Il male, il riscatto, la fragilità perdonata

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Il volume Inferni, pubblicato da Giovanna Brambilla, responsabile dei servizi educativi alla GAMeC di Bergamo, ripercorre la storia dell’arte usando la lente del male e del dolore, tratteggiando diverse tipologie di inferni e di riscatti. La recensione è ripresa dalla piattaforma di arte e cultura contemporanea Art Tribune (10 ottobre 2020).

Giovanna Brambilla

Nel mondo della museologia e dell’educazione allo sguardo critico, il nome di Giovanna Brambilla è noto per la capacità di sperimentazione, la visione e la spinta innovativa: i servizi educativi della GAMeC di Bergamo, da lei coordinati, sono un modello per la loro forza civile, che fa dell’etica e della relazione con il territorio due pilastri ineludibili.

Proprio per questa costante interrogazione sul ruolo dell’arte nella crescita individuale e collettiva, sulla possibilità di una presa di parola e di pensiero, e sulla mediazione per un pubblico non specialistico, il suo recente volume Inferni. Parole e immagini di un’umanità al confine (EDB, Bologna 2020) non appare in alcun modo «altro» ‒ un pensiero laterale o una divagazione ‒ rispetto al lavoro museale.

La lettura di questo studio breve ma densissimo, che illumina con una luce puntuale, affilata, a volte dolorosa alcuni angoli della storia dell’arte dall’antichità a oggi, rappresenta un’esperienza dinamica di colloquio fra chi siamo, l’arte come specchio e cosmo, la nostra interpretazione del dolore: sommersi, salvati, esegeti, teologi, artisti, tutti accomunati da quella spinta interrogativa sul peccato, la perdizione e il riscatto cui l’arte ha dato forme diverse lungo tutta la sua traiettoria.

Nella storia dell’arte

Non c’è mai giudizio nelle pagine del libro, piuttosto un confronto serrato e intimo con la storia dell’arte (“cara compagna”, diceva Franco Russoli) come infinito atlante di memoria: un portolano da interpellare nei momenti in cui serve uno scatto di crescita, quelli in cui si cerca una risposta, o anche solo un’interlocuzione. Per questo il libro parlerà agli specialisti ma anche agli appassionati, agli studenti e agli insegnanti, a chiunque insomma rifletta su modi per rinnovare lo sguardo di fronte ai nodi della coscienza, quella privata e quella sociale, appoggiandosi alle opere.

Se mi chiedessero che cos’è la storia dell’arte risponderei proprio con questo saggio, che ricomprende entro la relazione con l’opera temi di etica e di filosofia, di economia e di politica, in una stratificazione potenzialmente infinita, qui gestita con splendide semplicità e senso della misura.

L’autrice si muove inquieta dentro una storia dell’arte che conosce benissimo, ed è appassionante seguirla lungo i secoli senza paura degli scarti temporali o dell’originalità del percorso, abbandonandosi alla sua scrittura tesa ma sempre armonica. Pagina dopo pagina pone sotto una luce diversa quello che forse abbiamo studiato, ma (lo capiamo solo leggendo) non distillato fino in fondo. Ecco dunque che ri-capiamo tante opere e le urgenze che le hanno generate in relazione alle preoccupazioni di un’epoca, a un’idea di destino o predestinazione, al gradiente di dolore e disperazione che circola nel mondo intimo e in quello geopolitico: per esempio la topica dell’iconografia del Giudizio Universale (per tanti secoli alto-basso, destra-sinistra, a rimarcare una destinazione irrevocabile); il caos profetico e moderno che rende rivoluzionaria la Cappella Sistina; il senso di insanabile scandalo incorporato nelle pareti della Quinta del Sordo di Goya; e poi le opere di Munch, MušičBacon e tanti altri.

Inferni contemporanei

Ma le pagine più incandescenti sono quelle dedicate alla contemporaneità: dalla Vaporizaciòn di Teresa Margolles, ambiente in cui stanno sospesi i vapori di una camera mortuaria, alle Personnes di Christian Boltanski (al Grand Palais di Parigi nel 2010), al video Rave Party di Mustafa Sabbagh che mette a confronto la dinamica dell’alienazione presso i raver e i migranti soccorsi in mare, passando per Gursky, AtkinsHolzer e molti altri, l’autrice costruisce un pensiero in crescendo, con una spinta verso l’oggi e i codici che lo possono rappresentare: che cosa chiamiamo inferno? Come gli artisti rappresentano il modello di lavoro nato dall’economia neoliberista, la disoccupazione, il narcisismo, l’assenza di valori, gli Armageddon della nostra epoca? E noi, ci riconosciamo in quelle opere o ci giriamo dall’altra parte?

È forse banale notare la coincidenza temporale fra la scrittura del volume e la diffusione della pandemia, che si è abbattuta sul territorio di Bergamo con particolare violenza, mettendo in luce le falle di un sistema politico omertoso e spaccando in due territorio e comunità, come nelle rappresentazioni medievali. L’inferno da una parte e la salvezza dall’altra, separati da una soglia sottile: qualche ora di tempo, il numero di telefono giusto, una famiglia vicina.

Forse il libro sarebbe nato comunque, chissà: ma leggerlo adesso, in un momento di esposizione e debolezza, aiuta a collocarsi dentro la storia con una prospettiva più consapevole, a ricomprendere la storia dell’arte come quella «cara compagna» che cresce con noi.

giovanna brambilla

La fotografia di Letizia Battaglia

A chiusura del volume la fotografia scattata da Letizia Battaglia a Rosaria Costa, vedova di Vito Schifani morto nell’attentato a Giovanni Falcone, con la sua partizione netta fra luce e ombra, rimanda alla tradizione antica del Giudizio Universale ‒ per esempio quello degli Scrovegni ‒ in cui il fondo nero dentro cui sprofondano i dannati è contrapposto alla luce che festeggia i salvati: quelli, forse, che nonostante il male subìto sanno perdonare.

Se non c’è paradiso senza inferno, non c’è liberazione dal dolore senza che quel dolore abbia fatto tutto il suo corso. Al di là, a saperla vedere, la grazia.

Giovanna Brambilla, Inferni. Parole e immagini di un’umanità al confine, EDB, Bologna 2020, pp. 128, € 16.

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