I profeti, lo sguardo di Dio

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Lo sguardo di Dio

Col suo ben noto stile incisivo e accattivante, il fecondo autore e ricercato conferenziere valdostano introduce il lettore alla conoscenza dei principali elementi storico-religioso-letterari di alcuni dei maggiori profeti biblici, per proporre un quadro generale in cui inserire le riflessioni su alcuni dei loro testi più importanti, spesso letti nella liturgia cattolica domenicale.

Il profeta è un uomo che parla per conto di Dio davanti agli uomini, per far cogliere al popolo lo sguardo di Dio sulla realtà, il pensiero profondo che YHWH rivolge sulle vicende personali e collettive che investono il vissuto di Israele, il popolo scelto da Dio per essere suo testimone nel mondo.

Gioie e tristezze, peccati e conversioni, tragedie umane personali e comunitarie, cattiverie e gesti di bontà, esili e distruzioni, depressioni ed esaltazioni eccessive possono far percepire al popolo che Dio non stia più della sua parte, ma che lo stia punendo in prima persona e lo faccia per sempre.

Il profeta illumina la gente sul desiderio che YHWH stesso ha della felicità dei singoli e delle genti nel loro insieme. Dio e le persone vogliono la stessa cosa. Mancando il bersaglio (= peccando) nelle proprie scelte, i singoli e le collettività vanno incontro alla conseguenze negative intergenerazionali, frutto della libertà usata male, e che Dio rispetta nel profondo.

YHWH però ha in mano un navigatore formidabile, capace di ricalcolare il percorso delle persone e dei popoli, di modo che si possa sempre trovare una via d’uscita, di speranza, di vita.

Mosè è il profeta più grande di Israele, perché ha parlato faccia a faccia con Dio (cf. Dt 34,10), e non per intermediata persona. Un profeta liberato da se stesso, per liberare Israele. La sua opera è descritta nella Torah, il Pentateuco, roccia sicura della fede ebraica. I Profeti, invece, nella liturgia del giudaismo, forniscono la Haphtarah, la lettura aggiuntiva a quella della Torah, e non godono della stessa stima e valore attribuiti ad essi nel mondo cristiano, dal quale invece i profeti sono molto amati.

Elia è il profeta zelante e battagliero, fuggitivo e in preda alla depressione, guarito e sempre pronto a indicare a Israele l’unico Dio che occorre adorare per essere felici. Strano che a p. 132 Curtaz non accenni alla «voce di sottile silenzio» come possibile traduzione alternativa alla «brezza leggera» (1Re 19,12), l’esperienza vissuta da Elia al monte Horeb.

Amos è un coltivatore di sicomori che ha sentito ruggire il leone, YHWH, e quindi non può non profetare contro l’ingiustizia, il culto perverso e venduto al potere politico che si pratica a Samaria, nel regno del Nord. Osea, invece, parte dalla propria vicenda matrimoniale striata dalla perversione tragica dalla prostituzione sacra della sposa Gomer per indicare l’amore appassionato di YHWH per Israele, un amore sponsale, paterno e materno capace di ricuperare la vita all’amore fedele e sereno di Israele verso il suo Dio. Tramite Osea, YHWH intenta una forte controversia giudiziaria, un rib, destinato a recuperare il partner ad una vita di fedeltà e di felicità.

Isaia (Is 1–39), il Dante della poesia biblica, al tempo del re Acaz e di Ezechia legge con lucidità spirituale il tempo storico e gli sconvolgimenti che il tessuto politico-militare-religioso subisce di fronte alla superpotenza assira. Induce il popolo a resistere, a fidarsi solo di Dio. Già intravede il discendente messianico della tribù di Giuda. Il Secondo Isaia (Is 40–55) indicherà, invece, la figura del servo sofferente come mediatore di salvezza, mentre il Terzo Isaia (Is 56–66), da parte sua, inviterà Israele a vivere bene il periodo del postesilio, ritornando a Dio nella conversione.

Geremia vive il tormento della profezia, quasi costretto a profetare, nonostante il suo carattere timido. Nei cinque brani di “confessioni” ci apre il suo diario intimo, ma nella sua profezia non teme di affrontare con grinta insospettabile (di origine divina, cf. Ger 1) re e falsi profeti per indicare con sano realismo di arrendersi ai babilonesi come unica possibilità di sopravvivenza di Israele dei fronte al soverchiante potere babilonese, restando fedeli a YHWH senza cedere alle sirene della falsa profezia securizzante a basso prezzo.

Ezechiele, sacerdote e profeta allo stesso tempo, è efficace nella sua predicazione, compiuta anche con azioni simboliche al limite della pazzia, perché è un profeta prigioniero, che parla agli altri a partire dalla condivisione della loro stessa tragica situazione di esilio, di azzeramento dei simboli religiosi e di lontananza della propria terra. In futuro ci sarà un nuovo tempio, che sarà fonte di acqua viva per la terra rinnovata di Israele.

Curtaz è attento ai risvolti psicologico-spirituali dell’interazione tra YHWH-profeta-popolo, e indica molte volte una garbata ed efficace attualizzazione personale del dato biblico. La Bibbia è specchio dei nostri pensieri, illusioni, sbagli, sentieri interrotti, percorsi di conversione.

La traduzione, anche se non è detto esplicitamente, è personale ed efficace.

Visto il successo prevedibile del volume, in vista di una sua seconda edizione indichiamo alcune correzioni e suggerimenti personali.

Personalmente cambierei la dicitura “Chiesa nuovo Israele” (cf. pp. 84.203), anche se usata quattro o cinque volte nel concilio Vaticano II, con “Chiesa Israele nuovo/rinnovato/messianico”. Da molti anni si chiede inoltre di non scrivere YHWH con le vocali, per non offendere la sensibilità dei lettori di fede ebraica.

È pressoché inevitabile la presenza di qualche refuso. Alcuni possono risultare però fuorvianti nella lettura. Si tratta per lo più di citazioni bibliche.

A p. 23 r -7 la data esatta è 587 e non 527; a p. 32 r -6 si può tradurre anche sono animali selvatici; a p. 47 rr 5-6, in Gen 12,1 Abramo non risponde con hineni; la citazione corretta a fine capoverso è Gen 22,7 (non Es 22,7). A p. 48 r. -6 il TM ha “sono sceso”, e quindi a p. 49 r. 3 si può aggiungere Sono sceso. A p. 48 nota 25 la disanima di Auzou verte sul titolo YHWH; a p. 51 r 3 Dio interviene non “per conto terzi”, ma “per intermediata persona”. A p. 55 r -6 leggasi le‘olam; alle pp. 217-281 ci si riferisce a Is 9 e non Is 8. A p. 114, Elia non è arrogante e maleducato con la vedova di Sarepta, ma molto delicato nei suoi confronti: usa due volte l’espressione “Per favore/Na’” (CEI 2008 ne traduce una sola, Curtaz nessuna). A p. 129 r 7 leggasi “sensi di colpa”; a p. 229 “il doppio” non è necessariamente il “castigo”; a p. 231 la messaggera (bene!) sembra essere Gerusalemme stessa nei confronti delle città satelliti sorelle/figlie che la circondano. A p. 233 leggasi Is 41,2-4; a p. 240 si poteva riportare anche il versetto Is 53,12; a p. 273 la citazione corretta è Ger 29,4-7. A p. 275 r 3 la citazione Is 11,40 è errata. Si può pensare a 2Re 25,26 o a Ger 43,4-8, e ricordare anche come Geremia finì la sua vita predicando a Tafni, in Egitto, dove probabilmente morì. A p. 279 leggasi 2Re 24,16, mentre a p. 294 la citazione esatta è Ez 47,1-7.12.

Ho letto il volume con immenso piacere (in particolare mi è molto piaciuto il capitolo iniziale su Mosè), quasi come una rinfrescata dell’anima aperta a YHWH, alla sua iniziativa di salvezza e alla sua volontà di felicità per tutti, alla sua chiamata a essere profeti anche ai nostri giorni: “Uno stuolo di profeti!” (pp. 295-298). Un gran bel libro, molto utile e fruibile da una vasta platea di lettori.

Paolo Curtaz, Lo sguardo di Dio. I profeti di Israele, (Dimensioni dello spirito s.n.), Edizioni San Paolo, Cinisello B. (MI) 2018, pp. 300, € 16,00, ISBN 978892216433.

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