni. C’è il populismo alla Trump che erige muri contro il fenomeno migratorio. La globalizzazione ha cambiato tutto, e nessuno sa come affrontarla. Non resta per il singolo cristiano che la testimonianza nonviolenta dei gesti quotidiani. Sperando in gesti profetici della Chiesa, a cominciare dall’abolizione dei cappellani militari.

Rimangono le domande scomode

Grazie a Lancisi per queste risposte e soprattutto per la sua ultima pubblicazione, che aiuta a tenere viva la memoria di don Milani e ad attualizzarlo nell’oggi della società e della Chiesa. Non è casuale che nel messaggio per la giornata della pace 2017 papa Francesco non abbia esitato, fin dal titolo, a usare il termine nonviolenza né a ricordare Gandhi tra i profeti di pace. Proprio Gandhi era una delle figure di riferimento per don Lorenzo nella sua difesa degli obiettori di coscienza.

Passata la stagione dell’obiezione al servizio militare a causa della fine della leva obbligatoria, è ora di battere nuove strade per l’educazione alla pace delle giovani generazioni. Per i giovani che optavano per il servizio civile alla Caritas e non solo, gli atti del processo a don Milani (L’obbedienza non è più una virtù) erano una sorta di libro di testo. Come tornare, nella società e nella Chiesa, a farci interpellare da quelle domande scomode? Come fare della pace e della nonviolenza una questione centrale della convivenza umana, delle relazioni internazionali, dell’incontro tra persone e popoli di culture e religioni diverse.

Don MilaniMario Lancisi, Processo all’obbedienza. La vera storia di Don Milani, Editori Laterza, Bari-Roma 2016, pp. 157, € 16,00.

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