Il Vangelo di Giovanni

di:

Zumstein Vangelo di Giovanni

Lo studioso tedesco settantaquattrenne – emerito di teologia del Nuovo Testamento, esegesi ed ermeneutica presso l’università di Zurigo – è un’autorità mondiale nel campo della letteratura giovannea.

Nell’analisi di ogni pericope il commentario che Zumstein ha approntato negli anni si presenta con un’introduzione letterario-teologica che contestualizza la pericope esaminata nell’insieme del Vangelo, la traduzione personale più letterale possibile, la bibliografia selezionata relativa al brano e un’analisi riguardante il contesto, la struttura, il confronto con i sinottici, il testo nel suo divenire. Seguono la spiegazione vera e propria corredata da una conclusione generale riassuntiva dei risultati raggiunti. Le note a piè di pagina testimoniano il dialogo scientifico riguardante la letteratura secondaria e l’illustrazione delle problematiche più specificamente filologiche.

Dopo la Premessa (pp. 9-10), le Abbreviazioni (pp. 11-12), la Bibliografia generale (pp. 13-26) e l’Introduzione (pp. 27-60), segue il commentario vero e proprio (pp. 60-982), una nota sul titolo del vangelo (pp. 983-984), l’indice dei nomi (pp. 985-996) e quello dei testi citati (pp. 997-1038).

Il Vangelo di Giovanni (= Gv) è originale rispetto ai sinottici. Pur avendo in comune lo schema biografico-evangelico della vita di Gesù, varie unità narrative e alcuni loghia, si differenzia da loro per lo schema: tre feste di Pasqua, cinque soggiorni gerosolimitani, comparsa di grandi discorsi, sette dichiarazione con “Io Sono”, tema teologico incentrato sulla rivelazione della gloria del Figlio, la menzione di solo sette “segni”.

La struttura proposta da Zumstein è classica nella sua evidenziazione del prologo (1,1-18), dell’epilogo (21,1-25), della divisione del corpo del vangelo in due grandi parti: 1,1–12,50 (La rivelazione della gloria di Cristo al mondo) e 13,1–20,31 (La rivelazione della gloria di Cristo davanti ai suoi). Non prevede un schema “da Cana a Cana” – suggerito da molti – e non prevede alcuna alterazione dell’ordine dei capitoli (Zumstein non inverte c. 5 con c. 6).

Il quadro geografico e cronologico di Gv è incentrato principalmente sulla Giudea e Gerusalemme (cinque soggiorni gerosolimitani), distribuito in tre anni di attività pubblica. Solo in alcuni momenti (rispetto ai sinottici) Gesù agisce in Galilea.

La scansione cronologica è assicurata dalla menzione delle feste (tre Pasque, la festa delle Tende, la Festa della Dedicazione), relativizzate però dalla menzione decisiva dell’“ora” che deve giungere (cf. 2,4; 7,30; 8,20): è l’ora della croce, legata alla glorificazione. Per Zumstein la festa di Gv 5,1 resta indeterminata.

In Gv si mescolano storia e finzione. Finzione non indica il fatto che Gv inventi qualcosa ma «il modo in cui il narratore seleziona i propri materiali, quindi li traspone in narrazione collocandoli in un dato punto della storia che racconta, accentuandoli, sviluppandoli, riformulandoli e interpretandoli. Un racconto storico, proprio nella misura in cui è necessariamente un costrutto, intreccia storia e finzione. La finzione in ambito storiografico, allora, non è frutto in primo luogo dell’immaginazione, ma appartiene al registro dell’interpretazione» (p. 35).

Gv intreccia tre storie in un unico racconto: quella di Gesù di Nazaret, quella del figlio di Giuseppe che è il Logos preesistente e che si è incarnato e, infine, quella dei destinatari del vangelo.

Con il fenomeno della trasparenza indiretta, «raccontando la vita di Gesù, il narratore evoca indirettamente la storia delle comunità giovannee. Viene così operata una fusione di orizzonti tra il tempo pre-pasquale e quello post-pasquale» (ivi).

Un secondo aspetto della concezione giovannea della storia di Gesù è il fatto fondamentale che «la vita di Gesù è oggetto di una anamnesi post-pasquale» (p. 36, corsivo nel testo). La croce, fine della vita terrena di Gesù, è compimento della rivelazione, dato ermeneutico necessario alla comprensione della rivelazione apportata da Gesù.

La vita giovannea di Gesù può essere colta solo grazie all’anamnesi, con il ruolo decisivo della memoria. «Il passato raccontato non ha di per sé un senso, ma lo assume solo nella retrospettiva che si compie di esso… solo la Pasqua consente di rileggere le tradizioni raccolte riguardo a Gesù dando loro coerenza e autentico significato» (p. 36).

Protagonisti della retrospettiva pasquale sono il Paraclito – portatore della memoria di Gesù e suo interprete – e il Discepolo Amato – che è il testimone per antonomasia e l’interprete insuperabile del Gesù giovanneo, luogotenente del crocifisso presso i suoi, la cui «testimonianza è oggettivata in una Scrittura – il vangelo – che diventa normativa per l’insieme dei credenti» (p. 36).

Gv gode di integrità letteraria. La sua composizione non sembra spiegarsi con il modello dell’unità di composizione, nemmeno con quello del vangelo primitivo, né con quello delle tre fonti. A partire dai materiali riguardanti Gesù trasmessi dal Discepolo Amato, attraverso una rielaborazione con delle aggiunte da parte dell’evangelista, grazie all’opera di un redattore finale, si è giunti al vangelo quale abbiamo oggi.

Zumstein auspica chiaramente il superamento del modello classico della teoria delle fonti. Nel suo commentario lo studioso tedesco rigetta l’opposizione tra sincronia e diacronia, ci si concentra sull’unità incontestabile di Gv, vedendo nelle tensioni narrative, nelle rotture o nelle ripetizioni, possibili tecniche impiegate dall’autore per plasmare il proprio racconto.

Non si possono precisare nel dettaglio le fonti di Gv: una proposta minimale di Zumstein propone che la scuola giovannea disponesse di una serie di racconti di miracolo, di parole di Gesù e di un racconto della passione. Ripercorrere precisamente le tappe della formazione di Gv è impossibile.

Importante è il criterio dell’intertestualità e dell’intratestualità. In Gv si allude continuamente all’AT e ai sinottici (fenomeno che, con Genette, Zumstein chiama “ipertestualità”). «L’intertestualità offre quindi il quadro teologico necessario per rendere conto del processo interpretativo seguito all’interno del vangelo stesso. Si parla allora di intertestualità» (p. 42).

«L’ipertestualità designa “ogni relazione che unisca un testo B (che chiamerò ipertesto) a un testo anteriore A (che chiamerò, naturalmente ipotesto), sul quale si innesta in una maniera che non è quella del commento”. Essa traduce un rapporto di derivazione che implica l’idea di trasformazione con un mutamento di prospettiva. Testimonia presa di distanza e libertà rispetto all’ipotesto» (p. 44 nota 32, con citazione da Genette, Palinsesti, pp. 7-8).

Probabilmente Gv ha conosciuto Mc e, forse, Lc. «L’evangelista ha dato prova di libertà e ha riconfigurato tutto il materiale di cui disponeva per integrarlo nella sua strategia narrativa e nella sua concezione teologica» (p. 45). Gv segue il modello del genere letterario del vangelo, ma senza escludere una sua possibile commistione con il genere ellenistico-romano della vita, in specie delle “vite pericolose” (Ebner).

Il linguaggio di Gv è semplice e solenne, con tre procedimenti letterari principali: il malinteso, il linguaggio simbolico e le coppie di concetti antitetici.

Il retroterra religioso di Gv – che non significa rapporto genealogico ma presenza di analogie – è il cristianesimo primitivo, con la sua opposizione alla Sinagoga. Il giudaismo palestinese, il mondo di Qumran, le cerchie del Battista e il giudaismo ellenistico sono elementi che formano il multiforme mondo religioso in cui era immerso il quarto vangelo. La gnosi è un fenomeno posteriore a Gv, del II secolo. L’origine in Siria e poi lo spostamento a Efeso della redazione di Gv autorizza – secondo Zumstein – a utilizzare, con cautela, l’espressione “pre-gnostico” (in sé discutibile) per definire l’ambiente religioso in cui la scuola giovannea sviluppò la propria riflessione.

L’ambiente di produzione di Gv è la scuola giovannea: il Discepolo Amato come fondatore, l’evangelista come compositore principale dell’opera e il redattore finale. Originato in Siria, il Vangelo di Giovanni testimonia in Gv 21 il suo spostamento nell’area efesina.

La datazione dell’opera può essere posta alla fine del I secolo d.C., dopo l’80-90 e prima del 125 d.C. (papiro52).

Il luogo di composizione è dapprima la Siria e la sua redazione finale nell’area efesina.

Circa l’autore, superata l’idea tradizionale di Giovanni figlio di Zebedeo e quella del presbitero Giovanni, secondo Zumstein è oggi importante fissarsi sull’intentio operis e non sull’intentio auctoris, visto che attualmente si è superata la problematica dell’ispirazione legata all’apostolicità dell’autore.

La funzione pragmatica di Gv è quella di rinforzare la fede elementare e indebolita dei destinatari verso una concezione più compiuta.

Una teologia di Gv può essere riassunta nel considerare centrale l’idea di Gesù di Nazaret come Logos incarnato. Gesù è l’Inviato del Padre e suo rivelatore. L’inviato ha la stessa autorità del mandante, si identifica con lui pur essendo una persona diversa. Il significato dell’invio è rivelare l’amore del Padre e far emergere, con la decisione o meno per la fede in Gesù, il giudizio che si realizza già in questa vita presente (escatologia presentiva). L’escatologia è in funzione della cristologia, e non viceversa.

In Gv non c’è dualismo ontologico ma storico, provocato dalla venuta del Figlio. L’invio vede tre tappe: pre-esistenza e incarnazione (catabasi); compimento della missione attraverso i segni e i discorsi; ritorno al Padre (anabasi).

Il titolo Figlio dell’uomo non ha più un’accezione apocalittica, ma è riferito a colui che ha portato a termine l’itinerario dell’inviato (cf. le affermazioni su catabasi, anabasi, innalzamento). «Il vangelo secondo Giovanni propone dunque una reinterpretazione fondamentale del monoteismo: dal monoteismo veterotestamentario degli ebrei, il lettore è invitato a passare al monoteismo cristologico» (p. 59).

In Gv la soteriologia e l’ecclesiologia si saldano con forza. La rivelazione avviene perché l’uomo si salvi, ottenga già fin d’ora (non però ancora nella sua pienezza) la “vita eterna”, non da solo ma all’interno di una comunità, la cui vocazione è quella di “rimanere” in Cristo (cf. Gv 15,1-10).

Alcune correzioni e osservazioni migliorative. Si indichino la sigla dei vari stati americani. Nella bibliografia generale si tenga presente che le seguenti opere sono già state tradotte in italiano: p. 14 Beutler (Roma 2016); p. 17 Zerwick e non Zervick; p. 18 Berger, Formen (BS 2016); Culpepper, Anatomy (MI 2016); Hengel, Frage (BS 1998); p. 24 Volz, Eschatologie: Zeitalter non zeitalter, Quelle e non quelle, Literatur e non literatur. Sarebbe utile, visivamente, indicare gli articoli in tondo fra virgolette, distinguendoli così dai titoli di libri. A p. 57 cap. L’invio, r 2: correggere in: La cristologia non è dunque una funzione dell’escatologia.

Poter godere della traduzione italiana del commentario a Gv di Zumstein è un grande guadagno per un’ampia fascia di studiosi, studenti di ogni grado e appassionati di un testo fondamentale del Nuovo Testamento, che propone un’interpretazione originale e profonda della figura di Gesù, Rivelatore del Padre.

Jean Zumstein, Il Vangelo di Giovanni. Volume 1: 1,1–12,50; Volume 2: 13,1–21,25 (Strumenti – Commentari – Nuovo Testamento 72-73), 2 voll., Claudiana, Torino 2017 (or. ted. Göttingen 2016), pp. 1048, € 38,00 + € 31,50.

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