Religiosità popolare, parallela e sempre viva

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copertinaLa prima uscita dal Vaticano di papa Francesco, appena eletto papa, fu un pellegrinaggio a Santa Maria Maggiore, per implorare protezione alla Madonna Salus Populi Romani. Davanti alla stessa icona si recò in preghiera in apertura del suo primo viaggio all’estero da papa, tornandovi poi in ringraziamento prima di rientrare a Santa Marta.

Furono due motivi di sorpresa, subito raccolta dalla grande stampa. Nel momento buio del chiudersi delle speranze sulla tragedia del popolo siriano, papa Francesco indisse nella sera di sabato 13 settembre 2013 una veglia di preghiera, durata quattro ore; e, all’inizio di essa, l’immagine di Maria Salus Populi Romani fu solennemente intronizzata da quattro alabardieri delle guardie svizzere davanti alla folla che gremiva Piazza San Pietro. In diretta continuità di sentire, quasi ogni domenica il papa fa pregare la gente raccolta in piazza per l’Angelus Domini nel più tradizionale dei modi, con l’Ave Maria.

Attualità del tema

È indubbio che, se le movenze teologiche e il magistero dei gesti fanno di papa Francesco un novatore, la sua personalità credente esprime tratti propri di una religiosità di popolo. E il popolo vive fortemente di tradizioni e nella tradizione.

Con questo riferimento al particolare momento che vive la Chiesa cattolica con un papa a impronta latino americana intendo sottolineare l’attualità e l’interesse che trovo nel numero di Studia Patavina (n. 1 del 2017) dedicato a «Pietà popolare, culto, devozioni».

Pensando alla situazione italiana, la presenza sempre più alta di sacerdoti di origine latinoamericano, africana o indiana accentua ulteriormente l’attualità del tema della religiosità popolare per almeno due motivi: 1) i sacerdoti latino americani e africani tendono a trasferire nelle celebrazioni liturgiche stile e gesti che vanno oltre la compostezza misurata del modo di celebrare usato nelle nostre parrocchie e danno spazio all’inventiva e all’adattamento personale; 2) questi sacerdoti, per necessità di cose, si lasciano spesso consigliare e guidare dai laici più impegnati nella vita della parrocchia. «Come fate qui per la sagra, per il Natale, per il funerale?», è la domanda più naturale e frequente. E i laici presentano inevitabilmente «quello che si è sempre fatto», ove largo spazio ha di solito, e grazie a Dio, la religiosità e la devozione popolare. Non a caso il tradizionalismo fiorisce e si rafforza in parrocchie affidate a sacerdoti stranieri.

La «Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti» ha pubblicato nel dicembre 2001 il Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, un documento che nella memoria ecclesiale si è perso tra tanti altri. L’obiettivo del testo viene così descritto dal prefetto, card. Medina Estévez: far conoscere «il valore della pietà popolare, tutelarne la genuina sostanza, purificarla dove fosse necessario, illuminarla con la luce della Sacra Scrittura, orientarla alla sacra liturgia, senza contrapporla ad essa». Come si vede, classico dosaggio di freno e acceleratore dietro un linguaggio neutro e distaccato.

Pietà popolare, culto, devozioni

Il numero di Studia Patavina che qui segnaliamo valorizza il documento anzitutto per il fatto che esso riconosce la religiosità popolare come effetto e frutto del radicamento della fede nelle culture. Partendo da questo dato concreto la riflessione della teologia pastorale è chiamata a interrogarsi sui motivi del permanere delle molteplici forme di devozione popolare, spesso accanto e nonostante la riforma liturgica, il movimento biblico e il nascere dei nuovi e organizzati movimenti di spiritualità.

Gli approfondimenti presentati da Studia Patavina si muovono su tre livelli: 1) lo scarto tra la religiosità popolare la «religione dotta» è profondo, ma la forza con cui è percepito non ha alcuna conseguenza sulla pastorale; 2) la religiosità popolare si esprime in tante forme quante sono le culture, le storie religiose e le vie di santità di cui si nutre, si tratta dunque di un fenomeno complesso e frastagliato, che impedisce giudizi unificatori assoluti; 3) per questo suo radicarsi umano nella cultura e nella storia, la valutazione della religiosità popolare pone problemi di interpretazione sia alla teologia che alle scienze umane.

Accanto agli approfondimenti generali, il volume presenta alcuni saggi pensati come sondaggi sul campo. Ad esempio, «L’emergenza del pellegrinaggio. Pregare con i piedi» o «Tra immaginette, santini, reliquie: vedere e toccare il sacro».

Il mai dimenticato don Luigi Sartori, che ancora sfoglierà dall’alto Studia Patavina, usava spesso, a proposito di ecumenismo, l’immagine dei «pezzi di pane avanzati: sette sporte piene» che i discepoli portano via dopo la moltiplicazione. E don Sartori concludeva: «perché nulla vada perduto». Lo diceva a proposito delle diversità tra le chiese, lo possiamo dire a proposito del contenuto della religiosità popolare.

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