Tornare a Gesù per essere cristiani adulti

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Eclissi dell’adulto e trasmissione della fede alle nuove generazioni

Armando Matteo, presbitero della diocesi di Catanzaro-Squillace, docente di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Urbaniana di Roma e autore di libri particolarmente incisivi nell’analizzare la complessità delle attuali condizioni del credere, ci regala un nuovo coinvolgente saggio dal titolo assolutamente intrigante: Pastorale 4.0 Eclissi dell’adulto e trasmissione della fede alle nuove generazioni, Àncora Editrice, Milano 2020.

Egli, come aveva già fatto con La prima generazione incredula – Il difficile rapporto tra i giovani e la fede (Rubettino Editore 2010) e La fuga delle quarantenni – Il difficile rapporto delle donne con la Chiesa (Rubettino Editore 2012), parte dalla constatazione, ormai evidente a tutti, della rottura delle nuove generazioni con l’esperienza della fede e della crescente disaffezione verso la realtà della vita ecclesiale delle donne che si affacciano alla maturità. E, come aveva fatto con Il postmoderno spiegato ai cattolici e ai loro parroci (Messaggero di Sant’Antonio Editrice 2018) e Il Dio Mite – Una teologia per il nostro tempo (Edizioni San Paolo 2018), invita a confrontarsi con quella profonda trasformazione della cultura occidentale che cade sotto il nome della “postmodernità”.

Eclissi dell’adulto

Il punto debole dell’attuale situazione è costituito, secondo l’analisi di Matteo, dagli «adulti che mancano». Sono gli adulti ad essere in qualche modo scomparsi nella catena di trasmissione della fede alle nuove generazioni. Ciò è collegato al cambiamento dell’adultità al quale abbiamo assistito negli ultimi decenni nei nostri paesi occidentali e secolarizzati.

Con il miglioramento delle condizioni di vita, questa si è allungata nel tempo in modo straordinario ed è diminuita di molto la fatica di vivere. L’esistenza umana non è più un abitare la «terra dell’esilio» o un attraversamento della «valle di lacrime tra sospiri, pianti e gemiti, secondo le parole struggenti della Salve Regina» (p. 61). Nonostante la presenza di malattie che mettono paura, l’idea di dover morire è considerata «l’ultima questione cui a suo tempo si troverà facile soluzione». «Diventare adulti significa, oggi, accedere ad una sorta di prateria dai confini difficili da identificare, in cui non sembra esservi più quasi nulla di precluso, a condizione di avere a disposizione del denaro» (p. 58).

In presenza di questo dato di fatto, l’autore ritiene che non si possa e non si debba continuare a fare, in ambito ecclesiale e pastorale, le stesse cose che si facevano cinquanta o sessant’anni fa: sarebbe un’autentica forma di follia (p. 7).

Se la situazione è cambiata, deve cambiare anche la pastorale. Cosa che, invece, pare non si stia realizzando. «Per quanto possa sembrare poco generoso da parte di chi scrive – dichiara Matteo –, la maggior parte dei responsabili dell’azione pastorale non ha ancora fatto propria questa lettura della storia» (p. 31).

Basti pensare alle energie spropositate (il 90% delle forze) che continuano ad essere impiegate per l’iniziazione cristiana dei bambini e degli adolescenti (p. 69). Ci si illude che i pochi rudimenti dottrinali loro forniti (p. 70) li facciano – come succedeva in passato – transitare automaticamente in una reale pratica cristiana e nella vita strettamente incanalata – Matteo usa l’immagine dell’imbuto – dai doveri e dalle responsabilità familiari, sociali ed educative tipiche dell’età adulta.

La rivoluzione copernicana del “ritornare a Gesù”

La nuova situazione, da considerare alla stregua di vero “cambiamento d’epoca”, richiede, come ripete più volte Matteo, una «rivoluzione copernicana» della mentalità pastorale, cioè del modo con cui si organizza complessivamente la vita e l’operato delle comunità cristiane in un determinato tempo e in un determinato luogo.

È la rivoluzione che papa Francesco non si stanca di prospettare, come ha fatto in un passaggio del suo intervento al Congresso internazionale della pastorale delle grandi città il 27 novembre 2014: «Occorre avere il coraggio di fare una pastorale evangelizzatrice e senza timori, perché l’uomo, la donna, le famiglie e i vari gruppi che abitano la città aspettano da noi, e ne hanno bisogno per la loro vita, la Buona Novella che è Gesù e il suo Vangelo».

È una rivoluzione che richiede l’abbandono della pastorale dell’imbuto perché la trasmissione della fede non avviene in modo automatico (p. 88) e non si può diventare cristiani senza aver incontrato Gesù (p. 90). Per passare alla pastorale dell’incrocio, mettendo in primo piano la possibilità, offerta a tutti – piccoli e grandi – di riconoscere, per seguirle, le tracce di Gesù di Nazaret e del suo Vangelo, che rivelano non solo «la pienezza del volto del Dio invisibile ma anche la pienezza del volto dell’uomo» (p. 92).

La trasmissione della fede cristiana oggi può avvenire solo per «contagio» da parte di chi Gesù lo ha davvero incrociato e se ne è «innamorato». Si deve, pertanto, dichiarare definitivamente chiuso il tempo in cui ci si esercita, ossessivamente e con scarsi risultati, a «riflettere sul futuro della Chiesa», per mettere finalmente mano «alla Chiesa del futuro» (p. 12) che non può che essere una Chiesa «lunare», cioè una Chiesa che non vive di luce propria, ma riflette la luce che promana da Gesù di Nazaret e dal suo Vangelo (p. 106).

È tempo, allora, di passare «da un cristianesimo della consolazione ad un cristianesimo dell’innamoramento» (p. 103). Dove, per cristianesimo della consolazione si intende un cristianesimo fortemente intonato al richiamo della vita eterna, ad un sovradimensionato culto mariano e ad «una visione della storia universale dell’umanità sostanzialmente legata al tema del peccato e della colpa» (p. 67), e per cristianesimo dell’innamoramento si intende un cristianesimo capace di rinnovare l’ardore e la passione per Gesù contagiandone chiunque (p. 99).

Non si tratta di sollecitazioni scontate. Matteo invita a prendere realisticamente atto che le comunità cristiane «non sono al momento luoghi dove si possa diventare cristiani, incontrandosi con Gesù e sperimentando una forma di innamoramento di lui» (p. 73). Aggiunge, anzi, in modo quasi provocatorio: «A dirla tutta, diventare cristiano sotto le condizioni dell’attuale mentalità pastorale è un vero miracolo!» (p. 84).

E rincara la dose quando afferma che la mentalità pastorale vigente non avendo «paradossalmente bisogno di mettere in primo piano il cuore stesso della religione cristiana: Gesù», finisce con il dedicare «scarsissima attenzione ed energia alla questione che tutti i credenti abbiano una conoscenza profonda e integrale della pagina evangelica che di lui è ritratto vivente, pratichino quotidianamente la preghiera come dialogo con il Signore e partecipino attivamente alla celebrazione eucaristica che è appunto memoriale del suo amore incondizionato per ciascun essere umano» (p. 97).

“Qui si diventa cristiani”

Per Matteo, sostituire la pastorale dell’imbuto con la pastorale dell’incrocio vuol dire anche entrare nell’ordine di idee che diventare cristiano significa contemporaneamente anche diventare adulto.

Dunque, al posto della formula d’oro dell’ancora vigente mentalità pastorale – quella del «Diventa adulto e sarai cristiano» – che ha esaurito ogni sua forza, ne va collocata un’altra, che dice «Diventa cristiano e sarai adulto» (p. 76).

Diventando cristiano sarai adulto, perché potrai assumere le caratteristiche della condizione propria dell’adultità che sono la cura, la generatività, la responsabilità e la ricerca della felicità che passa attraverso la collaborazione all’altrui felicità (p. 80).

Se il cardine dell’essere e dell’agire della nuova pastorale è la creazione e la cura delle condizioni che permettono di diventare cristiani e quindi adulti, sarà necessario – con riferimento sia a chi fa già parte della comunità, sia a chi la frequenta anche solo occasionalmente o non la frequenta più – creare luoghi, tempi, occasioni per favorire il loro incontro con Gesù e con la gioia che da quell’incontro promana (p. 35).

La scritta Qui si diventa cristiani dovrebbe essere il contenuto di un “cartello” da affiggere con caratteri ben visibili in ogni chiesa e in ogni centro pastorale parrocchiale. Tale “cartello”, da intendere come uno stile che si renda evidente, dovrebbe contenere anche la seguente indicazione: «Non importa per quale ragione o per quale strada sei giunto sin qui. In ogni caso, da qui non te ne andrai senza esserti prima incrociato con Gesù» (p. 106). Il prof. Matteo non ha dubbi: il Qui si diventa cristiani «è cifra della mentalità pastorale che attende di venire alla luce» (p. 74).

Alcune cose da fare subito

Tra le «dieci cose che si possono fare subito» e che l’autore elenca nell’ultimo capitolo (pp. 105-118) del suo piccolo ma stimolante libro, quattro mi sembrano decisamente pertinenti, mentre di una quinta, pur presente nell’elenco, vorrei evidenziare l’assoluta importanza.

Ecco le quattro semplici proposte operative che potrebbero essere alla portata di ogni comunità cristiana:

  • Strutturare la catechesi dell’infanzia e dell’adolescenza in modo tale da offrire una lettura integrale dei Vangeli per permettere ai bambini e agli adolescenti di andare verso Gesù, recependone la forza di attrazione.
  • Restituire ai giovani e agli adulti il gusto, la bellezza e la verità della preghiera cristiana, istituzionalizzando forme di gemellaggio delle parrocchie con monasteri o centri di spiritualità, organizzando vere e proprie “scuole di preghiera” in cui con tappe mensili si impara a pregare e si prega, condividendo poi il tutto nel contesto della “preghiera dei fedeli” dell’eucaristia domenicale, le cui “intenzioni” sarebbe ora che fossero formulate con naturalezza dai partecipanti.
  • Mettere i bambini, i giovani e gli adulti in contatto con l’essenziale dimensione della carità e della solidarietà, segnalando loro occasioni per relazionarsi, con i dovuti modi, con le situazioni di povertà e di bisogno presenti nel territorio parrocchiale.
  • Sperimentare e consolidare la mistica del vivere insieme tra fratelli e sorelle nella fede, curando la dimensione comunitaria dell’esperienza cristiana, sostituendo il clericocentrismo con una prassi pastorale davvero sinodale, passando dalla collaborazione alla corresponsabilità nei processi di definizione delle priorità dell’agire ecclesiale e valorizzando maggiormente la presenza delle donne all’interno degli spazi decisionali delle parrocchie.

La quinta proposta, che Matteo, nell’ambito di una «nuova mistagogia comunitaria verso la preghiera» (p. 111), esplicita in termini di «occasioni di lettura, conoscenza e di innamoramento della sacra Scrittura» (p. 112), consiste – mediante idonee iniziative, accessibili a tutti i credenti – nel fare costantemente emergere l’importanza che nella vita di ogni credente riveste la lettura sistematica della Bibbia, che diventa riflessione, si trasforma in preghiera e si traduce nella testimonianza di vita. Una Chiesa che non è capace di far innamorare i credenti della Parola, di convertirsi alla Parola, di lasciarsi inquietare dalla Parola non può essere una Chiesa che annuncia la gioia del Vangelo.

Non a caso, istituendo con la lettera apostolica Aperuit illis (del 30 settembre 2019) la Domenica della Parola, papa Francesco ci esorta a dedicare alla Bibbia non uno ma 365 giorni all’anno, «perché abbiamo urgente necessità di diventare familiari e intimi della sacra Scrittura e del Cristo risorto, che non cessa di spezzare la Parola e il Pane nella comunità dei credenti». Se non si entra in confidenza costante con la sacra Scrittura, «il cuore – ci ricorda papa Francesco – resta freddo e gli occhi rimangono chiusi».

Armando Matteo, Pastorale 4.0. Eclissi dell’adulto e trasmissione della fede alle nuove generazioni, Àncora Editrice, Milano 2020, pag. 120.

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2 Commenti

  1. paolo elia 24 maggio 2020
  2. CLAUDIO BARGNA 11 maggio 2020

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