La voce del profeta

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copertinaSan Salvador, 24 marzo 1980: mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, viene assassinato mentre celebra la Messa nella cappella di un ospedale.

23 maggio 2015: mons. Romero viene beatificato. 14 ottobre 2018: mons. Romero viene proclamato santo da papa Francesco insieme, tra l’altro, a Paolo VI, che l’aveva nominato vescovo nel 1970.

Il processo di beatificazione è stato lunghissimo e contrastato: 36 anni. Mons. Romero è stato una figura scomoda, controcorrente e coraggiosa, che ha trovato non poche critiche e ostacoli all’interno della Chiesa stessa.

Nato da una famiglia umile, di origine contadina, ma sensibile alle arti e alla cultura, fu educato al senso dell’onore e alla volontà di eccellere. Nella prima fase del suo percorso ecclesiastico era considerato rigido e poco comprensivo con le debolezze dei suoi confratelli, che per questo lo temevano e non lo amavano molto. In seguito, nominato vescovo, si avvicinò sempre più ai poveri e rimase molto impressionato dall’assassinio di sei contadini catechisti della sua diocesi e dalla repressione delle proteste popolari da parte del governo di destra.

Nel febbraio 1977 anche il suo amico Rutilio Grande, gesuita (Romero era stato educato e aveva studiato dai gesuiti), fu ucciso. Il Salvador in quegli anni stava vivendo una terribile dittatura e una minoranza di latifondisti deteneva potere e ricchezze, mentre il popolo soffriva terribilmente, veniva sfruttato e sottoposto a vessazioni e violenze. Ogni forma di protesta veniva soffocata nel sangue.

Romero, dopo una fase di crisi e riflessione, prende coscienza della necessità di schierarsi, come pastore e come Chiesa, dalla parte dei poveri, non esitando a prendere nette posizioni contro la dittatura e a invitare gli stessi membri dell’esercito e della polizia a disobbedire e ribellarsi a ordini disumani. Sarà consapevole della forza delle sue parole e della scomodità delle sue omelie, ma rimarrà coerente fino alla fine, fino al martirio. «Risorgerò nel popolo salvadoregno» è una sua affermazione. «La Chiesa non smetterà di essere voce di quanti non hanno voce, fino a quando ci saranno oppressi» (20 maggio 1979).

Il libro La voce del profeta è un lavoro di quattro eminenti studiosi gesuiti. Da un lato, è un’agiografia già pronta da tempo; dall’altro, un’analisi delle opere e del pensiero di mons. Romero, un santo che, pur rimanendo dentro la Chiesa, seppe cambiare. «Sentire con la Chiesa» era il suo motto. Non gli furono risparmiate sofferenze a causa delle critiche che gli venivano rivolte all’interno dell’istituzione stessa e che probabilmente hanno rallentato così tanto il suo processo di beatificazione. È stato necessario l’avvento di un papa sudamericano come Francesco per sveltire il procedimento.

Le testimonianze sul monsignore hanno taglio diverso: se Alvarado si sofferma sulla biografia scandita da citazioni evangeliche, Cardenal analizza con più precisione la catechesi portata avanti da Romero nelle sue quasi duecento omelie. Emerge così la figura del pastore, che sa capire e ascoltare le sofferenze del suo popolo. «Il pastore deve stare dove si trova la sofferenza. E io sono venuto – come sono andato in tutti i luoghi dove c’è dolore e morte – a portare la parola di consolazione a quelli che soffrono» (30 ottobre 1977).

Monsignore era solito citare per nome e cognome le vittime del regime, dirne le sofferenze, farle uscire dall’anonimato, capiva il suo presente con spirito profetico e sosteneva vivamente che la Parola di Dio era stata inviata per illuminare la realtà storica, per metterla in discussione, per entrare anche nella politica, che fa parte dell’attualità.

La sua critica profetica si rivolse verso l’interno della Chiesa, sempre bisognosa di conversione. Denunciò così la divisione dell’episcopato, la persecuzione contro la Chiesa da parte di alcuni cristiani, l’abuso e il commercio dei sacramenti, la paura di alcune istituzioni cristiane che non contribuivano alla risoluzione dei problemi del mondo.

All’esercito si rivolse così: «In nome di Dio, allora, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono fino al cielo ogni giorno più forti, vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: Cessi la repressione!» (23 marzo 1980).

Romero predicava una Parola capace di entrare in conflitto col mondo e con il potere. «Una Chiesa che non provoca crisi, un Vangelo che non inquieta […] una parola di Dio che non tocca il peccato concreto della società in cui viene annunciata: che Vangelo sarebbe? Pie considerazioni molto belle, che non danno fastidio a nessuno: molti vorrebbero che la mia predicazione fosse a quel modo. E quei predicatori che per non scomodarsi, per non avere conflitti e difficoltà, evitano ogni argomento spinoso, non illuminano la realtà in cui vivono» (15 aprile 1978). Sapeva che la persecuzione non si sarebbe fatta attendere molto.

La meditazione di Jon Sobrino è incentrata su un parallelismo, nei suoi tre anni di arcivescovo, tra Romero e Gesù e si articola attorno a due frasi. La prima è di un contadino: «Monsignor Romero disse la verità. Ci difese, da poveri. E per questo lo hanno ucciso». La seconda è di Ignacio Ellacurìa: «Con Monsignor Romero, Dio è passato per El Salvador».

Interessante il discorso sulla canonizzazione e sul miracolo. Quest’ultimo può essere sia manifestazione di una potenza capace di agire in maniera contraria alle leggi di natura, fenomeno che può essere solo opera di Dio, sia la manifestazione di un grande amore, capace di convertire e rendere migliori gli essere umani.

L’ultimo contributo «Risorgerò nel popolo salvadoregno» riguarda la presenza, dopo la morte, di mons. Romero, scelto anche da numerose chiese non cattoliche come figura esemplare.

Una dimostrazione della vitalità della sua figura.

Rolando Alvarado – Rodolfo Cardenal – Jon Sobrino – José María Tojeira, La Voce del profeta. Vita e opere del vescovo Romero, EDB, Bologna 2018, 120 pp., 12 euro. Recensione pubblicata su Lankenauta il 28 ottobre 2018.

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