I salmi censurati

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Salmi censurati

Alcuni salmi, detti “imprecatori”, hanno sempre fatto difficoltà per la violenza del loro linguaggio (in un libro di preghiere! nella Bibbia!), così da essere stati “censurati”, “epurati” dalla Liturgia eucaristica e dalla Liturgia delle Ore, sia nella loro interezza (Sal 58; 83; 109) o in alcune loro parti (Sal 35; 69; 59 139,22, 137,9).

Nel 1971, quando di trattò di inserirli o meno nei libri della liturgia ufficiale, Paolo VI optò per la “censura”, accennando a «certe difficoltà psicologiche» (cf. p. 13 nota 7).

Il docente di greco, ebraico biblico ed esegesi a Louvain-la Neuve e professore invitato al Pontificio Istituto Biblico, aiuta molto i lettori e i credenti ad avvicinarsi, a capire e a pregare questi testi biblici. Non è il singolo che deve o meno pregarli se i testi si confanno alla sua situazione psicologica o “spirituale” del momento. L’orante deve imparare dalla Bibbia l’atteggiamento da usare nella preghiera e a fare propri i testi pregati dalla comunità, spesso dai martiri o da comunità che soffrono e non possono fare in nessun modo sentire la loro voce.

Il povero e l’umiliato – talvolta presentato come uno che riconosce qualche colpa commessa, ma quasi sempre innocente – è presentato come una persona offesa, umiliata, accusata falsamente di realtà mai commesse. Si presenta come circondato da un branco di accusatori che lo sovrastano per potenza, capacità di farsi valere in tribunale, persone con il potere giudiziario in mano e che essi stravolgono a proprio uso e consumo, mettendo nell’impossibilità il “giusto” di potersi difendere e di vedere riconosciute dall’autorità giudiziaria le proprie ragioni e la propria innocenza.

Molto importante è l’analisi fatta da Wénin del Sal 109 (pp. 59-74). I vv. 6-19, che fanno difficoltà per il loro tono violento e il loro contenuto inaccettabile, rappresentano di fatto le parole degli accusatori riportate dall’accusato. “Essi” parlano “contro di lui”. Questo è decisivo per l’interpretazione del testo salmico.

Il giusto, l’accusato ingiustamente, si rivolge a YHWH invocando la sua vicinanza dovuta e sperata in quanto collegata al rapporto di alleanza che ha sempre connotato il rapporto di YHWH con il suo popolo. Da Dio liberatore, difensore dei poveri e dei deboli, egli deve intervenire per difendere il suo stesso nome. Il fedele non può essere lasciato solo da Colui che ha fatto dell’“amore fedele e misericordioso/esed” la sua cifra caratteristica.

Il giusto si lamenta, descrive con toni accesi le parole e l’atteggiamento degli avversari e chiede a YHWH che intervenga, esca dal suo mutismo e dalla sua inattività e corra in difesa del debole.

L’accusato parla a volte di “vendetta” e Dio è chiamato anche “Dio delle vendette”. Ma il termine biblico non è equivalente a quello che significa nella lingua italiana odierna. Esso equivale al nostro “fare giustizia”, fare in modo che la giustizia sia riconosciuta.

Dopo aver spesso descritto il proprio stato miserevole, spesso causato dalla propria fedeltà a YHWH, l’orante affida a YHWH la propria causa, lasciando spesso a lui di scegliere le modalità con le quali ristabilire la giustizia. Talvolta si accenna anche al desiderio che gli avversari siano puniti dalle conseguenze stesse delle loro cattive azioni (cadano nella fossa da loro stessi scavata!).

In ogni caso, quello che viene espresso in questi salmi non è mai una rabbia o un odio gratuito, immotivato, puerile. Esso è l’esplosione del dolore di colui che si trova le vie sbarrate da ogni lato, ridotto all’impotenza di fronte al male/malvagio potente, sicuro della propria impunità, arrogante, dimentico di YHWH («YHWH non conosce…»). Se YHWH non interviene a ristabilire la giustizia, smentisce il suo statuto di Dio giusto e liberatore, legato da un patto ben preciso con il suo popolo. Nella parte finale del Pater, Gesù chiede: «Liberaci da male!». È questo che il salmista chiede, pur con animo esasperato e con la vita ridotta a brandelli. Il male deve essere estirpato in radice, fino dal seno violento della madre idolatra/Babilonia.

I salmi non incitano all’odio o alla vendetta e non coinvolgono YHWH in azioni odiose per il Dio della vita e dell’amore. Ma la vita ha spesso tratti odiosi e violenti, completamente “ingiusti” e spesso proprio contro persone e popoli innocenti, umiliati e feriti dalla storia.

Il grido per la giustizia può allora salire ben forte, se ben interpretato e ben pregato nella comunità “cattolica”, che fa proprio il grido di dolore di tanti innocenti perseguitati.

La Bibbia non va censurata. Sono i lettori/credenti che vanno educati alla scuola della Bibbia. Una volta compresi i valori in campo, l’orante potrà compartecipare con sofferta preghiera al grido di dolore di tanti “ammutoliti” e “scartati” della storia, calpestati in faccia dagli scarponi degli oppressori, fatti sparire negli oceani o in galere senza luce, annichiliti da un mercato finanziario cieco e cinico.

Un libro davvero importante e illuminante questo di Wénin – come tutti i suoi libri, ben scritti, molto precisi e informati –, su un tema di forte criticità ma decisivo per la fede cristiana immersa in un mondo che non è ancora il paradiso o il Regno compiuto.

André Wénin, Salmi censurati. Quando la preghiera assume toni violenti (Studi Biblici 83), EDB, Bologna 2017, pp. 128, € 14,00. 9788810410349

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