Due bussole per navigare il postmoderno

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«Dinanzi a un’umanità che vive una fase di transizione, definita postmodernità, tardamodernità e quant’altro, mentre vengono sempre meno i punti di riferimento e talvolta si faticano a rintracciare i valori e le virtù, il nuovo umanesimo verrà solo dal riconoscimento della paternità universale di Dio e della fraternità tra gli uomini».

È questa la tesi principale del libro di Fabio Mandato, Bussole di un nuovo umanesimo (Tau editrice 2022), presentato giovedì 15 dicembre presso la libreria Romani (all’interno dell’Università Lateranense). Sono intervenuti per l’occasione Amerigo Vecchiarelli, direttore del SIR, e i due professori della Lateranense Giuseppe Lorizio e Massimiliano Padula, rispettivamente ordinario di Teologia fondamentale (Facoltà di Teologia) e docente stabile di Scienze della comunicazione sociale (Istituto Pastorale Redemptor Hominis).

Genitorialità e fraternità

Padula ha introdotto il volume evidenziandone alcune parole chiave come techne, ethos, memoria, famiglia e sottolineando come questo studio abbia un carattere interdisciplinare perché integra prospettive di ricerca differenti. Tale poliedricità riflette anche la biografia dell’autore che, oltre a esercitare la professione di avvocato, è giornalista e attualmente anche studente di teologia.

Si è soffermato poi su un tema centrale del libro, ovvero la «genitorialità», evidenziando come la figura del padre in crisi costante subisca una destrutturazione (e non distruzione) alimentata dalla complessità del contemporaneo. Sottolinea, inoltre, come la famiglia oggi sia sempre più una realtà plurale e provvisoria caratterizzata (e, a volte, insidiata) da nuove configurazioni, da nuovi tipi di relazioni, dall’abbattimento dei verticalismi e delle gerarchie.

In questo scenario è importante ribadire la funzione della memoria:

«Essa è un necessario collante tra le generazioni, capace di tradire [nel senso di trasmettere], principi, virtù, usi e buone pratiche e, allo stesso tempo, rigettare tutto quanto non rispetta l’uomo. Fare memoria è allenare il proprio cuore a interiorizzare il bene e il male della storia, antica e recente, vicina e lontana, e a trasformarlo comunque in bene, sia nel microcosmo personale che nel macrocosmo».

Transumanare

Lorizio, teologo fondamentale, ha definito il lavoro di Mandato un volume agile, interdisciplinare, ma non frivolo. L’intreccio tra biografia e riflessione in esso contenuto mostra come il pensiero abbia un riflesso sulla vita quotidiana e, in generale, come una buona teologia non possa non avere a che fare con l’esistenza.

Il titolo riecheggia il nuovo umanesimo di cui si era parlato al convegno di Firenze del 2015, ma anche un recente articolo apparso su Avvenire in merito all’Antropocene. La domanda/ammonimento che scaturisce è: siamo convinti che l’umanesimo sia qualcosa di assolutamente positivo oppure si deve fare attenzione al fatto che l’Antropocene svela la possibilità che l’umano sia una «anomalia del sistema» che sconvolge il proprio equilibrio, quello della natura e quello cosmico, affrettando la catastrofe o peggio la fine di tutto?

E ancora: siamo sicuri di poter ridurre il cristianesimo a un umanesimo, oppure vi è un oltre che non si può attingere in una prospettiva solamente orizzontale? Questo oltre va inteso alla maniera nietzschiana, oppure è una scoperta del cristianesimo nella prospettiva della fede?

Il grande poeta Dante scriveva: Trasumanar significar per verba non si poria – non è un fatto che si possa spiegare con parole. Il fine dell’umano, più volte ribadito nel libro che adotta la prospettiva credente, è la partecipazione alla vita divina, che non è identificazione con Dio (prospettiva gnostica), ma piuttosto portare, elevare tutto il «prisma dell’umano» verso l’alto, secondo il detto tommasiano: «La grazia non distrugge ma perfeziona la natura».

Tecnica e tecnologia

In merito alla tecnica in campo filosofico, ci si può riferire agli scritti di Heidegger, in cui si viene messi in guardia rispetto agli effetti nocivi di una certa tecnocrazia. Più propriamente è possibile pensare che la tecnica sia ambivalente, in quanto essa consente di riflettere e di operare direttamente sul mondo. Anzi di più: non la si può considerare un’applicazione separata della scienza. Questo divario è oramai superato, tanto che si ritiene più corretto parlare di tecnologia: per conoscere la realtà, si introducono delle tecniche; agendo sulla realtà tramite tali tecniche, si ottengono nuove informazioni che diventano scienza. Così scienza e tecnica non sono più disgiunte.

La tecnologia può offrire addirittura la possibilità di frenare quella che, alle volte, viene percepita come una corsa verso la catastrofe. Il recente esperimento sulla fusione nucleare realizzato al NIF americano ne è un esempio. Se, in futuro, avremo in abbondanza energia e senza scorie, potremo finalmente dire che la tecnologia è stata orientata alla persona piuttosto che ad altri fini secondari.

Lorizio ha ricordato che le «due bussole» indicate nel sottotitolo del libro, paternità e fraternità, non possono non avere al centro la persona, che nella teoresi rosminiana veniva implicata nella doppia affermazione, filosofica e giuridica: «Tutto ciò che è, o è persona o è finalizzato alla persona», e «la persona è il diritto sussistente».

Il sociologo Padula, in riferimento alla tecnologia, cita il «Metaverso», inteso come la possibilità di un trasferimento dell’umano in un «luogo» che non deve essere sostitutivo ma integrativo della realtà. In questo senso, la tecnologia permette all’uomo di proiettare e di progettare nella realtà sé stesso e i suoi bisogni, mostrando le sue bellezze, ma anche le sue oscurità.

E il concetto di tecnica, che diventa tecnologia, non può non fare i conti con la modernità. Per i sociologi è un’etichetta (declinata come tarda modernità, post-modernità o ancora dopo modernità) il cui cantore è Bauman, soprattutto attraverso la metafora della liquidità, che fa riferimento a scenari come incertezza e imprevedibilità. Possiamo pensare al proposito anche all’autore Ulrich Beck, scomparso da qualche anno, e alle sue opere La società del rischio e Il Dio personale.

All’interno della modernità si assiste a un trasferimento graduale, che si fa sempre più repentino, da una Chiesa istituzionalizzata a una Chiesa personalizzata, che riflette la personalizzazione dell’agire, presente nei personal media. Esempio di questo è la piattaforma di contenuti video Netflix, in cui l’utente sceglie cosa vedere, ma anche dove e quando vederlo.

Religione e tardomoderno

Lorizio continua la discussione introducendo il tema della religione nel tardo moderno, anzi in un neomoderno, secondo l’idea di Mordacci. La constatazione da fare è che la modernità accade nell’Occidente perché il padre della modernità è il cristianesimo! Dobbiamo prendere atto che questa figlia ribelle, la modernità, si è allontanata dal suo genitore, ma, allo stesso tempo, per il principio creazione, cioè per l’intrinseca autonomia delle realtà terrene, come cristiani e come occidentali dobbiamo essere in certo modo orgogliosi e assumerci questa paternità.

Già dagli anni Ottanta era chiaro il passaggio in atto: dal sistema al frammento. La metafora della liquidità può quindi essere meglio espressa come «cultura della frammentazione», quella in cui siamo circondati da frammenti e in cui noi stessi siamo frammenti. Nella prospettiva cristiana questo non ci porta allo scoraggiamento perché nel frammento c’è il tutto eucaristico. E l’attenzione ai frammenti deve essere la stessa posta dal celebrante durante la liturgia: in ognuno dei frammenti c’è un rimando al tutto della persona, come nel frammento eucaristico c’è e si rimanda al tutto della divinità.

L’atteggiamento necessario sarà quello di chinarsi per raccogliere questi frammenti di umanità che troviamo disseminati nel nostro tempo, perché altrimenti – ci avverte papa Francesco – saremmo nella cultura dello scarto. In questa prospettiva l’eucaristia ha una rilevanza non solo rituale o religiosa ma culturale, e le nostre celebrazioni hanno qualcosa da dire anche alla polis, alla laicità, all’accademia.

Nel Figlio fatto carne

Vecchiarelli, dalla sua prospettiva di giornalista, ribadisce che il processo comunicativo e sociale è totalmente cambiato nel corso degli ultimi decenni.

La crisi della paternità si sente avverte anche all’interno della Chiesa, molto spesso a causa degli scandali. Occorre però guardare la ricchezza intrinseca che è stata affidata, in maniera provvidenziale, alla Chiesa: quegli «anticorpi» che essa ha dentro di sé e che, da sempre, le permettono di essere testimone di Dio nel mondo.

Su questo tema il teologo è intervenuto a sfatare un luogo comune, quello secondo il quale Gesù Cristo sarebbe venuto a dirci che Dio è nostro padre! Questo lo sapevano già gli ebrei, che nelle Scritture chiamavano Dio il «padre di Israele». Lo sapevano persino i greci che, riferendosi a Zeus, lo appellavano «padre degli uomini», e anche gli autori stoici, citati da Paolo in Atti 17, affermavano che noi uomini «siamo di stirpe divina».

Lo specifico del cristianesimo andrà dunque cercato nel fatto che Gesù è venuto a rivelare che Dio è suo Padre in senso proprio: noi siamo figli del Padre perché prima siamo figli nel Figlio. Questo ci introduce nel mistero della Trinità e tra i figli adottivi per l’Unigenito del Padre!

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