Politica e potere nell’Antico Testamento

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Il titolo provocatorio – Non date a Cesare quel che è di Dio – fa già intuire la critica che l’Antico Testamento fa al potere politico, nonostante il fatto che nell’immaginario dei cristiani ci sia la forte convinzione che il potere viene direttamente da Dio e che la Bibbia nel suo insieme lo veda favorevolmente. Si è proceduti per secoli con una lettura fondamentalista o letterale della Bibbia. Con danni enormi. Su questo si è impostato l’esercizio del potere nel mondo moderno. Provenienza da Dio, non dai diritti dell’uomo… Solo il 7 ottobre 1793 a Reims fu rotta l’ampolla dell’olio con cui venivano unti i re di Francia, olio che rimandava a quello usato da Samuele per ungere Davide come re (1Sam 16,13).

Claudio Balzaretti – dottore in Scienze Bibliche al PIB, laureato in lettere classiche, esperto di Islamistica e di Ebraistica, docente il liceo classico e linguistico Carlo Alberto di Novara – smonta la prospettiva favorevole con la quale normalmente si guarda alla regalità di Davide e di Salomone, per fare un discorso più generale sul potere.

Dall’uscita dall’Eden l’uomo è scivolato sempre più verso forme di potere di sopraffazione che hanno toccato i rapporti tra uomo e donna e l’assetto del popolo di Israele nella sua lunga storia che, da un solo uomo, portò alla nascita di una nazione e di uno Stato. La lotta per il potere fa uccidere fra fratelli.

Dopo il periodo della guida estemporanea e occasionale fornita dai Giudici – epoca in cui “ognuno faceva quello che era giusto/hayyāšār per lui” (non “bene”/CEI 2008; cf. p. 31 r 1) –, Dio concede controvoglia la regalità a Israele dietro insistenza del popolo che voleva essere come gli altri popoli.

Il libro delle Cronache idealizza Davide come cantore e compositore di salmi e Salomone come detentore di un’immensa sapienza. Le vicende più concrete narrate dai libri storici rivelano invece delle persone che cercano il potere, sfruttano il popolo, ingannano i loro ufficiali, si prendono le loro mogli dopo averli fatti uccidere proditoriamente con inganno, cercano l’ammasso di oro e non disdegnano perfino il lavoro forzato imposto ai loro sudditi.

La storia del Regno del Nord, come quello di Giuda al Sud, finirà nell’annientamento e nell’esilio. Mentre gran parte del popolo resta in diaspora in Babilonia e in Egitto e solo una parte ritorna. Esdra e Neemia cercano una negoziazione sociale dell’esercizio del potere, pur perseguendo l’idea di un popolo unito e puro grazie a matrimoni endogamici. I cinque figli maccabei finiscono tutti malamente, mente i sette ragazzi che contestano apertamente il potere muoiono martiri. Sono loro i veri “maccabei”. Il martirio è la contestazione totale del potere costituito.

Le donne sono sfruttate dal potere ben saldo in mano maschile, ma talvolta si fanno corresponsabili del suo esercizio malvagio (Gezabele, Atalia). Alcune donne sono eroine (Ester, Giuditta), che dissimulano per poi ottenere salvezza al proprio popolo o seducono con arte femminile per uccidere il potente nemico. Altre donne sfidano la sapienza del re – che non si mostra né sapiente né deciso: le due prostitute che si disputano un bambino e la donna di Tekòa che chiede a Davide di far tornare a corte Assalonne.

Sono donne che, con astuzia, si sottomettono al potere, cercano di conviverci senza troppi danni. Povere donne, alla fin fine. Tamar deve sedurre il suocero Giuda travestita da prostituta per avere la discendenza promessa. Tace, si sottomette e resta dalla parte del vincitore. Un’altra Tamar, figlia di Davide e di Maaca, viene stuprata dal fratellastro Amnon, primogenito di Davide nato da Achinoam. Tamar denuncia pubblicamente la violenza subìta, ma per questo rimarrà per sempre tristemente emarginata.

I re di Israele non leggono ogni giorno la Torah come imponeva loro il Deuteronomio, ma seguono “la legge del re” prevista dal libro nei suoi aspetti più brutali di sottomissione e sfruttamento dei ragazzi, delle giovani, delle terre e dei loro prodotti.

Si può vivere con un riferimento alla Torah anche fuori dei confini della terra vista come promessa. Tobi e Daniele vivono fedeli a YHWH in diaspora, pregano in direzione del tempio, ma non hanno alcuna intenzione di tornare a Gerusalemme…

Domanda forte quella di Balzaretti: «Il mito politico della regalità davidica si era coniugato con il mito della terra promessa; ma dove si parla di terra, territorio, suolo si finisce per porre confini, recinzioni, limiti. […] “Questo è mio” segnò l’inizio della civiltà fondata sulla disuguaglianza. La terra promessa non è uno Stato né un luogo ideale, perché essa viene dopo una colpa ed è al di fuori del paradiso terrestre. Solo il ritorno nel “giardino” di Dio, dove l’uomo era prima ospite non padrone, eliminerà ogni divisione e diseguaglianza. Ma nel frattempo?» (p. 87).

Cristo Gesù, discendente davidico, dimostra infine una regalità diversa, quella del Crocifisso.

Nel frattempo ora domina l’empio e il potere del Maligno – afferma l’autore con un rimando a 2Ts 2,8 e a 1Gv 5,19) –. Ci sarà chi/ciò che “trattiene” e, quando questi sarà eliminato, nello stesso istante sarà distrutto dalla spada della Parola anche il Maligno.

Il potere lusinga, manipola, soggioga con dolcezza, ricerca il consenso e non la verità, tende a perpetuare se stesso non secondo una vera contrattazione sociale ma per lignaggio, geneticità, gruppi di pressione associati.

Non svendiamo a Cesare – chiede Balzaretti – il potere dai molteplici volti – oggi quello dei tecnocrati, gli scienziati spregiudicati, degli oscuri manovratori del mondo della finanza – quello che è di Dio, la pienezza del volto dell’uomo chiamato a vivere in fraternità e nella gratuità.

Un libretto piacevole, dal linguaggio piano, tono “leggero”, senza discussioni filologiche. L’autore invoglia a leggere personalmente i racconti dell’AT, ricchi di sapienza e di enorme attualità.

Alcune annotazioni. A p. 24 r. 2 Lot non è “fratello” di Abramo ma suo nipote, essendo figlio del fratello di Abramo, Aran, morto in precedenza (cf. Gen 11,28.31). Questo anche se, quando Abramo si separa da lui, afferma: «Non vi sia discordia fra me e te [… ] perché siamo fratelli/’aḥîm ’ănāḥnû» (Gen 13,8). A p. 34 r. 16 elimina “che”.

Claudio Balzaretti, Non date a Cesare quel che è di Dio. Politica e potere nell’Antico Testamento, Città Nuova, Roma 2020, pp. 96, € 16,00.

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