“Mad Men”: Il disagio della civiltà

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Mad Men (una scena)

«Non ci si può sottrarre all’impressione che gli uomini di solito misurino con falsi metri, che aspirino al potere, al successo, alla ricchezza e ammirino queste cose negli altri, ma sottovalutino i veri valori della vita».[1] Con questa frase si apriva Il disagio della civiltà di S. Freud e forse non esistono parole migliori per descrivere sinteticamente il contenuto di una delle serie televisive più importanti dell’ultimo decennio, Mad Men, che ha raccontato in modo cinico e allo stesso profondo il disagio della nostra società occidentale.

Ideata da Matthew Weiner per il network AMC, la prima stagione di Mad Men veniva trasmessa in Italia dieci anni fa, a partire dal marzo 2008, per concludersi dopo sette stagioni e 92 episodi nel maggio del 2015.[2] È tata per tre anni consecutivi la miglior serie drammatica ai Golden Globe, ha vinto quindici Emmy Awards, di cui quattro consecutivi per la miglior serie drammatica e tre per la miglior sceneggiatura; inoltre il grande impatto estetico che essa ha avuto nella nostra cultura è stato ampiamente riconosciuto da numerosi studi.

Mad Men è un opera complessa che può essere letta in diversi modi. Essa è sicuramente uno ritratto dettagliato dell’America degli anni sessanta: ne racconta le idee, i miti popolari e soprattutto i mutamenti sociali in atto durante tutto il decennio. «Quest’ultimo con il Vietnam, la rivolta studentesca, i movimenti di liberazione delle minoranze e gli assassinii di JFK, Martin Luther King, Bob Kennedy e Malcom X ha reso manifesta la fine di una società che aveva portato gli Stati Uniti a conquiste e successi straordinari».[3]

Ambientata a New York – che negli anni Sessanta era il centro del mondo in tanti ambiti: televisione, radio, teatro, musica, libri, denaro, commercio – la serie racconta le vite di alcuni pubblicitari che lavorano per l’agenzia pubblicitaria Sterling Cooper in Madison Avenue, culla del settore fin dagli anni Venti. Gli «uomini folli» richiamati nel titolo della serie è il nome con cui gli stessi professionisti al lavoro nelle agenzie di quella strada, detta appunto Mad Avenue, si descrivevano. In particolare Mad Men segue le vicende del direttore creativo dell’agenzia, Don Draper (Jon Hamm).

Geniale e affascinante, Draper è un personaggio terribilmente ambiguo e misterioso, che ha sfruttato il suo genio per emergere dal nulla di un’infanzia disastrata, ricostruendosi una vita sfruttando una terribile esperienza di guerra. Draper, il cui vero nome è Dick Whitman, prende infatti il suo nuovo nome da un commilitone morto in Corea, ne ruba l’identità per tagliare definitivamente i ponti con il passato. Egli rappresenta l’uomo nuovo, incarnazione del mito tutto americano di chi si è fatto da solo a dispetto delle sue umili origini. Ma Draper ha fondato questa novità sulla menzogna e deve continuamente difendere la sua vita dalla minaccia di un passato con il quale non è capace di rappacificarsi e che torna puntualmente a tormentarlo. Draper è un progressista e un reazionario allo stesso tempo: da una parte è interessato alla vita, al comportamento delle persone, dall’altra però disprezza le mode passeggere e cerca di trattenere qualsiasi cosa perché è terrorizzato dal cambiamento. Egli «è il simbolo di una società evoluta e raffinata, al culmine della sua potenza, che sta per andare in frantumi: avverte onnipresente l’inevitabilità della crisi, la fragilità del terreno su cui ha edificato la propria vita».[4] Questo elemento è sottolineato magistralmente della meravigliosa sigla di apertura.

Come suggerisce lo stesso Weiner, Don è un esistenzialista, «è consapevole che tutto ha una fine, è consapevole della morte, della caducità di ogni esistenza: fuma di continuo, beve di continuo, fa sesso di continuo e lo fa per sentirsi vivo».[5]

Mad Men (una scena)

John Hamm nei panni di Don Draper

La vicenda di Draper fa emergere così il livello più profondo di Mad Men, una narrazione corale che attraverso l’espediente del period-drama vuole essere in realtà un’esplorazione psicoanalitica della società e della storia contemporanea. Il legame con la psicoanalisi è peraltro esplicitato fin dalla prima puntata della serie e rappresenta una chiave di lettura dell’intera opera. In Get Smoke in your Eyes, infatti, l’agenzia di Draper è alle prese con un problema che richiede tutto il suo genio. La Sterling Cooper ha fondato gran parte del suo successo sulla promozione del marchio Lucky Strike; ma agli inizi degli anni Sessanta, negli USA, le commissioni mediche nazionali forniscono i primi dati relativi alle malattie mortali legate al consumo di tabacco. Il governo comincia così a porre le prime condizioni di restrizione alla pubblicizzazione delle sigarette, fino ad allora promosse liberamente come qualsiasi altro prodotto.[6]

Tra le diverse piste studiate da Draper per continuare la campagna di promozione del tabacco viene citato il famoso «desiderio di morte» teorizzato da Freud in Al di là del principio di piacere (1920), in cui lo psicanalista austriaco analizzava il rapporto tra ErosThanatos, ovvero rispettivamente la «pulsione di vita» e la «pulsione di morte». Sembrerebbe una citazione casuale, ma è proprio questo desiderio inconscio di autodistruzione che domina i personaggi della serie, abitatori di un mondo apparentemente ricco e perfetto ma profondamente insoddisfacente.[7]

È inoltre interessante sottolineare che proprio nel 1960 veniva pubblicato un controverso libro di Norman O. Brown, La vita contro la morte, che riprendeva proprio il lavoro di Freud sviluppando una sorta di filosofia della storia in chiave psicoanalitica. Secondo Brown il processo storico poggia sul desiderio dell’uomo di divenire altro da ciò che è: «L’uomo crea la storia per porre fine alla sua condizione di infelicità». Questo aspetto per Brown era già stato messo in luce nella storia del pensiero dalla teologia cristiana e da quella agostiniana in particolare, che riconosce nell’inquietudine e nello scontento dell’uomo, nel cor inquietum, la fonte psicologica del processo storico. «L’uomo è così l’animale insoddisfatto, l’animale nevrotico, cui la natura fa desiderare ciò che la civiltà non può soddisfare. Perché gli uomini sono inconsapevoli dei loro veri desideri”.[8]

Mad Men sembra riprendere in pieno suggestioni di Brown: il rapporto tra i desideri del cuore e i loro effetti sulla storia del singolo in primo luogo, ma anche gli effetti politici e sociali di una civiltà votata alla soddisfazione continua dei propri desideri che non portano però a nessuna vera e definitiva soddisfazione. Draper è certamente l’incarnazione di questo disagio, come dirà egli stesso: «Noi siamo imperfetti perché vogliamo sempre di più, siamo imperfetti perché quando abbiamo ciò che volevamo desideriamo quello che avevamo prima».


[1] S. Freud, Il disagio della civiltà e altri saggi, Boringhieri, Torino 1971, 199.

[2] La prima stagione della serie televisiva Mad Men è stata trasmessa in prima visione negli Stati Uniti da AMC dal 19 luglio al 18 ottobre 2007.

[3] F. Guarnaccia, “Cose. Il potere degli oggetti in Mad Man”, in Arredo di serie. I mondi possibili della serialità televisiva americana, Vita e Pensiero, Milano 2009, 65.

[4] F. Guarnaccia, “Cose. Il potere degli oggetti in Mad Man”, in Arredo di serie. I mondi possibili della serialità televisiva americana, Vita e Pensiero, Milano 2009, 68-69.

[5] Serial Writers, in Link. Idee per la televisione, n.15, RTI, Milano 2013, 115.

[6] Negli Stati Uniti il 1964 fu l’anno in cui venne rilasciato il Surgeon general’s advisory commitee report on smoking and health, rapporto in cui si affermava sostanzialmente che fumare aumenta la possibilità di sviluppare il cancro. In seguito fu emanata una legge che imponeva le diciture di avviso sui pacchetti e vietava di fare pubblicità al fumo.

[7] La passione per la psicoanalisi  di Matthew Weiner era già emersa in un’altra importantissima serie americana, “I Soprano”, che iniziava appunto con la seduta psicoanalitica del boss Tony Soprano.

[8] N.O. Brown, La vita contro la morte. Il significato psicoanalitico della storia, Adelphi, Milano 2002, 34-35.

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