La preghiera “senza aggettivi”

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Oggi, giovedì 14 maggio, i credenti di tutte le religioni sono convocati per una giornata di preghiera comune e di pratiche della carità rivolgendosi a Dio affinché l’umanita fraternamente unita si impegni in ogni campo per superare la pandemia e i suoi effetti di lungo termine.

«Poiché la preghiera è un valore universale, ho accolto la proposta dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana affinché il prossimo 14 maggio i credenti di tutte le religioni si uniscano spiritualmente in una giornata di preghiera e digiuno e opere di carità, per implorare Dio di aiutare l’umanità a superare la pandemia di coronavirus» (Francesco, Regina Caeli, 3 maggio 2020). Poche sobrie parole, con un respiro che va però oltre qualsiasi forma convenzionale – come è tipico dello stile di Francesco.

Non solo perché ci restituisce l’immagine di una massima guida religiosa che aderisce a un’iniziativa proposta da altri. Non solo perché ci rende certi che quel giorno papa Francesco sarà esattamente uno come tutti nella moltitudine di fedeli appartenenti a religioni diverse. Non solo perché riconosce nella preghiera una pratica intorno alla quale tessere la trama di un’alleanza religiosa a favore di tutta l’umanità.

Ma anche e soprattutto perché restituisce la preghiera all’umano comune di tutti noi – credenti e non. Poche parole per sancire, da parte cattolica, la fine di ogni addomesticamento clericale della preghiera: l’uomo e la donna della strada la sanno praticare, magari anche solo estemporaneamente, bene se non meglio degli specialisti di ogni religione che ne fanno un esercizio quotidiano di vita.

Chi fra noi, in questi primi mesi di pandemia, non ha portato nel cuore un desiderio, una paura, un lutto, una speranza, una mancanza (di relazioni, di volti, di contatto)? Chi non ha coccolato un sogno, un’immagine di futuro, una prospettiva in questo momento apparentemente impossibile? Anche i nostri ragazzi, così lontani dalla religione che propiniamo loro, coltivano una genuina preoccupazione per la qualità della convivenza umana che è stata seriamente limitata, forse ferita, dalle disposizioni dei vari governi.

Francesco ci restituisce in maniera cristallina la consapevolezza che la preghiera è senza aggettivo. Possiamo così tranquillamente lasciare da parte tutto un repertorio stantio davanti alla realtà che viviamo, e chiamare queste disposizioni spirituali dell’animo con il nome che meritano: preghiera, appunto. Senza sacerdoti, senza tempio, senza ammaestramento. Ma non senza tempo: l’esperienza concreta e cangiante del vivere. E neanche senza luogo, a dire il vero: ovunque sulla terra amata da Dio.

Fin dai primi giorni della pandemia uno strano senso di appartenenza comune e di destino condiviso ha portato i popoli dell’Occidente secolarizzato a esporre cartelli colorati, magari dai bimbi costretti in casa, con la scritta «andrà tutto bene». La comunicazione di massa l’ha banalizzato, ma si trattava di cosa decisiva per la tenuta spirituale di tutti. Anche le Chiese, che avrebbero potuto farlo, non ne hanno compreso appieno la radice umana e spirituale. Non si trattava e non si tratta di un’affermazione – ce lo impedisce un minimo senso di realtà, soprattutto quando tutto andava drammaticamente male. È invece un’invocazione lanciata verso un destinatario ignoto.

Ce lo dicevamo tra noi, ben sapendo però che nessuno di noi avrebbe potuto corrispondere a questa attesa. Non gli scienziati, non i politici, non gli uomini di Chiesa o i leader religiosi. Consapevoli di questo, abbiamo comunque azzardato, in una sorta di sentire spirituale collettivo, questa parola lanciata negli spazi dell’immaginario della nostra quotidianità in quarantena.

L’antica tradizione religiosa dei popoli ha un nome per questa pratica della parola: giaculatoria. Forma elementare ed essenziale della preghiera. Improvvisamente i popoli e le genti, ognuno di noi, si è ritrovato a vivere nel modo proprio della preghiera – magari senza averne del tutto consapevolezza, ma questo non è così importante. Un modo di vivere che chiede di essere onorato lasciandolo nelle mani e nei cuori di chi così lo pratica.

Davanti a questa evidenza e coscienti delle domande profonde sollevate dal tempo presente, le Edizioni Dehoniane Bologna hanno pensato di offrire ai lettori un piccolo affondo, raccogliendo la voce di tre teologi, nella consapevolezza che la preghiera davanti al male costringe a fare chiarezza sulle rappresentazioni del Dio in cui crediamo o non crediamo.

La preghiera ha la qualità di un gesto squisitamente teologico che la riflessione deve interrogare, approfondire, purificare. Perché pregare e chi? Dio ascolta la nostra preghiera? E come agisce nella sua creazione? Che senso ha “fare richieste” a un Dio che conosce tutto ed è amore sempre donato? I contributi raccolti in questo e-book tracciano un itinerario che intende farsi carico della domanda su Dio per orientare la risposta a interrogativi fondamentali dell’esperienza umana.

Kurt Appel, Massimo Nardello, Andrés Torres Queiruga, Dio, dove sei? Ripensare la preghiera nel tempo dell’emergenza, EDB, Bologna 2020, 2,99 euro. Versione e-book PDF e epub.

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Un commento

  1. Adelmo Li Cauzi 14 maggio 2020

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